Il Miracolo dell’Antivigilia del Natale 1951

Lo schianto di un quadrimotore nella brughiera di Gallarate, narrato da uno dei protagonisti, Vittorio Gorresio il 24 dicembre 1951

Nella sera del 23 dicembre 1951 un quadrimotore I. Lucky proveniente da New York, al momento di atterrare all’aeroporto di Milano Malpensa, alle ore 20:48, è costretto ad un atterraggio di fortuna nelle campagne di Lonate Pozzolo, a poca distanza dell’aeroporto. Si incendia e resta completamente distrutto.

Il miracolo citato nel titolo consiste nel fatto che non vi sono vittime, né fra i trentotto passeggeri né fra i dieci componenti dell’equipaggio. Tutto questo viene narrato da uno dei passeggeri, Vittorio Gorresio (1910 - 1982), al tempo prestigioso redattore del giornale La Stampa, dove il 25 dicembre appare la sua cronaca dell’incidente che, a 72 anni di distanza, riproponiamo ai Lettori di Civico 20 News (m.j.).

Il terribile schianto del quadrimotore nella squallida brughiera di Gallarate

(Nostro servizio particolare) Milano, 24 dicembre.

«Questo è forse tra i molti viaggi aerei che ho fatto attraverso l'Atlantico il migliore da ogni punto di vista», diceva stamane il comandante Marchiori, ieri, verso le 6, mentre sorvolavamo Parigi. I venti ci erano stati favorevoli dalla partenza di New York; il grande quadrimotore I. Lucky aveva volato veloce fino a Shannon; riguadagnava quasi tutto il ritardo; la sua stabilità era stata così perfetta che avevamo dormito in assoluta pace come nel nostro letto, che speravamo di raggiungere la sera dopo.

La sera dopo, invece, abbiamo trascorso qualche ora nella brughiera di Gallarate, prima essendo fuggiti di corsa dalla carcassa dell'I.Lucky in fiamme e poi avendo vagato per ricercarci gli uni con gli altri. Faceva freddo, la nebbia ci copriva, le sterpaglie ci impedivano una agevole avanzata, qualcuno era ferito, a qualcuno mancavano le scarpe. Il comandante Marchiori avena la faccia coperta di sangue e gli occhi pieni di lacrime; ma non per il dolore che gli procuravano le ferite. Forse potevano essere anche lacrime di rabbia.

 

Il brindisi in cielo

Il disastro era avvenuto quando meno sarebbe stato giustificato. Dalla Malpensa ci avevano comunicato che la visibilità era superiore di 400 metri a quella minima richiesta per gli atterraggi strumentali. L'incertezza che da Shannon a Parigi e da Parigi alle Alpi ci aveva accompagnato circa la possibilità di fare scalo a Milano si era così dissipata quasi come la nebbia. La hostess aveva portato ai passeggeri l'ultimo omaggio della compagnia: panettone e spumante. Avevamo brindato anticipando in cielo il nostro Natale. Avrebbe dovuto essere anche una saggia precauzione se le cose fossero poi andate diversamente; ma in questo caso nessuno lo avrebbe mai saputo. Ritirati i bicchieri dello spumante, la hostess aveva dato l'ordine di chiudersi nelle cinture dei sedili, si erano accese le scritte luminose che prescrivono di non fumare durante l'atterraggio e, infatti, il comandante Marchiori aveva comunicato alla Malpensa: «Entriamo in fase di atterraggio».

Planavamo da qualche minuto, l'apparecchio aveva leggermente cabrato e infine si era rimesso in linea di volo ad una quota di pochi metri: secondo i dati che avevamo ricevuto avremmo dovuto essere a tre secondi dall'inizio della pista della Malpensa. Trascorsi i tre secondi, ci schiacciavamo invece a 7 chilometri dall'aeroporto in località Lonate Pozzolo. È una brughiera di terra soffice, intrisa d'acqua e resa gelida dalla brina, squallida e desolata; non vi si vede che brevi arbusti di canna da palude per larghissimo tratto; ma, per fortuna, molto distanti gli uni dagli altri. Ci sono anche alberi enormi, ontani secolari.

Contro uno di questi, alle 20,44 di ieri, cozzò l'ala di destra dell'I.Lucky. Fu tagliata di netto e la si vide accendersi dietro di noi, che nel frattempo proseguivamo nella corsa. Fu questione di attimi, e anche l'ala sinistra cedette di schianto frantumandosi al suolo ed incendiandosi. L'I.Lucky era ridotto al solo corpo della fusoliera: i motori erano andati a conficcarsi nel terreno, a una distanza che si poteva oramai valutare a centinaia di metri. Il carrello toccò terra con violenza; servì da freno alla nostra corsa poiché arava profondamente il suolo.

