Bird strike al Sandro Pertini?

Morta una bimba. Evitata una strage… forse!

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I volatili sono un pericolo costante per gli aeromobili. Il loro impatto con un aereo (bird strike) avviene durante il decollo o l’atterraggio nel 90% dei casi, e le conseguenze possono essere irrilevanti o anche disastrose: la poca quota e la velocità ridotta, in quelle circostanze, non consentono infatti manovre adeguate per cambiamenti di rotta anche improvvisi, spesso necessari, atti a fronteggiare gli esiti di certi danni, che per i velivoli ad elica potrebbero riguardarne la rottura mentre, per gli aviogetti, nel caso di aspirazione del volatile dalle prese d’aria d’una turbina, potrebbero collassarne il motore.

Le statistiche, dal 1910, riportano circa 350 decessi da bird strike in campo militare e circa 250 in campo civile. A questo secondo numero, dal 16 settembre scorso, se gli accertamenti confermeranno quel che dalle prime indagini sembra scontato, dovremo aggiungere una unità, per la morte di una bimba di appena 5 anni: sulla strada che costeggia il perimetro dell’aeroporto di Caselle Torinese, appena oltre il termine della sua pista, infatti, era a bordo d’una auto ribaltata dal violento spostamento d’aria per lo scoppio, che l’ha incendiata, di un velivolo in avaria, pare, proprio per bird strike, un MB 339 Aermacchi. L’aereo non ha scatola nera a bordo, ma la strumentazione, in grado di emularla, darà risposta ai quesiti che emergeranno nel corso delle indagini ufficiali.

Leggi, regolamenti e piani di intervento predisposti da ogni aeroporto, che conosce bene la fauna interessata alla propria zona, impongono in Italia e all’estero continue bonifiche di tutti gli animali con mezzi ritenuti idonei quali, per i volatili, dissuasori sonori spari a salve e anche falchi. Al Sandro Pertini di Caselle, aeroporto internazionale con una discarca nei pressi e circondato da boschi e campi non tutti incolti, i falchi in servizio sono una ventina, addestrati a dar la caccia a corvi, gabbiani, gazze, colombi, a spaventarli e allontanarli dai coni delle aree di decollo e atterraggio. In quell’aeroporto i falconieri avevano lavorato per tutta la mattina di quell’infausto giorno e le prime voci raccolte riferiscono che le condizioni di rischio per bird strike sarebbero state giudicate “moderate”. Comunque, c’è una indagine in corso da parte dell’Aeronautica militare e, come è ovvio, ce n’è anche una da parte della competente Procura del Tribunale di Ivrea, già oberata da quella, particolarmente complessa, che riguarda, nei pressi della vicina Brandizzo, la tremenda morte di cinque lavoratori, travolti sui binari da un treno previsto, ma sopraggiunto quando le vittime non se l’aspettavano.

In tutti gli aeroporti, le torri di controllo tengono continuamente aggiornati i piloti sullo stato delle piste nel corso di atterraggi o decolli. Bloccare, per problemi sorti improvvisi, queste operazioni in corso, potrebbe essere molto rischioso e le statistiche dicono che bird strike sono sempre possibili, purtroppo.

Nel weekend del 16 e 17 settembre scorso, con grande dispiego di persone e di mezzi, con preparazione logistica non comune e con l’accesso delle migliaia di visitatori previsti, consentita solo su prenotazione obbligatoria ma gratuita, l’Aero Club Torino, per il Centenario della nostra Aeronautica militare,  aveva annunciato la partecipazione di moltissimi velivoli e una grande festa, che avrebbe dovuto  concludersi con le evoluzioni in cielo, sempre straordinariamente emozionanti,  della Pattuglia Acrobatica Nazionale (PAN), il cui nome ufficiale è: 313º Gruppo Addestramento Acrobatico. Sono le Frecce Tricolori, che tanta parte del mondo ci invidia, una squadriglia di 11 MB 339 Aermacchi, coi nomi distintivi di Pony, seguito da numeri che vanno da 0 (Pony 0 è l’aereo del comandante) a 10 (Pony 10 è l’aereo del solista, che si distingue per le acrobazie più spettacolari). 

