Le dive del muto torinese, misteriose e affascinanti

Di Katia Bernacci per Civico 20 News

È passato poco tempo da quando è stato ritrovato un manifesto, datato marzo 1896, che pubblicizzava una proiezione cinematografica a Torino. Questo vorrebbe dire che ci sono alcune probabilità che il cinema sia arrivato a Torino prima che in altre città, anche se è di fine marzo di quello stesso anno una proiezione milanese, e del 13 marzo una romana.

Per mal che vada sicuramente la nostra città non sfigura, inoltre è plausibile che la vicinanza con la Francia abbia avuto un certo ruolo, visto che i fratelli Lumière, inventori del cinématographe, uno strumento che funzionava sia da camera che da proiettore, brevettato nel 1895, erano di Besançon, e la prima proiezione ebbe luogo a Parigi.

I geniali fratelli avviarono un’attività di tutto rispetto e il rappresentante in Italia delle loro apparecchiature era un torinese, Vittorio Calcina, diventato poi anche regista; ma come ci svela Enrico Giacovelli nel suo libro “Silenzio! Si gira”, forse non sapremo mai quando è avvenuta quella prima proiezione torinese, accontentiamoci di sapere che da quella volta è nato un amore insopprimibile ed eterno tra la città più elegante d’Italia e la nuova geniale scoperta.

Si moltiplicano in quegli anni i luoghi che proiettano film brevi, come il Carignano, o ancora il Caffè Concerto Romano, che offre una proiezione alla fine di ogni serata: immagini semoventi proiettate sull’abito bianco di una ragazza che danza. Il cinema è anche itinerante, oppure estivo, e durante la stagione calda vengono montati schermi giganti da dodici metri, per permettere ai torinesi di assistere alle proiezioni di pellicole che diventano sempre più numerose, spesso in bianco e nero, ma più sovente colorate a mano con tonalità sgargianti: con il cinema si fanno affari d’oro, e non tardano a capirlo commercianti, circensi e le stesse amministrazioni cittadine.

Gli attori, inizialmente senza tante pretese, inaugurano la stagione dei divi e delle dive e tra i più conosciuti troviamo l’attrice che ha impersonato Poppea per due volte, Lydia de Roberti, nome d’arte di Lidia Bonelli (anch’esso un nome d’arte), polacca dai tratti alteri e prima vamp del cinema italiano.

La prima attrice davvero torinese (anche se nata a Milano) è stata Maria Cleope Tarlani, che cambiò nome in Mary Cleò Tarlarini e che, proveniente dai caffè-concerto e scritturata in età “avanzata” (30 anni), rimase nei cuori degli amanti del cinema, grazie a Arturo Ambrosio, ragioniere con la passione per la fotografia, che fece del cinema la sua massima espressione. E proprio nel periodo della Tarlani decise di lanciare una serie di film che prendevano spunto da grandi romanzi, come Spergiura!, tratto dal racconto di Balzac La Grande Bretèche, la storia un po’ sordida ma sicuramente intrigante di un ménage à trois, dove il marito, rientrando dal lavoro, scopre la moglie con l’amante, ma fa finta di non sapere che si è nascosto nel ripostiglio e lo fa murare vivo.

Girato in parte a Villa della Regina, fu preparato con cura insolita: gli attori si sottoposero a numerose prove; i costumi vennero disegnati da una sarta anziché affidati ai maneggi di un trovarobe; e al posto delle quinte teatrali con monotone tende disegnate sul fondo della scena si usarono tendaggi di seta, finestre di vetro e mobili autentici”, Giacovelli parla con riguardo di quei primi film che vogliono essere culturali e precisi, ma riescono anche a far sorridere, per i temi quasi comici, gli svenimenti improvvisi, le movenze esagerate. Il partner della Tarlani, dopo otto anni passati a morire a fianco dell’attrice, si annoia e se ne va, e la diva, dal 1913, viene messa da parte da altre attrici, più giovani e provocanti, come la Borelli e la Bertini. Quella però era la sua vita e non si diede per vinta, continuò a recitare nei teatri di varietà e fondò una propria casa di produzione: la Cleò Film.