Per dire tutta la verità, in quel momento ancora non mi ero reso conto di nulla. Leggendo un libro, le rare occhiate che avevo dato oltre i vetri annebbiati del finestrino mi avevano fatto credere che i fuochi che vedevo accendersi nella brughiera fossero fuochi di segnalazione della pista. Del resto li vedevo paralleli e allineati con sufficiente regolarità. Ma il contatto del carrello contro il suolo avvenne in modo così brusco che anche il libro mi cadde dalle mani, la cinghia del sedile mi diede un forte strappo allo stomaco; le mani, i piedi, le ginocchia e il capo per un momento mi sembrò che andassero a disperdersi in troppe direzioni. Nello stesso momento picchiavo infatti avanti e dietro, a sinistra ed a destra.

Un grido pauroso

Un grido allora si udì nella cabina di poppa: «Rompete a calci i finestrini!». Qualcuno si provò senza ottenere alcun effetto, altri gridavano: «Calma, calma». Lo steward disse: «Aiutate, aiutate». Verso la cabina di poppa stava avanzando il fuoco. Dalla cabina di pilotaggio aveva serpeggiato già nella saletta nautica. Qualche lingua sprizzava nella cabina di prora. Questa di prora si era conservata, dopo l'urto, in condizioni migliori di struttura. Riusciva infatti abbastanza facile aprire le porte di sicurezza, cosa che invece nella cabina di poppa, più sconquassata, non pareva possibile. Apparivano contorte e impraticabili; ma a prora il fuoco si era fatto incalzante: aperto uno sportello di sicurezza, ne entrò, tremenda e inesorabile, una fiamma.

Cominciava a bruciare la stoffa dei sedili e le coperte, le borse: un passeggero dovette spegnere scintille sui capelli della moglie. Un altro gridò «Calma», e si affrettò a richiudere la porta alla fiammata. L'ufficiale di rotta, ascia in mano, si avventò contro un'altra porta; molti volonterosi lo aiutavano a spallate, a gomitate, a pugni, a calci. La porta finalmente diede il varco ai passeggeri della cabina di prora. Si tuffavano nel vano come se ad attenderli vi fosse il mare. A poppa finalmente uno sportello cedette, ne uscimmo, i pochi ultimi, in ordine perfetto. Perdemmo qualche attimo perché una signora, giunta sul limitare, ebbe una esitazione: non era il fuoco dell'incendio o il nero della brughiera desolata a ispirarle timore, ma l'idea che, scendendo al proprio turno di passaggio, avrebbe perduto le due pellicce che possedeva. Ritornò indietro al vecchio posto e ne raccolse una. Di astrakan per la cronaca. Poi, quando fece per lanciarsi a terra, perdette le scarpe.

Fuori dell'apparecchio fuggivamo lontani. Il taglio delle ali e per conseguenza la dispersione della benzina era stata la condizione della nostra salvezza, ma in quel momento non tutti fra di noi se ne rendevano conto. Io, per esempio, no. E correvo, a dispetto del terreno accidentato e di un ginocchio dolorante per effetto dei colpi inferti contro uno sportello della cabina di poppa. Quando ciascuno cominciò a pensare di essere ormai abbastanza lontano, sorse in noi tutti il desiderio di ritrovarci.

 

«Lè minga pusibil»

Nella brughiera, tra le fiamme degli spezzoni delle ali divampanti di fuoco, si levavano grida di richiamo: «Uh, uh, uh!». Frattanto dai canneti uscivano rari contadini trasecolati. Trasecolavano al vederci né volevano credere che noi fossimo usciti da quel rogo: Lè minga pusibil, continuava a dirmi un contadino palpeggiandomi il volto; e allora anch'io, e forse tutti gli altri come me, cominciammo a toccarci orecchie, fronti, nuche, spalle. Solo i piloti ritiravano le mani coperte di sangue.

In maniche di camicia, scalzo da un piede, uno sposo americano in viaggio di nozze sosteneva dolcemente la giovine moglie, e mi chiese col migliore dei sorrisi: «Non avrebbe per caso salvato almeno una sigaretta? Non per me, per mia moglie. A lei piace molto fumare». Sigarette ne avevo un intero pacchetto, l'unica cosa che mi fosse rimasta; ma non per questo avrei potuto considerarmi tra i meno fortunati. I contadini benedicevano diversi santi e la Madonna: «Se questo non è un miracolo vuol dire che i miracoli non ci sono». Forse mai nella storia aeronautica si è dato il caso di un apparecchio che andasse completamente distrutto senza che di un così alto numero di occupanti nessuno avesse a riportare ferite gravi.

Dopo tre ore, ricoverati finalmente all'aeroporto della Malpensa, ci venne fatto di considerare che un così buon Natale realizzato in un modo tanto inconsueto, non solamente non lo avevamo mai avuto, ma neppure non avremmo mai pensato di poterlo trascorrere. E lo pensavano anche i feriti, anche i ricoverati nel piccolo ospedale di Gallarate, anche gli scalzi, i seminudi, gli incerottati e gli azzoppati che si stavano avviando verso alberghi, letti, bagni, panettoni e spumanti.

Vittorio Gorresio

 

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Articolo pubblicato il 24/12/2023