Milano vetrina di "Istria Fiume Dalmazia: diritti negati, genocidio programmato" di Italo Gabrielli
La copertina

Cultura e giustizia per Istria Fiume e Dalmazia: dal ricordo all'azione

Per iniziativa della Regione Lombardia nelle persone dell’Assessore alla Cultura Valentina Aprea e del Consigliere Enrico Marcora, in collaborazione con il Movimento Nazionale Istria Fiume e Dalmazia, il Grattacielo Pirelli, nell’ambito di un nutrito programma di iniziative, ha ospitato una significativa manifestazione che si è tenuta il 22 giugno, con lo scopo prioritario di presentare anche a Milano, dopo le fortunate vernici di Trieste (Libreria Svevo), Firenze (Caffè storico Giubbe Rosse) e Roma (Senato), il bel volume di Italo Gabrielli: “Istria Fiume Dalmazia: diritti negati - genocidio programmato”. L’occasione, peraltro, è stata congrua per fare un punto aggiornato sulle attese degli Esuli, e più generalmente, di tutti gli Italiani interessati al grande dramma del confine orientale.

 

Il successo di questo incontro, testimoniato dalla presenza di un pubblico folto ed attento, ha trovato un importante riconoscimento nell’introduzione dell’Assessore Aprea e nelle conclusioni del Consigliere Marcora: in entrambi i casi, con espressioni di partecipazione alla tragedia giuliana, istriana e dalmata e di apprezzamento per l’opera divulgativa e formativa che cultura e storiografia del mondo esule propongono alla coscienza civile del popolo italiano. Non a caso, Valentina Aprea ha voluto ricordare, con quello di Gabrielli, un significativo apporto del momento giovanile come la tesina liceale di Erica Cortese per “L’Esodo dimenticato” (oggetto di importanti riconoscimenti ufficiali), mentre Enrico Marcora ha sottolineato il carattere maieutico della conferenza, affermando che alla fine degli interventi e del dibattito si erano acquisite importanti e coinvolgenti conoscenze.

 

E’ un motivo di grata soddisfazione per gli esuli che hanno partecipato all’incontro e per i loro amici; in primo luogo, per Romano Cramer, Segretario Generale del Movimento, che ha tenuto la relazione introduttiva portando il saluto della Presidente Maria Renata Sequenzia, ricordando la sua lunga e sofferta esperienza personale nel campo profughi di Servigliano, e proponendo all’attenzione comune taluni episodi storici da cui emerge il quadro di un genocidio prima colpevolmente tollerato e poi altrettanto vergognosamente dimenticato dall’Italia ufficiale: nel 1948, i candidati del Fronte Popolare alle elezioni del 18 aprile non esitarono ad accomunare i “banditi giuliani” al famoso “bandito Giuliano” che infestava vaste plaghe della Sicilia! Per non dire di tante iniquità tuttora in essere, o del “prestito” di 500 miliardi elargito a Tito da parte del Governo di Giovanni Goria, destinato a scomparire nel disastro finanziario della Jugoslavia assieme a quelli che il satrapo di Belgrado, campione dei “non allineati”, aveva ricevuto dai maggiori Stati dell’Occidente.

 

(Nella foto l'intervento di Carlo Montani dinnanzi all'autore)

 

Hanno fatto seguito gli interventi dei relatori. Per primo, Piero Tarticchio (Centro Multimediale per la Cultura istriana fiumana e dalmata), figlio di un Infoibato e con sette infoibati in famiglia (!) tra cui Don Angelo Tarticchio, ucciso “in odium fidei” dopo una lunga serie di allucinanti sevizie. Muovendo da Aristotele, secondo il quale “nemmeno a Dio è concesso di disfare il passato”, l’oratore ha insistito sull’inqualificabile silenzio dell’Italia ufficiale, suffragato dal fatto che si siano dovuti attendere 57 anni per un provvedimento legislativo esclusivamente “morale” come il Giorno del Ricordo, mentre due terzi degli italiani continuano ad ignorare la tragedia delle foibe. Del resto, cosa possiamo sperare se nel Dizionario di Tullio De Mauro (un ex Ministro dell’Istruzione!) alla voce “foibe” è  dato leggere che si tratta di “cavità carsiche in cui i fascisti gettavano i loro nemici”? Le responsabilità dei “riduttivisti” e dei “negazionisti” sono fuori discussione, ma debbono essere integrate con quelle dei “dimenticazionisti”: basti rammentare, ha concluso Tarticchio (non senza esprimere un profondo rammarico per talune pervicaci divisioni ai vertici del mondo esule), che lo stesso Presidente Napolitano si guarda bene dal citare il comunismo come matrice unica di tanti delitti.

