Carceri a prova di suicidio: una piaga interminabile
Foto di repertorio

Lo denuncia Gioventù Italiana con La Destra Torino

Pochi giorni fa presso il carcere della Vallette di Torino si è verificato l'ennesimo tentativo di suicidio da parte di un detenuto il quale ha cercato di impiccarsi con dei pantaloni alla grata della finestra del bagno e che, fortunatamente, è stato salvato appena in tempo dagli agenti della polizia penitenziaria.

L'episodio è solo l'ultimo di una lunghissima serie e infatti non sono mancati i reclami e le proteste, più che legittime, da parte del sindacato autonomo della polizia penitenziaria che continua a denunciare le condizioni di vita e di lavoro difficili all'interno degli istituti correzionali di tutta Italia :

"In tutta l'Italia - afferma il portavoce - si verifica 1 suicidio compiuto ogni 15 tentativi, le condizioni di lavoro da parte degli agenti sono sempre più difficili, sia causa del sovraffollamento e sia per le carenze umane ed economiche sempre più notevoli".

Il tema della vita in carcere è sempre stato un tema caldissimo che, specialmente negli ultimi anni, le istituzioni hanno sempre cercato di evitare, o meglio mascherare, con provvedimenti come l'indulto e il decreto salva-carceri facendo credere di aver risolto il problema il quale si è puntualmente ripresentato poco tempo dopo quando stragrande maggioranza dei detenuti messi in libertà grazie all'indulto ha fatto ritorno in cella.

"L'indulto non serve a nulla - ha proseguito - e quello serve è un maggiore impiego di risorse nell'ammodernamento infrastrutturale e nella costruzione di nuove carceri per fare in modo che queste tornino ad avere la loro funzione originaria di rieducare il cittadino condannato alla detenzione per favorirne il reinserimento nella società una volta scontata la pena. Altrimenti, continuando su questa strada, il carcere continuerà a rappresentare l'inferno terreno per il detenuto, portando questi a compiere continui tentativi di suicidio oppure ad incattivirsi maggiormente in modo da, una volta terminata la detenzione, diventare ancora più delinquente di prima e di conseguenza a rimettere piede in cella poco tempo dopo".

"I detenuti - ha affermato in chiusura - devono senza dubbio scontare la loro pena fino alla fine e pagare per i reati commessi, ma ciò non li priva dei loro diritti, ossia quelli di potersi riscattare e di integrarsi nella società una volta terminata la pena. Stesso discorso vale per gli agenti di polizia penitenziaria i quali non possono continuare a fare gli straordinari compiendo dei gesti straordinari (come salvare un detenuto dal suicidio) operando in condizioni disumane come quelle attuali e rischiando la vita tutti i giorni".


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Articolo pubblicato il 19/11/2012