Infarto? Lo si previene con la vitamina D.

Lo studio rivelatore dei potenziali effetti protettivi sul cuore.

La vitamina D è particolare. La sua azione la fa sembrare un ormone. La sua elettiva si focalizza sull’intestino e aiuta l’assorbimento del calcio e del fosforo. Da ciò, indirettamente, contribuisce alla mineralizzazione delle ossa, controlla eventuali stati di infiammazione e gestisce, regolandola, l’attività del sistema immunitario.

Come riconoscere l’eventuale carenza di vitamina D.

Mentre alcune persone possono ottenere una quantità sufficiente di vitamina D da fonti naturali come alimenti specifici e luce solare, circa il 25% della popolazione mondiale ne sia carente. La cosa poi sconcertante, dal sapore di paradosso, di come, la popolazione della terra tra le più soleggiate al mondo, Italia, superi tale percentuale di almeno 50 punti. Gli italiani risultano tra i più carenti di vitamina D. Strano ma vero. Siamo a circa 80%.

I sintomi più comuni di carenza di questa vitamina, intesi come possibili segni sentinella, possono essere:

Fatica, a prescindere dall’attività svolta.

Non dormire bene in ogni circostanza emotiva o ambientale.

Dolore osseo o dolorabilità (escludendo altre cause)

Depressione o sentimenti di tristezza perduranti nel tempo.

La perdita di capelli oltre all’autunno.

Debolezza muscolare (spesso)

Perdita di appetito quasi costante.

Ammalarsi più facilmente.

Pelle pallida.

Gli studi

Un'analisi pubblicata nel 2019 su JAMA Cardiology , ha valutato 21 studi clinici e più di 83.000 partecipanti. Dopo tale studio si è  concluso che gli integratori di vitamina D sono del tutto ininfluenti nel ridurre il rischio di  morire per infarto o ictus.

La dottoressa. Rachel Neale, PhD , vice coordinatrice del dipartimento di salute della popolazione presso il QIMR Berghofer Medical Research Institute nel Queensland, in Australia ha affermato:

Il nuovo studio che ha visto coinvolte 21.000 partecipanti tra i 60 e gli 84 anni durato ben cinque anni, ha sollevato altri dubbie e speranze. In effetti sia le rivascolarizzazioni coronariche che la prevenzione di eventi cardiaci sono state minimali, ma sembrerebbe che in 25 . 30 casi ogni 1000 ci sia una buona risposta. In particolare in chi era costretto, terapeuticamente, ad assumere statine.

L’idea è quella di approfondire gli studi in merito. Su questo argomento il professor Anastassios G. Pittas, MD, capo della divisione di endocrinologia presso il Tufts Medical Center di Boston ha affermato: "Nel complesso, l'effetto della dose somministrata a questa popolazione è stato minimo", aggiungendo inoltre "Le persone che assumono statine e farmaci cardiovascolari sono a maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari", afferma. “Penso che sia possibile sostenere che le persone che sono a rischio potrebbero trarre il massimo beneficio dall'intervento”.

La ricerca continua..

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Articolo pubblicato il 08/07/2023