Antisemitismo E Antisionismo

Non sono sinonimi ma comuni espressioni d’un identico disagio esistenziale

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Sem, Cam e Jafet erano i figli di Noè che, salvati con le loro mogli nell’arca costruita dal padre, dopo il diluvio universale ripopolarono così la terra, come risulta dalla Tavola delle genti (Genesi 10): i discendenti di Sem – i Semiti – si diffusero nella Palestina, oggi occupata parzialmente dallo stato di Israele, e anche in Siria, Arabia, Mesopotamia e Assiria; i discendenti di Cam – i Camiti - occuparono il Nordafrica; i Giapetiti, discendenti di Jafet, si insediarono in Europa, Turchia, Persia e India, donde il termine Indoeuropei per i popoli di quelle terre.

In Genesi (9,20-27) si narra anche di Noè che, dopo aver maledetto i discendenti di Cam, perché questo figlio gli aveva mancato di rispetto, disse poi: Benedetto il Signore, Dio di Sem. Gli ebrei, dunque, Semiti, si ritengono popolo eletto dal Signore. Gli antisemiti sono contro gli ebrei.

Per definizione adottata dalla organizzazione intergovernativa International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), fondata nel 1998 per educare all'Olocausto, l'antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.

In sintesi, sono atti di antisemitismo, di odio razziale e culturale verso gli ebrei, quelli rivolti contro persone o proprietà percepite come ebraiche. Questi atti sono condannati dalle leggi degli stati nei quali si considerano atti criminali certe manifestazioni di odio razziale, che occupano spazi del vivere collettivo o dei mezzi di comunicazione.

Mentre antisemitismo è manifestazione viscerale di odio verso gli ebrei, antisionismo è manifestazione di avversione politica al progetto ebraico di prendere pieno possesso della terra promessa, soverchiando le aspettative legittime degli arabi di lì. Questi si sentono palestinesi di fatto e vedono come usurpatori gli ebrei venuti da fuori, ai quali hanno offerto riparo dalle persecuzioni razziali. Hanno dato loro una mano e non tollerano che cerchino di prendersi anche il proprio braccio.

In questo tira e molla per il possesso di una terra, promessa agli uni per dettato divino e pretesa dagli altri per diritto dei loro natali su quel suolo, c’è il contrapporsi di due fazioni. Sul ring del mondo, col tifo che sale per gli ebrei o per i palestinesi e coi bagarini che amministrano le puntate degli accaniti scommettitori stranieri, la questione israelo-palestinese va avanti da decenni. Forse andrà ancora avanti così, perché è un gioco d’azzardo troppo stimolante per le grandi potenze e per gli altri stati che si ritengono tali, ludopatici tutti, i quali sanno ben camuffare la loro dipendenza da questo gioco internazionale, che vede tante istituzioni sedute intorno a quel tavolo: piatto ricco mi ci ficco.

Nel casinò del Medioriente, termine che senza l’accento finale meglio definisce quanto lì si fa da tempo, non si punta sul bianco o sul nero della roulette, ma su due ideologie della storia: quella degli ebrei, che arrivano da emigranti e vogliono fare della Palestina uno stato/rifugio tutto loro lontano dalle angherie subite altrove e ancora temute, e quella dei palestinesi, che sullo stesso territorio rivendicano il pieno diritto di esserci, per nascita e per vita lì vissuta.

La NATO cerca da anni una soluzione politica, che ponga fine alle reciproche violenze di questi due popoli. Il suo progetto di creare sul territorio della Palestina uno stato per gli ebri e uno per gli arabi portò subito i primi a ufficializzare la nascita dello Stato di Israele, poi riconosciuto dalla Nato. Quello della Palestina, invece, è stato autoproclamato solo una quarantina di anni dopo, è riconosciuto solamente da pochi altri a livello internazionale, ha sovranità limitata e comprende la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Israele, che occupa di fatto la Cisgiordania, ha dato alla Striscia di Gaza l’aspetto di una prigione a cielo aperto, la più grande del mondo: ne sorveglia strettamente il litorale e ha segnato tutto il confine di terra con un solido muro interrato, sormontato da una alta e robusta recinzione. Lì si entra e si esce solo per appositi varchi, che consentono il controllo di tutti i transiti e riducono quindi all’osso la economia locale. Sono più di due milioni le persone, con una densità sul territorio tra le più elevate al mondo, che hanno bisogno di tutto per vivere e sopravvivere nella Striscia di Gaza la quale, per ogni cosa, servizi compresi, dipende dalle importazioni israeliane e in parte egiziane. Ad oggi, è amministrata dal partito che ha ottenuto la maggioranza nel corso delle elezioni legislative palestinesi del 2006: Hamas.

Hamas è un partito politico islamico; come tale, mal sopporta sul territorio palestinese la presenza degli ebrei e non tollera le mire espansionistiche dello stato di Israele, tese a far propria l’intera terra di Palestina. Queste frizioni, che sono di vecchia data, per la importanza strategica mondiale del Medioriente preoccupano le grandi potenze, le quali hanno tutto l’interesse a normalizzare i rapporti tra i locali. Ma la diplomazia fino ad ora si è dimostrata inconcludente, e certo anche per questo Hamas è passata alle vie di fatto, non riuscendo più a contenere l’ira del suo braccio armato.

Le brigate Ezzedim al-Qassam, nella prima mattina d’un sabato che passerà alla storia, il 7 ottobre appena trascorso, per la esplosione di tanto odio represso hanno sfondato il reticolato di confine della Striscia di Gaza. Con inaspettata brutalità terroristica hanno preso quindi a seminare morte anche tra i bambini nei kibbutz israeliani limitrofi, a tagliar gole di inermi con sovrumana efferatezza, invasati per assunzione di droghe, che li hanno resi capaci di bestialità disumane orribilmente raccapriccianti di cui andar fieri, riprese sui filmati diffusi poi dai social per trarne vanto personale.

Ne prendiamo atto esterrefatti! Temiamo però quanto già è successo per i riscontri dei recenti abominevoli eccidi in Ucraina: che anche per questa sventagliata di dolore altrui possa esserci identica assuefazione, sull’onda di un certo egoismo, in fondo un poco sano, che guarda al bene proprio e non coinvolge più di tanto nelle drammatiche sofferenze altrui, oggetto di empatia doverosa, ma solo formale.

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 30/10/2023