Accadde oggi. 12 novembre 1965: la “tripletta” della Banda Cavallero. Le imprese e poi l’epilogo di “Banditi a Milano”

Breve storia della banda nata in Barriera di Milano, mito della classe operaia fino alla più sanguinosa rapina italiana

Negli anni 60 la rapina a mano armata negli istituti bancari era un fatto di cronaca quasi frequente. Le banche, simbolo dell’economia, viste come il tempio della borghesia arricchita, erano obiettivo di banditi senza paura; supereroi per alcuni ceti popolari scontenti del loro status sociale e simpatizzanti per ideali di rivoluzione.

Le radici della “Banda Cavallero” hanno attecchito in questo contesto ideologico, dove la loro scarsa attitudine al lavoro e la voglia di far soldi in fretta erano alimentate da un distorto attivismo anarchico-leninista; motivo di violenza sbrigativa maturata in una Torino ancora fresca di boom economico, ma rivoluzionata da immigrazione e dai nuovi quartieri di case popolari.

La banda Cavallero si era costituita in un bar di corso Vercelli, ubicato nel periferico quartiere torinese Barriera di Milano, ed era formata da:

  • Pietro Cavallero, la mente e il capo carismatico del gruppo, un vero delinquente, ex attivista comunista, ex falegname ed ex tranviere;
  • Donato Lopez, un ragazzo di 17 anni, ex falegname, figlio di una numerosa famiglia tarantina;
  • Sante Notarnicola, anch’esso pugliese, ex venditore ambulante ed ex membro della FGCI di Biella;
  • Adriano Rovoletto ex partigiano di origine veneta, l’autista della banda;
  • Danilo Crepaldi, morto in un incidente nel 1966 e da allora ex rapinatore.

Un gruppo di efferati criminali sfaccendati, molto ex, molto politicizzato ed esaltato da una dottrina sovversiva e nichilista, ma ancor di più dal profumo borghese di quei soldi disprezzati, ma che se in tasca non ci sono, se ne sente la mancanza.

In quel tempo senza telecamere, la banda aveva elaborato una tecnica di rapina rabbiosa, rapida e depistante che, a partire dal 1963, anno di esordio a mano armata nella filiale San Paolo di Mirafiori, aveva consentito di mettere a punto numerosi colpi nella provincia di Torino e quindi a Milano, beffando sempre la polizia, motivo di orgoglio e di auto esaltazione.

La tecnica “mordi e fuggi” della banda, che durante i colpi parlava con accento francese, aveva raggiunto il massimo dell’efficienza il 12 novembre 1965, passato alla storia come il “.Venerdì nero a Milano”, per le tre rapine in tre banche diverse, effettuate in soli 30 minuti, facendo girare in tondo la polizia e svanendo nel nulla con un bottino di 20 milioni di lire. Il Corriere della Sera lo definì “Il terno secco”, altri cronisti, “La tripletta”.

La banda Cavallero era armata fino ai denti, ma fino al 1967, che si sapesse, non aveva fatto una sola vittima. Cortesia interrotta in una banca di Ciriè, a causa della mossa sbagliata di uno sfortunato cliente freddato sul colpo. Quel 1967 sarà l’anno della svolta e della fine. Memore del “Terno secco” la banda Cavallero, braccata nella provincia di Torino, era tornata a Milano e il 25 settembre assaltava il Banco di Napoli in largo Zandonai. Durante il colpo però, un coraggioso impiegato riusciva a premere il bottone dell’allarme e la polizia arrivava in massa, con le volanti a sirene spiegate.

Il resto è storia nota anche per il film “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani, pellicola di grande successo anche all'estero, uscita l’anno seguente a quella che è stata la rapina più sanguinosa della storia italiana.

All’arrivo degli agenti, i banditi si davano alla fuga con una Fiat  1100, ingaggiando una feroce sparatoria in velocità, con le “pantere” della polizia lanciate all’inseguimento. Dopo 30 minuti, tra colpi di pistola e raffiche di mitra esplose dai banditi verso civili e poliziotti, tre passanti morivano centrati da pallottole vaganti, mentre si contavano altri 12 feriti, alcuni gravi, tra gente comune e agenti delle volanti.

Abbandonata la vettura, gli assassini si mescolavano alla folla. Rovoletto, con parte del malloppo sarà subito catturato dagli agenti, aiutati da un pensionato che morirà di infarto pochi giorni dopo. Donato Lopez, raggiunta Torino sarà pizzicato a casa dei genitori. Cavallero e Notarnicola verranno presi in un desueto casello ferroviario vicino a Valenza, affamati e intirizziti dopo una settimana di fuga.

 

Il sanguinoso epilogo della rapina rappresentò anche la fine della simpatia operaia suscitata dalla Banda Cavallero, che non aveva esitato a sparare “ridendo”, anche a tanta brava gente di periferia. Gli eroi del bar di Barriera, risultarono di colpo quello che erano veramente: sfaccendati criminali invasati di teorie, responsabili di 23 rapine, 5 sequestri di persona, 5 omicidi e oltre 20 tentati omicidi.

Nel processo, Donato Lopez verrà condannato a 12 anni e 7 mesi poiché ancora minorenne, per gli altri l’ergastolo fu accolto a pugno alzato e intonando un coro anarchico: “Figli dell’officina”, anche se l’officina non l’avevano frequentata mai.

Ergastoli scontati solo in parte. Cavallero, pentito e convertito alla fede, in cui riconoscerà la vera giustizia sociale, uscirà nel 1988, dedicandosi agli emarginati presso il Sermig di Torino. Diversa ideologia per Sante Notarnicola, dichiaratosi prigioniero politico, incluso dalle B.R. nella lista da liberare in cambio di Aldo Moro, uscirà nel 2000, aprendo un’osteria nel centro di Bologna. Rivoletto invece, dopo una lunga malattia morirà al CTO di Torino nel 2015.

 

Accadeva oggi 58 anni fa, la Banda Cavallero riempiva le prime pagine con il “Venerdì Nero a Milano”, tenendo banco per molti anni. Souvenir di quando l’autore di questa cronistoria nera era un monello che viveva a pochi isolati da quel bar di corso Vercelli. Tempi in cui la Barriera di Milano veniva stravolta da file di case popolari costruite per quelli che allora erano “i meridionali”. Italiani "saliti" a nord da quegli angoli di un sud più povero che mai, per lavorare alla Fiat, piantando le radici per una vita certamente migliore.

Tempi di scontri tra culture, ma anche fisici, tra noi ragazzi “del posto” e quei coetanei spaesati e prepotenti. Botte e sassate da entrambe le parti, e intanto, crescendo si diventava amici. Oggi si chiamerebbe integrazione, ma lo scenario è diverso e quella Fiat che dava lavoro a una città, resta argomento per dibattiti sulla riconversione.

Diapositive di un incrocio tra luoghi e culture, di come dove e quando, fare il rapinatore aveva un pretesto popolare. Oggi la Barriera di Milano è in mano ad altri prepotenti e allo spaccio. Molto degrado, nessun lavoro, nessuna ideologia. Quali saranno i nuovi eroi dei pensionati barricati nelle loro case popolari?

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Articolo pubblicato il 12/11/2023