Donne di altri tempi, ma non così diverse da oggi, pare che Mary Cleò sapesse come far appassionare e dividere l’opinione pubblica, ad un viso franco e un sorriso da ragazza della porta accanto, si accompagnava l’attrice che voleva sentir suonare un violino durante ogni scena recitata e che ostentava in pubblico la propria bisessualità.

Il 1911, l’anno della Grande Esposizione Universale, segna per Torino un cambio di passo, è al centro dell’attenzione e diventa ufficialmente, anche grazie al grande allestimento cinematografico e a un padiglione interamente dedicato alla nuova arte, la capitale del cinema.

Nel 1909 Ambrosio si era recato negli Stati Uniti e aveva notato che le pellicole italiane erano piaciute moltissimo (soprattutto quelle più brutte, a suo dire) e aveva aperto poi una succursale a Londra, facendo grandi affari. L’avventura del cinema proseguiva a vele spiegate e arrivarono le grandi dive, amate e desiderate, molto più degli attori, che sono rimasti nella memoria collettiva solo in parte. Le vere torinesi però sono poche: le sorelle Quaranta, in numero di tre, anche se la terza si sposò presto e abbandonò il cinema, che recitarono in una pellicola di grande successo: “Addio giovinezza!” e Valentina Frascaroli, che aveva iniziato la sua carriera nelle pellicole comiche come Madame Cretinetti, il personaggio spassoso interpretato dall’attore André Deed, dandosi poi a ruoli di tutto rispetto.

Considerata torinese, l’icona Lyda Borelli, in realtà genovese, un mito, talmente bella e di moda da essere ritratta dagli artisti più conosciuti e da far nascere dal suo nome neologismi come “borelleggiare”, per indicare un comportamento simile al suo. Figlia d’arte, la Borelli aveva recitato in teatro sin da bambina, i gesti portati all’eccesso, l’espressione intensa, il trucco studiato, tutto faceva intravvedere uno studio accurato delle movenze e del personaggio, persino Gramsci, non certo facile ai complimenti, disse di lei: “È l’artista per eccellenza della film (il film era femminile n.d.a.) in cui la lingua è il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovabile”.

Dal 1910 il divismo è dunque una realtà che scuote la cultura e la moda italiana, queste donne rappresentano quello che sarebbe stato il futuro, belle, piene di pathos, così diverse dal ruolo femminile dell’epoca, irraggiungibili e per questo ancora più desiderabili.

Le ragazze torinesi cercano di vestirsi come loro e copiano ogni loro gesto, i vestiti si fanno stretti attorno a corpi che si muovono sinuosi, la gestualità estrema che nel quotidiano, così come in seguito, quando arriverà il sonoro, ha qualcosa di estremamente comico.

Anche le vicende dei film passano in secondo piano paragonate al fascino che queste attrici dei primordi irradiano sul pubblico, che si lascia andare a reazioni estreme, come più avanti sarebbe avvenuto per le rockstar. Non sono rari i suicidi d’amore per le belle dello schermo, che diventano sempre più bizzarre e capricciose, riconosciute nel ruolo di primedonne che possono e devono poter ottenere qualsiasi cosa.

È il cambiamento culturale e sociale che queste donne hanno, consapevolmente o no, incarnato, creando un nuovo modo di vedere e sentire, che avrebbe introdotto il futuro, quel futuro di effetti speciali e intelligenza artificiale che forse a loro non sarebbe piaciuto, per nulla…

Katia Bernacci

Bibliografia.

Silenzio! Si gira - La straordinarissima avventura del cinema muto torinese, di Enrico Giacovelli.

Immagini proposte da Marino Olivieri ph.

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Articolo pubblicato il 23/07/2023