Eccidio alla Barriera di Casale

Passeggiate agostane torinesi fra bianco e noir

Sabato 8 settembre 1900 è giornata da gita fuori porta: a Superga e alla Madonna del Pilone si svolgono delle feste e molti torinesi vi accorrono attirati dai rustici pranzi in trattoria e, i giovani, dai balli campestri.

La sera della giornata di festa è turbata da un grave fatto di sangue che La Stampa definisce l’eccidio della Barriera di Casale. Siamo nell’attuale piazza Borromini, dove sorge l’edificio delle guardie daziarie e lungo l’attuale corso Gabetti scorre il rio che scende dalla Val San Martino e il muro della cinta daziaria. Siamo in un punto di passaggio obbligato per i gitanti che si sono recati nelle due località prima ricordate.

E proprio alla Barriera di Casale, verso l’una della notte, giunge una grossa pattuglia di Guardie di Pubblica Sicurezza che ritornano da Superga dove hanno svolto il servizio di ordine pubblico. Trovano una situazione critica: a terra giacciono quattro feriti, uno in gravissime condizioni, assistiti da un gruppo di amici tutti giovani e giovanissimi operai più o meno brilli.

I poliziotti portano i feriti in ospedale San Giovanni. Uno dei feriti, Carlo Oneglia, materassaio di 22 anni, è giunto morto per una coltellata che gli ha leso il cuore. Pietro Galassini, arrotino di 19 anni, è in gravissime condizioni per una ferita al ventre e morirà dopo tre giorni. Giovanni Barbero, di 20 anni, colpito alla schiena, e Giovanni Bono, al costato destro, sono giudicati guaribili in una ventina di giorni salvo complicazioni. Gli amici indenni, per non saper né leggere né scrivere, sono trattenuti in Questura per essere interrogati sulla dinamica del ferimento. I fermati sono cinque e, col morto e i tre feriti, formavano quella che sarà detta la comitiva dei nove.

Per spiegare questo macello, si attivano i migliori funzionari della Questura. Dall’interrogatorio dei tre feriti e dei loro amici indenni, emerge una descrizione abbastanza caotica che parla di un incontro avvenuto alle 0:30 quando alla Barriera di Casale è giunta una comitiva formata da un uomo con tre donne. Uno dei componenti della comitiva dei nove - pare il morto Oneglia - ha fatto qualche apprezzamento pesante nei confronti di una delle ragazze, qualcuno ha allungato le mani. Questo ha scatenato l’ira del loro accompagnatore, che dopo un breve battibecco, ha dato mano al coltello menando colpi all’impazzata che hanno lasciato quattro feriti sul terreno.

Le testimonianze, piuttosto confuse, parlano di tre donne, poi di quattro, di un loro secondo accompagnatore che però non ha preso parte alla rissa. Si dice che siano fuggiti con una carrozza pubblica che in un primo tempo si indica come diretta alla Madonna del Pilone e poi in direzione della Gran Madre. Il feritore sarebbe invece fuggito a piedi nella campagna.

Appare che la comitiva dei nove era formata da barabba avvinazzati e che il feritore non aveva poi tutti i torti. Si levano voci critiche per il comportamento delle Guardie daziarie che non sono intervenute e pare, che si siano defilate alle richieste di aiuto. Queste Guardie devono riscuotere il pedaggio sulle merci in entrata, non sono poliziotti, ma portano un’uniforme del Municipio, e, nella mentalità dell’epoca, devono comunque rappresentare un punto di riferimento per il cittadino.

Per alcuni giorni i giornali torinesi riferiscono le diverse versioni che emergono col proseguire delle indagini.

Viene trovato un cocchiere che ha assistito alla scena e ha visto il gruppo che comprendeva il feritore, tre donne e tre uomini, dice che sono fuggiti a piedi verso la Gran Madre, lui ha visti due volte, davanti all’Istituto della Vecchiaia e poi in piazza Vittorio. Ma l’uomo spergiura di non conoscerli, di non ricordare il loro aspetto, nemmeno i vestiti delle donne. Poi si dice che la Questura è riuscita a ottenere il nome di una delle donne e si parla del cappello, con una stella alpina infilata nel nastro, che l’omicida ha perso nella colluttazione ed è rimasto sulla scena del crimine.

Così, il 5 ottobre, viene annunciato l’arresto dell’autore dell’eccidio. Si tratta di un insospettabile, Giovanni Ayres, di 20 anni, nato a Viù e residente a Torino dove lavora come cuoco.

Ayres confessa che l’8 settembre si è recato per lavoro nella Trattoria della Margherita, alla Madonna del Pilone. Verso mezzanotte si è avviato per ritornare a casa insieme a quattro ragazze, fra 14 e 17 anni, tutte sarte, le sorelle Domenica e Lucia Gambino e Adelina e Giuseppina Vigoffi, sue cugine, che erano andate a fare «quattro salti» nella borgata. Vi erano anche due suoi amici, un cuoco e un cameriere che quel giorno avevano lavorato con lui. Si sono avviati verso le 23:30. Per via si sono divisi in coppie, Ayres era in compagnia di Adelina Vigoffi.

