Un gioiello torinese - La Villa della Regina

Di Alessandro Mella

Sulle colline torinese sorge, da secoli, la sontuosa dimora che fu delle duchesse di Savoia e poi delle regine di Sardegna, le quali le diedero i nomi. Prima quello di Villa Ludovica (altro nome di Luisa), dalla moglie di Maurizio di Savoia, e poi di Villa o Vigna della Regina dopo l’ottenimento della corona regia da parte dei Savoia nel 1713:

Morto il principe Maurizio nel 1657, Luisa di Savoia, nipote e vedova di lui, abitò questa villa lunghi anni. Chiamavasi allora Villa Ludovica; e solo ai tempi d'Anna d'Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, pigliò il nome di Vigna della Regina (...). La Vigna della Regina è adorna di nobili dipinti del Corradi, di Giuseppe Dallamano, modenese, e di Gio. Battista Crosato, veneziano.

Il suo giardino, foggiato all'italiana, presenta orti e boschi disposti a forma di anfiteatro con fontana e sontuosi ornamenti d'architettura. (1)

Nel 1615 il già citato Maurizio, fratello di Amedeo I, ne dispose l’edificazione affidandosi alla perizia di Ascanio Vitozzi ma questi non sopravvisse ai lavori e dovettero subentrare Carlo e Amedeo di Castellamonte.

In poco tempo la residenza divenne un riferimento anche sociale e culturale poiché Maurizio amava circondarsi di intellettuali, artisti e scienziati. (2)

Luisa detta Ludovica venne a mancare alcuni anni dopo, nel 1692, ad allora Maria d’Orléans, consorte del celeberrimo Vittorio Amedeo II, vi si stabilì trascorrendovi lunghi periodi.

Vissuta nel pieno settecento, con i fatti di fine secolo, la rivoluzione in Francia e la calata delle milizie napoleoniche, la residenza vide iniziare un’infelice fase di declino che si protrasse nel tempo. Le stesse cronache ottocentesche, pur nell’ambito d’altre polemiche, non esitarono ad esprimersi in modo esplicito sulla situazione della villa:

Dagli abitanti le case laterali al viale della Villa della Regina si desidererebbe, che corpo di guardia che custodisce i topi che scorrono per le vuote sale di quella Villa, fosse trasportato un po' più in giù cioè ai due pilastri che sono a metà della salita.

Così quel corpo di guardia servirebbe a tutelare i numerosi abitanti di quelle i quali valgono qualche cosa di più che non i sorci altefati, ed inoltre pare che abbiano in certo modo diritto a questa loro domanda dal momento che il dazio allargando la sua cinta li ha amorosamente rinchiusi fra le sue braccia doganali. (3)

Passò del tempo poi Vittorio Emanuele II, frattanto asceso dal trono sardo a quello d’Italia, volle donare l’edificio all’Istituto per le Figlie dei Militari affinché fosse valorizzato attraverso l’impiego benefico in favore delle orfane dei combattenti caduti nelle recenti, e non terminate, guerre risorgimentali.

La collocazione dell’istituto stesso diede luogo ad un certo vociare volendo trovare soluzioni che non trascurassero l’importanza della villa pur non parendo questa del tutto sufficiente allo scopo:

Intanto poi facciamo plauso noi pure l'idea manifestata da taluno di cercar di ottenere che l'Istituto si apra nell'edificio che ora era occupato dal Ministero della guerra.

Non si vuol già rinunziare al grandioso dono della Villa Regina fatto dal munifico nostro Sovrano; ma considerando che tale fabbricato non sarebbe sufficiente a raccogliere quel numero di fanciulle che si desidera; considerando che per ridurlo a uso di convitto occorrerebbero enormi spese e si verrebbe oltrecciò a togliere pregio in molte parti a un edificio ricco di interne decorazioni, pare si potrebbe destinare il locale del Ministero per dimora stabile, e la Villa Regina per villeggiatura ove condurre le educande nei giorni di ripose, ed anche per le convalescenti (…). (4)

Nondimeno l’edificio, dopo un restauro nel 1936, prese ad operare per il suo lodevole scopo finché, con la furia della guerra, gli ordigni lanciati su Torino tra il 1940 ed il 1945 non finirono per danneggiarla al punto da renderla inservibile.

Fu l’inizio di un nuovo triste oblio per questo scrigno di storia ed arte. Un appello, nondimeno, fu lanciato ancora con la guerra in corso. Appello coraggioso, occorre aggiungere, dal momento che fu pubblicato il giorno dopo l’implosione del regime per cui quando il testo fu redatto, probabilmente, nelle intenzioni dell’autore emerse il coraggio di criticare il sistema il cui collasso era imminente ma non ancora di pubblico dominio:

Sul pendio della collina, visibile dalla bella strada che porta a Villa Genero, la Villa della Regina è ancora guardata con compiacimento dai torinesi.