 

Livio Caputo, già parlamentare e Sottosegretario agli Esteri, si è soffermato sulla sua esperienza politica e giornalistica, ed in particolare sulla vergognosa vicenda di Osimo, un alto tradimento perseguibile a norma di codice e tanto più surreale perché nel 1975 l’Italia era tornata ad essere uno Stato sovrano nel vero senso della parola, diversamente da quanto si poteva dire nel 1947, mentre la Jugoslavia era già avviata sul viale del tramonto: di qui, le 165 mila firme che “Il Giornale” ebbe modo di raccogliere in tutto il Paese contro la ratifica di un trattato che gridava vendetta nel vero senso della parola, tanto più che costituiva una “resa senza ragione” in quanto l’Italia non avrebbe ottenuto alcuna contropartita: anzi, alla cessione della Zona “B” avrebbe dovuto aggiungere la creazione della Zona Franca Industriale a cavallo del Carso che rimase nel libro dei sogni grazie all’opposizione di Trieste, ma non solo.  Poi, Caputo si è chiesto se, allo stato delle cose, sia lecito sperare: purtroppo, talune occasioni irripetibili sono state perdute, ed oggi sembra realistico contare soltanto sulla cultura italiana, sulle potenzialità economiche dell’Occidente, e soprattutto sulla nostra indistruttibile forza morale.

 

Al libro di Gabrielli ed ai suoi valori, in primo luogo etici, si è riferito più specificamente Carlo Montani, in un appassionato intervento che ha insistito sul carattere innovativo di  questa opera “unica” se non altro per avere percorso gli ultimi due secoli della storia  giuliana e dalmata ponendo in costante evidenza il progressivo distacco dei fatti dai grandi principi giuridici in materia di Diritti universali: quelli “negati” con pervicacia al popolo istriano, fiumano e dalmata, che è “perdente” solo in apparenza, perché sul piano dell’ethos ha già vinto, facendo propri gli auspici dell’eroico Vescovo Antonio Santin cui è dedicato, non a caso, il volume di Gabrielli. Occorre, peraltro, che il Ricordo diventi azione, se non altro con alcuni interventi immediatamente possibili, e quel che più conta, senza aggravi per la finanza statale: la tutela delle tombe italiane nei 300 cimiteri “rimasti” prima in Jugoslavia ed ora in Croazia e Slovenia; l’osservanza della Legge Pazzaglia-Camber in materia di anagrafe con l’istituzione di adeguate sanzioni nei confronti dei Soggetti inadempienti; la revoca delle cosiddette “pensioni agli infoibatori” tanto più inique perché prevedono la reversibilità piena, con una discriminazione palesemente incostituzionale. Occorre che l’Italia cessi di essere “maestra nel fare gli interessi degli altri” (secondo la pertinente affermazione dell’Ambasciatore Gianfranco Giorgolo, patriota dalmata di provata fede) come è accaduto troppo spesso nell’ultimo secolo di storia. Occorre bandire le ricorrenti sceneggiate per la “pacificazione” tanto più inutili perché l’Italia è in pace formalmente sottoscritta già dal 1947, e cassare le giaculatorie sul “male assoluto” che nella nostra cultura cristiana è impersonato soltanto da Satana (a sua volta destinato alla sconfitta finale secondo la profezia di Gioacchino da Fiore evidenziata nella straordinaria Mostra sull’Apocalisse che la Regione Lombardia ha contestualmente organizzato nelle sale del Pirelli).

 

Ultimo intervento, quello di Italo Gabrielli, l’indomito patriota istriano Autore dell’opera, che ha percorso in rapida sintesi nelle tappe più importanti e nelle discrasie più forti fra la realtà effettuale e la deontologia giuridica, per non dire di quella etica, citando, fra i molti esempi, quello della contraddizione di Osimo rispetto al trattato di Helsinki per l’intangibilità delle frontiere e l’autodeterminazione dei popoli, che 35 Stati avevano firmato, per l’appunto, solo cento giorni prima: come Massimo de Leonardis volle precisare nel convegno per il trentennale di Osimo tenutosi all’Università Cattolica di Milano nel 2005, l’Unione Sovietica ed i suoi corifei “incassarono le clausole sull’intangibilità e sottoscrissero con un’alzata di spalle quelle sui diritti umani”, difficilmente “pensabili per gli schiavi del comunismo”. Gabrielli ha proseguito facendo voti perché la Legge istitutiva del Ricordo non finisca per diventare una “pietra tombale” sulle attese del mondo esule  ed auspicando che il Governo italiano traduca in fatti concreti lo spirito della Legge e voglia attivarsi secondo le istanze proposte dagli altri relatori, e perché siano restituiti i beni espropriati prima dell’entrata in vigore del trattato di pace (15 settembre 1947) e siano denunciati gli Accordi del 1975 e del 1983: la sola misura che, a ben vedere, appare idonea a sanare il “vulnus” a danno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e successive integrazioni in ambito europeo. Il genocidio perpetrato nei confronti del popolo istriano fiumano e dalmata, secondo la pertinente definizione che il giurista polacco Raphael Lemkin ne diede in tempi ormai lontani è un fatto storico inoppugnabile, idoneo come pochi per parlare “a chi lo vuol sentire”: agli uomini di buona volontà, le conclusioni e le decisioni, per il ripristino dei diritti e l’affermazione dell’ethos.  

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 11/07/2012