Una persona, appena oltre il recinto della pista di Caselle, col suo telefonino, nel pomeriggio di sabato 16 appena trascorso, ha ripreso le Frecce tricolori, che stavano decollando per una esercitazione da tenersi nel vercellese, in vista dello spettacolo del giorno dopo a Torino. Così, ha filmato anche gli ultimi momenti prima del tremendo schianto d’una di queste Frecce e lo ha subito postato. Sui social, su YouTube, quel breve video, che dura 35 secondi, è diventato virale in un attimo e al momento, se non emergeranno nel corso delle indagini altri filmati professionali o da telecamere di sorveglianza, è l’unico documento, che risulta acquisito dagli organi investigativi e che, incrociato con le voci raccolte, può permettere una attendibile ricostruzione del drammatico evento.

In apertura mostra a sinistra sul fondo della inquadratura due formazioni di aerei a triangolo, che, l’una di seguito all’altra, volano ad una altezza stimabile poco oltre un centinaio di metri dal suolo. Il fermo immagine dopo 6 secondi, mostra che dalla prima formazione a triangolo l’ultimo aereo a sinistra – sarà identificato come Pony 4 - si stacca; le immagini successive lo vedono perder quota e quelle di 12/13 secondi dopo ne registrano un breve ondeggiamento.  Dopo 15 secondi, oltre le maglie d’un ampio cancello d’accesso all’area, si vede l’aereo a una ventina di metri dal suolo. 

Chiediamoci a questo punto: perché l’aereo ha abbandonato la formazione? Perché quella sua oscillazione registrata 12/13 secondi dopo l’inizio del filmato? 

Dalle prime ipotesi, risulterebbe che Pony 4 avrebbe segnalato problemi per bird strike, che uno dei due motori si sarebbe bloccato e non ripartiva, che il velivolo non era più perfettamente governabile. Il pilota, quindi, sarebbe stato autorizzato ad abbandonare la formazione e sarebbe riuscito, virando verso una zona libera del Sandro Pertini, a portare il velivolo fuori dalla traiettoria delle costruzioni in vista, esposte ad un possibile impatto. 

Dopo 16 secondi dall’inizio del filmato, il fermo immagine mostra che il muso dell’aereo punta improvviso in picchiata verso terra e che nello stesso istante il pilota, a bordo del suo seggiolino, viene eiettato da un razzo fuori dalla cabina di guida. Un secondo dopo, Pony 4 non si vede più; il suo volo radente, infatti, viene nascosto dalla recinzione dell’area che prosegue, dopo l’ampio cancello, con un manufatto di altezza tale da nascondere allo sguardo la fine della pista. 

Dopo 18 secondi, il fermo immagine mostra in cielo il paracadute aperto, che porterà a terra il pilota, mentre oltre la recinzione si sta levando, dal luogo dell’impatto del velivolo, una grande palla di fuoco, che in pochi istanti raggiunge il diametro approssimativo di un centinaio di metri, dalla quale si protende verso la fine della pista, per oltre un centinaio di metri, una massiccia lingua di fuoco, nella direzione già seguita dall’aereo. 
Chiediamoci a questo punto: perché va in picchiata repentina quell’aereo mentre il pilota si eietta fuori dalla carlinga? 

Secondo le ipotesi fatte a caldo, si impone la valutazione di tutte le circostanze del momento. Le azioni d’impulso mancano spesso di razionalità, ma quelle del pilota appaiono invece elaborate con la velocita d’una mente allenata agli imprevisti studiati a tavolino, e che sono state eseguite, sembra, con gli automatismi d’una esperienza acquisita in migliaia di ore di volo e finalizzata anche alla sicurezza degli altri, come della propria. 

