La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Scene di caserma (e scenate di postribolo)

Il racconto odierno si apre con una breve descrizione della location della vicenda, ovvero il vicolo di San Leone, noto anche come Vicolo della Fortuna. Siamo in Borgo Dora, e l’isola (isolato) di San Leone compresa tra l’attuale corso Regina Margherita, via Lodovico Ariosto, via Cottolengo e piazza della Repubblica, ha una forma poligonale di notevoli dimensioni. Oggi appare suddiviso in due parti dalla via Cardinale Cagliero, aperta nel 1927. Al tempo della nostra storia, tra gli attuali civici 140 e 142, si trova l’accesso del nostro vicolo che penetra nell’isolato senza raggiungere la via Cottolengo. Oltre ad abitazioni private, vi hanno sede attività artigianali e industriali, ma quella più nota del vicolo è il frequentatissimo postribolo detto appunto della Fortuna.

La vicenda è narrata da Toga-Rasa, ovvero l’avvocato Giovanni Saragat, nella rubrica Reati e Pene della Gazzetta Piemontese del 26 marzo 1885, sotto il titolo Scene di caserma.

Il protagonista è il caporale Calleri, artigliere in una delle batterie di montagna (*) che occupano una delle caserme nei pressi del Mattatoio, oggi sostituito dal Giardino Nicola Grosa e dal grattacielo di Intesa San Paolo.

Il 24 marzo 1885 il caporale Calleri viene processato dal Tribunale militare, per l’imputazione molto grave di aver dato uno schiaffo a un sergente di servizio davanti a soldati riuniti.

Tutto è iniziato in una domenica del precedente Carnevale.

Calleri, era stato punito con alcuni giorni di consegna e per questo non poteva fruire della libera uscita. Al pomeriggio, ha deciso di uscire lo stesso, dopo aver preso accordi con qualche compiacente commilitone in modo che la sua assenza non venisse notata. Infatti, all’appello dei consegnati delle ore cinque e mezzo, qualcuno ha risposto presente! al suo posto.

Calleri è andato a festeggiare il Carnevale nell’Osteria del Bersagliere dove, euforico per la scappatella, ha bevuto qualche bicchiere di troppo, il che gli ha fatto salire i fumi alla testa. Ha quindi deciso di recarsi al postribolo del vicolo San Leone. Una scelta poco felice: il locale non è soltanto attentamente sorvegliato dalla Questura, ma - nelle domeniche e nelle feste comandate - è anche controllato dai militari: un sergente e due caporali svolgono un servizio di ronda, perché i soldati non vi commettano disordini e non avvengano risse.

In quella domenica di Carnevale, il servizio è affidato al sergente Lattari e a due caporali, tutti di Fanteria. Alle 6 e mezza, passando nel vicolo San Leone, sentono un rumore di rissa nel postribolo e salgono. Là, in una sala affollata di soldati, trovano il caporale Calleri, che, ubriaco, sta sbraitando contro una delle donne del locale, forse perché ha dimostrato repulsione nei suoi confronti.  

Il sergente impone a Calleri di uscire, ma lui, che non aveva piena coscienza del suo operare, si rifiuta. Finalmente, spinto dal superiore, si avvicina alla porta, gli dà uno schiaffo e fugge.

Il sergente e i due caporali tentano di raggiungerlo, ma Calleri in due salti è in strada, e lì, sgusciando fra la folla, riesce ad allontanarsi. Ritorna di corsa in caserma e fa in tempo a rispondere all’appello dei consegnati delle ore 7:00.

Tutto bene? Calleri è stato dato presente ai due appelli e dispone, almeno in apparenza, di un alibi indiscutibile. Indiscutibile, se il diavolo non ci avesse messo la coda.

Il sergente Lattari, infatti, il giorno dopo, insieme a uno dei due caporali della ronda, va alla caserma dell’artiglieria: Calleri ha fatto la sua “evasione” in divisa ed è stato facile identificare la sua Arma di appartenenza. Lattari e il caporale avvicinano un ufficiale e gli raccontano quanto è capitato nel postribolo. Mentre stanno parlando, in un gruppo di soldati in libera uscita, il caporale riconosce quello che cercano, il nostro Calleri. Lo indica al sergente, questi lo chiama più volte, ma Calleri tira dritto, girando la testa dall’altra parte, e deve fermarsi solo quando viene chiamato per nome dall’ufficiale.

Accusato di aver dato lo schiaffo, risponde dicendosi innocente: sostiene che domenica, alle 6 e mezzo era in caserma, dove ha risposto ai due appelli dei consegnati. Quindi il sergente e il caporale si sbagliano. Calleri trova anche il sostegno di due commilitoni, i quali dichiarano di averlo visto, prima delle sette, nello spaccio della caserma. Dichiarano inoltre che ha sempre dato prova di un carattere mite e buono, non solo verso i superiori, ma anche nei confronti dei soldati: non si può credere che sia capace di un atto violento come quello di cui lo si accusa.

Pesano però nei suoi confronti, oltre alle dichiarazioni esplicite del sergente e dei due caporali - comprensibilmente irritati dalla sua insubordinazione - anche le dichiarazioni della serva del postribolo del vicolo San Leone, che conosceva Calleri già prima della scenata, alla quale ha assistito.

È quindi inutile negare. Resta accertato che Calleri ha agito da ubriaco, ma purtroppo per lui, l’ubriachezza, secondo il Codice penale militare, non è considerata una scusante, come invece per il Codice penale in vigore per i borghesi.

Secondo il cronista Toga-Rasa, il Tribunale militare è animato da sentimenti di umanità e di pietà che lo inducono a correggere, quando possibile, l’eccessivo rigore del Codice penale militare: all’imputato Calleri sono concesse tutte le attenuanti possibili e viene condannato a un anno di reclusione. «Non è poco lo so, - commenta Toga-Rasa - per una manata data da un ubbriaco, da uno che non è compos sui [padrone di sé, cioè conscio delle sue azioni, N.d.A.], ma la legge, pur troppo, non consente una maggiore riduzione».

Una conclusione in carattere con il clima conservatore e militarista dell’epoca umbertina sulla quale Toga-Rasa formula il suo commento un po’ malinconico e rassegnato. Evidentemente, nella sua veste di cronista giudiziario, non ha voluto turbare i lettori benpensanti con considerazioni critiche, oltre a quelle già formulate a proposito del Codice penale militare. 

(*) Il primo Reggimento di Artiglieria da Montagna è nato a Torino il 1° novembre 1887 dall’unione della I e II Brigata da Montagna (Reggimenti da fortezza 16° e 14°), secondo l’Istituto del Nastro Azzurro. Vicino al Mattatoio, che occupava l’area dove oggi si trova il Giardino Nicola Grosa e il grattacielo Intesa San Paolo, vi erano le due caserme sostituite dal Palazzo di Giustizia, mentre in corso Ferrucci rimane l’ex Caserma Lamarmora.

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Articolo pubblicato il 21/07/2023