Crisi nel Nagorno-Karabakh: l'indifferenza del mondo rispetto al dramma armeno
Soldati armeni in marcia

Il rischio di escalation nel Caucaso meridionale è concreto: Israele e Turchia inviano armi agli azeri.

Il Nagorno-Karabakh (detta anche Karabakh Montuoso o Alto Karabakh) è una regione montuosa senza sbocco sul mare nella regione del Caucaso, che è riconosciuta a livello internazionale come parte integrante dell'Azerbaigian, ma i cui abitanti sono principalmente armeni. La regione ha una propria forma di governo che ha stretti legami con l'Armenia, ma non è ufficialmente riconosciuto da nessun altro paese.

Armeni e Azeri rivendicano entrambi la regione per ragioni storiche e culturali. Gli Armeni sostengono di avere una presenza nella regione che risale a diversi secoli prima di Cristo, mentre gli Azeri affermano di avere legami storici profondi con la regione, che nel corso dei secoli è stata sotto il controllo di persiani, turchi e russi.

Nel periodo sovietico, il Nagorno-Karabakh divenne una regione autonoma all'interno della repubblica sovietica dell'Azerbaigian. Stalin fece questo "regalo" agli armeni del Karabakh.

La regione del Nagorno-Karabakh è stata per lungo tempo al centro di un conflitto tra Armenia e Azerbaigian dal 1988 al 1994, quando è stato firmato un cessate il fuoco che ha posto fine alle ostilità. Tuttavia, la situazione è rimasta instabile e il conflitto non è mai stato risolto definitivamente.

La comunità internazionale ha cercato di risolvere il conflitto attraverso negoziati e accordi di pace, ma finora senza successo. L'Unione europea, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e le Nazioni Unite hanno tutti cercato di mediare tra Armenia e Azerbaigian, ma le divergenze tra le parti rimangono profonde.

Negli ultimi anni, la tensione tra Armenia e Azerbaigian è aumentata, culminando in un'offensiva militare da parte dell'Azerbaigian nel settembre 2020. Questa offensiva portò alla perdita di numerose vite umane e alla distruzione di infrastrutture civili e militari. Il conflitto si è concluso con una tregua, ma la situazione rimane tesa e instabile.

A seguito della chiusura del corridoio di Lachin da parte degli attivisti ambientali azeri, nel dicembre 2022, si è interrotto il flusso di persone e merci tra l'Armenia e Nagorno-Karabakh, creando una situazione umanitaria in rapido deterioramento. L'Azerbaigian ha giustificato la sua azione come un tentativo di prevenire il contrabbando di armi attraverso la strada.

Vi sono state accuse reciproche tra Armenia e Azerbaigian riguardo al posizionamento di truppe vicino al loro confine condiviso, e intorno all’area del Karabakh, suscitando timori tra i residenti delle due capitali che possa scoppiare nuovamente la guerra. La Russia, che ha affermato di essere il garante della sicurezza nella regione, potrebbe essere limitata dalla sua attuale guerra in Ucraina. Il governo armeno, infatti, ha affermato in questi giorni di sentirsi abbandonato dalla Russia e di pentirsi della sua scelta strategica di vicinanza con il Cremlino. Erevan si percepisce sempre più isolata ed accerchiata sul piano internazionale. A differenza del governo azero di Baku, il quale gode del supporto di Israele e di tutto il mondo islamico e turcofono.

Tuttavia, la crisi in Armenia ha radici profonde nella storia del paese. L'Armenia è stata a lungo sotto il dominio dell'Impero russo e poi dell'Unione Sovietica.

Nel 1991, l'Armenia ha ottenuto l'indipendenza dall'URSS, ma il paese ha dovuto affrontare una serie di sfide politiche ed economiche non indifferenti. La crisi economica, la corruzione e la mancanza di prospettive per i giovani hanno portato a una crescente insoddisfazione della popolazione.

La situazione nel Nagorno-Karabakh rappresenta una sfida per la stabilità della regione del Caucaso meridionale e per la sicurezza internazionale, specie dopo le ultime tensioni emerse tra paesi euroasiatici e occidentali. È necessario trovare una soluzione pacifica al conflitto, che tenga conto delle aspirazioni delle popolazioni coinvolte e che rispetti il diritto internazionale. La comunità internazionale deve continuare a sostenere gli sforzi per una risoluzione equilibrata della guerra, attraverso il dialogo e la diplomazia. Pure chimere idealistiche, che ad oggi tardano ad arrivare, mentre un enorme crisi umanitaria incombe sulla regione.

 

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Articolo pubblicato il 13/09/2023