L’aereo è in avaria e perde quota. Il pilota abbandona la rotta del possibile e temuto impatto del velivolo coi fabbricati davanti. Con una breve virata a destra, e un successivo immediato richiamo in assetto, guida il velivolo verso un’area libera dell’aeroporto. L’aereo ha serbatoi capaci di oltre 2.000 litri ed è appesantito dal pieno di kerosene arricchito, appena fatto per la trasferta.  Il motore spento non riparte. L’altro, da solo, non avrebbe potenza sufficiente per riprendere quota in sicurezza di volo. La velocità dovrebbe essere prossima a 200 chilometri l’ora e lo spazio libero davanti si riduce in modo rapidissimo. Il pilota punta a terra il muso dell’aereo e si eietta fuori dalla sua postazione. L’aereo esplode al suolo in una palla di fuoco. I rottami coinvolti dalle fiamme schizzano come missili sul prato umido, poi sugli ultimi metri della pista, quindi spazzano via la recinzione dell’aeroporto, superano l’alveo d’un ruscella che scorre tra questa recinzione e una strada periferica del paese confinante e superano anche questa strada. Si fermano poco dopo.

Ad alcune centinaia di metri più avanti ci sono le case di San Francesco al Campo, con le loro presenze umane. Oltre il sedime stradale sul quale stava transitando, catapultata dallo spostamento d’aria per lo scoppio del velivolo che l’aveva incendiata, un’auto ribaltata e sbilenca. A bordo, una famiglia con un ragazzo di 12 anni e la sorellina di 5 sui sedili posteriori. 

La bimba era stata assicurata sul seggiolino aggiuntivo previsto dalla legge per il trasporto dei bambini in auto. Doveva essere la sua sicurezza. È stata la sua trappola. I genitori si sono ustionati inutilmente le braccia anche per ripararla dalle fiamme. Non ce l’hanno fatta. Il ragazzo ha riportato ustioni sul 30 % del corpo. 
Noi, che abbiamo narrato questo evento, che siamo nonni e che nell’affetto per i nostri nipoti troviamo la forza per quel che ci resta della vita, con quegli sconsolati genitori ci chiediamo: perché? 

"Se qualcosa può andar male, andrà male". Perché? È la Legge di Murphy, paradosso pseudoscientifico dall’apparenza strampalata. Nella vita, dunque, è così! Ma perché? 
Per i genitori di quella bambina forse non arriverà mai, ma certo verrà un momento nel quale, sedata la grande onda delle dolorose emozioni, che nascono dal cuore, cui non si comanda, specie in questi casi, verrà un momento, dicevamo, per riconsiderare la drammatica fatalità dell’assurdo incidente. 

Risulta che il pilota, appena toccata terra, liberatosi del paracadute, sia corso verso l’incendio e sia stato fermato da qualcuno con queste parole: “Hai ucciso una bambina!”. Risulta pure che il pilota avrebbe detto: “Non ho visto quell’auto!”. Già! Ma se l’avesse vista, cosa avrebbe potuto ulteriormente, diversamente fare? 

Il pilota di Pony 4 era già riuscito a modificare la rotta del suo MB 339 in avaria e a mettere così in sicurezza alcune case.  Aveva quindi portato il velivolo all’impatto su di un’area libera nel perimetro dell’aeroporto e si era eiettato un attimo prima che questo succedesse. Come da manuale, con freddezza, aveva così guardato alla sicurezza degli altri, con la propria, perché con buona probabilità, se l’aereo non fosse stato portato allo schianto in quell’area libera del Sandro Pertini, si sarebbe schiantato fra le case di S. Francesco al Campo, sulle quali qualche anno addietro – e certo quel pilota non poteva non saperlo, giacché è normale routine avere conoscenza  dei limiti delle piste oggetto di interesse – in circostanze non  molto diverse, era già finito un Antonov che, pur con parecchi feriti, per miracolo aveva fatto solo quattro morti. Se avesse visto quell’auto, quindi, per far meglio, il pilota avrebbe forse rischiato di far peggio.   

Gli atti di eroismo di certi uomini nascono spesso da azioni inconsulte e la medaglia al valore, in tanti di questi casi, viene consegnata alle loro vedove o a qualche parente, che la ritira col lutto al braccio. 

Nessuna medaglia ci sarà mai, però, per ricordare che a Caselle c’è stato un grave lutto nel pomeriggio d’un sabato di festa… e forse è stata evitata una strage. Potrebbe, questo pensiero, lenire un poco il grande dolore da tutti condiviso, dei genitori, cui siamo empaticamente molto vicini, di quella piccola vittima innocente? 


Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 23/09/2023