Il Mistero della Gioconda

Molti dubbi sulla effettiva identità del dipinto più famoso del mondo

Sulla fama del ritratto di Leonardo, esposto al Louvre, non ci sono dubbi.
E’ conosciuto in tutto il mondo ed è ammirato giornalmente da oltre 30.000 visitatori.
Si tratta di un dipinto a olio su tavola di pioppo realizzato da Leonardo da Vinci (77 × 53 cm e 13 mm di spessore), databile tra il 1503-1506 circa ed è  conservato nel Museo parigino col numero 779 di catalogo.

Come tutte le opere iconiche, la Gioconda è stata amata, odiata e trafugata. Nella lunga storia del dipinto non sono infatti mancati i tentativi di vandalismo, nonché un furto rocambolesco, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, che ne hanno alimentato la popolarità.

Un turbine di pareri espressi da critici di varia formazione culturale hanno messo in dubbio la reale identificazione dipinto con il Ritratto della moglie di Francesco del Giocondo.
Iniziamo il racconto con la descrizione autografa di Giorgio Vasari (1511-1574), che pur non avendo mai visto la Gioconda, né conosciuto Leonardo, la delinea nei minimi dettagli.


“Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò; nella qual testa chi voleva veder quanto l'arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvenga che gli occhi avevano que' lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo; et intorno a essi erano tutti que' rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con l'incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d'una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte, che essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a' ritratti che si fanno. Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”.

Il critico Carlo Pedretti afferma che vi siano ragionevoli possibilità che il dipinto descritto dal Vasari non sia quello esposto al Louvre e tantomeno la Monna Lisa Gherardini.
Pedretti sottolinea il fatto che Vasari parli di una testa, quindi non di un ritratto vero e proprio, inoltre numerosi dettagli descritti nelle “Vite” non risulterebbero essere presenti nell’opera esposta a Parigi.
Pedretti osserva, come abbiamo già scritto, che Giorgio Vasari, ci parla della peluria delle sopracciglia magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ne ha) ed esalta le fossette sulle guance (pure assenti): “et intorno a essi erano tutti que' rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali”.

Ciò è comunque spiegabile con la particolare storia del dipinto, che seguì Leonardo fino alla sua morte in Francia e che venne ritoccato per anni e anni dall'artista. Vasari infatti potrebbe aver attinto la sua descrizione dal ricordo dell'opera com'era visibile a Firenze fino al 1508, quando il pittore lasciò la città; alcune analisi ai raggi X hanno mostrato che ci sono tre versioni della Monna Lisa, nascoste sotto quella attuale.

Un’altra stranezza la troviamo nel nome dell’opera: in un caso precedente a Leonardo venne commissionata da Luigi Niccolini il ritratto della moglie Ginevra de’Benci, quel dipinto venne chiamato “La Bencina” e non La Niccolina. Questo perché il nomignolo deriva da quello paterno e non dal cognome del marito.

Allo stesso modo il ritratto di Luisa Gherardini avrebbe dovuto chiamarsi “La Gherardina” e non la Gioconda.

Carlo Pedretti si sofferma anche sul fatto che stilisticamente il dipinto del Louvre si avicina a quello delle opere leonardesche del periodo compreso tra il 1510 e il 1518, mentre il Vasari afferma che il dipinto avrebbe dovuto essere anteriore alla Battaglia di Anghiari del 1504.
Molto suggestiva  è l’ipotesi avanzata da Carlo Pedretti, il più autorevole tra gli studiosi del genio fiorentino, che propone come committente un nome del tutto nuovo e sicuramente sconvolgente: quello di Giuliano de Medici.

Pedretti ripropone l’ipotesi di Roberto Zappieri, lo storico e critico d’arte che ha identificato nel ritratto del Louvre l’immagine di una giovane donna della Corte Urbinate: Pacifica Brandani, morta dopo aver dato alla luce un figlio illegittimo di Giuliano de Medici, riconosciuto dal padre e che diventerà il cardinale Ippolito de Medici.
Se questa ipotesi fosse vera si dovrebbe spostare la datazione tra il 1513 e il 1516, anno della morte di Giuliano de Medici.

Nelle sue intenzioni il ritratto sarebbe dovuto essere un regalo per il figlio che non aveva potuto conoscere la madre.

Le ipotesi si susseguono con studi sempre più arditi, legati soprattutto a ipotesi di tipo stilistico-paesaggistico, nei quali altri critici avrebbero individuato paesaggi del Montefeltro.

Il mistero non sembra essere destinato ad una repentina soluzione, nuovi particolari, come quello dei presunti numeri visti negli occhi, concorrono a creare nuove aspettative, più o meno fondate.

Attendiamo i risultati, anche se l’idea di dover chiamare l’opera di Leonardo “La Brandana”, creerebbe sicuramente un certo sconcerto…

 

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Articolo pubblicato il 11/01/2024