La Villa fu costruita nel secolo XVII dall'architetto Ascanio Vittozzi da Orvieto per volere del Principe Maurizio di Savoia. Alla primitiva fabbrica, si aggiunsero prospettive, mosaici, fontane, statue, ombrose passeggiate su iniziativa della principessa Ludovica e della regina Anna d'Orléans, sposa di Vittorio Amedeo II, dalla quale venne l'attuale denominazione di Villa della Regina e da altri ancora, con l'opera di valenti architetti quali Amedeo di Castellamonte, Filippo Juvara e Pietro di Famigliano.

Il che sta a documentare che la Corte Sabauda ha sempre tenuto in conto di accogliente e piacevole abitazione la Villa, dalla quale si gode una buona vista della città.

E difatti, soprattutto l'interno sa dare accoglienza e piacevolezza con la vastità delle sale e l'armonia delle linee, con i dipinti numerosi e artisticamente notevoli, saggi significativi - come appare dalle belle illustrazioni del recente libro di S. Olivero sulla Villa - di fastosa aulica decorazione del Settecento.

Sono opere del Crosato, del Giaquinto, dei Valeriani, del Dallamano, del Seyter e del bizzarro Minei che piacciono ancora oggi e che sarebbe peccato lasciare in abbandono. Notevoli, nella cerchia della Villa, il palazzo Chiablese e più ancora il padiglione dei Solinghi, fatto costruire dal principe Maurizio per ospitare le serene conversazioni dei dotti accademici su argomenti di filosofia o di bella letteratura, e che con opportuno intervento la contessa Alice Voli Denina fece restaurare nel 1936.

Quello che invece avrebbe bisogno di restauri è il Belvedere, ammirevole dal punto di vista artistico, uno dei veri gioielli della Villa, e più ancora il giardino, una volta fiorente e meraviglioso, nella sua sobria architettura all'italiana.

Ed è un vero peccato che tale attraente esempio di giardino piemontese e che edifici di gustosa architettura vengano trascurati.

Non appena le circostanze lo consentiranno col ripristinare l'antico splendore e facendo rinascere il bellissimo giardino, la città verrebbe ad avere una attrattiva di più, degna della sua ricca tradizione. (5)

Con i cicli di incursioni che colpirono anche Torino, voluti tra il 1943 ed il 1945 per fiaccare le città sotto la sovranità ridotta della Repubblica Sociale Italiana e l’umore della popolazione, la villa subì i maggiori danni.

Il dopoguerra corrispose, appunto, ad un nuovo lungo periodo d’abbandono che può sembrarci facile condannare e disprezzare ma deve essere contestualizzato.

C’era da ricostruire tutto. Gli ospedali, le scuole, le ferrovie, le industrie, le strade, i ponti ed intere città. Così i beni culturali finirono per sembrare un tema non prioritario e del resto c’era perfino da edificare le case per i molti e molte che l’avevano perduta. Poi il disinteresse, da necessità impellente, divenne abitudine e prassi consolidata.

Fortunatamente l’edificio fu acquisito dallo stato nel 1994 e vennero avviati i lavori di restauro che permisero di riportare la villa all’antico splendore rendendola fruibile dal pubblico nei primi anni 2000.

Oggi, infatti, è possibile visitarla ed apprezzarne gli arredi, i dipinti con tele di Seiter e Crosato, i ritratti dei reali, tra cui quello del benefattore Vittorio Emanuele II, il mobilio cinese e tante altre piccole meraviglie, tra cui gli splendidi giardini con un incantevole panorama sulla città.

Una meraviglia incastonata tra le colline, uno dei tanti lasciti di una dinastia millenaria spesso oggetto di vulgate ingenerose.

Alessandro Mella

NOTE

1) Torino e i suoi dintorni, Carlo Schiepatti Libraio Editore, Torino, 1852, pp. 284-285.

2) Lo stesso Maurizio di Savoia si spense presso la Villa della Regina che aveva tanto amato.

3) La Gazzetta del Popolo, 206, Anno V, 30 agosto 1852, p. 3.

4) Ibid., 352, Anno XVIII, 20 dicembre 1865, p. 2.

5) La Stampa, 177, Anno LXVII, 26 luglio 1943, p. 2.

 

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Articolo pubblicato il 08/11/2023