Strada facendo, le tre coppie si sono distanziate di parecchi metri, così quando Ayres e Adelina sono giunti alla Barriera di Casale, gli altri due gruppi erano già molto avanti. Qui tre giovanotti, seduti su una panca, lo hanno provocato rivolgendo frasi sconce alla ragazza. Lui ha ribattuto, gli altri hanno smesso per un momento, la ragazza lo ha abbandonato per rincorrere sorelle e amiche. Allora nove giovinastri lo hanno circondato, urlando improperi e minacce, preso a pugni e colpito con varie coltellate. Lui prima ha cercato di difendersi con calci e pugni, ma quando ha sentito le ferite, ha tirato fuori di tasca un coltello e con questo ha menato colpi in tutte le direzioni, cercando di farsi largo fra quei barabba. Benché mingherlino, e con un semplice coltello a serramanico, animato dalla forza della disperazione, ne ha ucciso uno, colpito a morte un secondo e feriti altri due.

Spaventato, è fuggito e gli amici lo hanno accompagnato a casa sua, in via Piossasco 10, dove si è curato le ferite da solo, alla meglio, senza ricorrere al medico.

Ayres ha risposto alle provocazioni di una banda di barabba che avevano brutte intenzioni nei suoi confronti. Viene però incarcerato e si apre l’istruttoria del processo. In questo periodo, un componente della comitiva dei nove è finito in prigione per gravi reati, un secondo è fuggito in America.

Al 12 marzo del 1901 inizia il suo processo in Corte d’Assise, con enorme concorso di pubblico. Ayres appare come un giovane vestito civilmente di nero, di aspetto simpatico, vivace e intelligente, che si difende parlando con voce chiara e sicura e con eloquio di una certa eleganza e precisione. Sostiene di avere agito per legittima difesa.

Assumono notevole rilievo le dichiarazioni in suo favore di alcuni funzionari di Polizia e il coro unanime di elogi che proviene dai vicini di casa, conoscenti, padroni. Molti dei testimoni in suo favore provengono da Viù, suo paese natio: maestri, segretari comunali, consiglieri, assessori. Anche il suo avvocato difensore, Giovanni Rastelli, è originario di questo comune delle Valli di Lanzo, del quale è stato Sindaco, oltre che consigliere provinciale e deputato al Parlamento per tre legislature(*).

Depongono i componenti della comitiva dei nove. La Polizia li presenta come personaggi di cattive qualità morali. Come già detto, uno è detenuto, un altro è fuggito in America. Sono reticenti, contraddittori, rispondono con arroganza, quasi di mala voglia, alle continue contestazioni del Presidente che li coglie in contraddizione, e ne destano reprimende e battute ironiche.

Le quattro ragazze confermano che Ayres è stato circondato minacciosamente e che uno dei teppisti ha allungato le mani su una di loro.

Con tutto questo, il dibattimento non è sempre in discesa per Ayres. Il Pubblico Ministero intende concedergli soltanto l’attenuante di aver ecceduto nella difesa. La famiglia Oneglia si è costituita parte civile, a tutela della memoria del figlio che non aveva precedenti penali, con un agguerrito avvocato. L’arringa del difensore Rastelli, che stigmatizza la barabberia, fa presa sui giurati.

Il 14 marzo, Ayres è assolto, rimesso subito in libertà e portato in trionfo da un pubblico plaudente.

Viene rivolta un’ovazione anche al suo difensore, il quale però si sottrae frettolosamente agli applausi.

L’aspetto più attuale di questa vicenda di 123 anni fa è quello del cittadino che si fa giustizia da solo nei confronti di criminali prepotenti e impuniti come i barabba che si fanno forti del loro numero.

In quegli anni a Torino la barabberia costituiva ancora un notevole problema e non a caso la cronaca riferisce che Ayres viene portato in trionfo tra urla di Morte ai barabba!

Un clima che può ricordare la New York degli anni ’70 del Novecento de Il giustiziere della notte, romanzo del 1972 di Brian Garfield e del film del 1974 di Michael Winner.

 

(*) Giovanni Rastelli (Viù, 1858 - 1917) rappresenta una delle figure più importanti nella storia delle Valli di Lanzo: il volume di Alessandro Mella “Dalle Valli di Lanzo alla Nuova Italia. Note storiche su Giovanni Rastelli” (Roberto Chiaramonte Editore 2017) racconta le vicende di questo personaggio e descrive il contesto politico e sociale in cui operò.

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Articolo pubblicato il 22/08/2023