Giorgio Monetti – Alpinista e partigiano sfortunato

Di Alessandro Mella

Nel corso degli anni della ricerca, dello studio e della divulgazione talvolta ci si imbatte in vicende umane che, se uno volesse crederci, parrebbero quasi veri e propri appuntamenti con un infausto destino.

Così come la storia di questo giovane che, vissuto in anni tormentosi, sopravvisse a svolte storiche epocali, alcune delle quali non mancarono purtroppo di portarsi via tanti giovanissimi come lui, per poi finire la sua vita drammaticamente con la sola consolazione di averla conclusa in un contesto amato.

Giorgio Monetti nacque a Villadossola di Novara il 26 agosto 1923 figlio di Giovanni e di Francesca Chiodi, i quali posero poi la propria residenza in Torino. (1)

Il ragazzo crebbe negli anni del regime senza, tuttavia, maturare particolare attaccamento allo stesso ma sviluppando, anzi, una viva passione per l’alpinismo cui sembrava dedicare la maggior parte delle attenzioni a cavallo degli studi da ragioniere.

A Giorgio la montagna piaceva, si sentiva a casa, libero, nei pensieri e nello spirito, oltre i venti di guerra e di angoscia che andavano spirando sempre più forti in Europa.

Il suo tempo scorreva tra la lettura, la poesia e le vette che raggiungeva in escursione facendosi apprezzare come attivissimo socio della sezione torinese del Club Alpino Italiano.

Inizialmente la guerra, iniziata nel 1939 ma in cui l’Italia era improvvidamente entrata nel 1940, non parve mutargli troppo la vita. Anzi nel pieno del conflitto, beneficiando dell’appartenere ad una classe non ancora mobilitata, seguitò a darsi alle sue attività predilette:

Prime ascensioni invernali nel Gruppo del Gran Paradiso.

Alcuni giorni in una cordata guidata dal Ten. Leopoldo Salutti compiva una delle ultime prime ascensioni invernali che ancora rimangono nel Massiccio del Gran Paradiso: La Testa di Money, alta metri 3578.

Partiti il giorno 10 mattino da Rosone, dopo faticosa marcia nella neve si portavano al Bivacco dolo nella notte seguente. Il mattino successivo compivano la difficile scalata attraverso il Ghiacciaio di Roccia Viva ed il Colle di Monte Nero.

Il vento violentissimo impedì agli scalatori di compiere, pure come era nelle loro intenzioni, la salita invernale del Campanile di Money, scalato finora solamente un paio di volte e solamente d’estate. Sotto la sferza del vento gelido il Campanile sibilava come una canna d'organo e fu giocoforza abbandonare l'impresa dopo un tentativo durato quasi tre ore e che condusse i salitori fino a pochi metri dal vertice.

Rientrati a tarda sera nel Bivacco Carpano, vi trascorrevano la notte, quindi il giorno successivo scendevano a valle. Facevano parte della cordata il noto alpinista Gino Costa ed i soci del C.A.I. Giorgio Monetti e Oreste Volpatto. (2)

Ma la Storia proseguì la sua marcia ed a correre, anche se in cima a monti meravigliosi essa poteva sembrare più lontana e prodiga di serenità pur essendo anche questa solo apparenza.

I bombardamenti, i lutti che entravano nelle case, la rabbia crescente e la disillusione furono fatali per il regime fascista che implose crollando su stesso la notte fatale tra il 24 ed il 25 luglio 1943. Ma il franare delle illusioni non era finito poiché, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, le cose presero perfino a peggiorare.

La contrapposizione tra la crepuscolare Repubblica Sociale Italiana e le prime formazioni della Resistenza prese sempre più la forma della violenza fratricida. Quando il momento peggiore venne anche Giorgio fece la sua scelta e per un breve ma intenso periodo militò nella VI divisione alpina “Giustizia e Libertà”. Una scelta che gli valse, a guerra finita, il riconoscimento della qualifica di “benemerito” da parte della pur severa Commissione Regionale Piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane. (3)

Passata la furia del conflitto, tornato il paese alla sospirata libertà, anche Giorgio tornò alla sua. A quella che egli riteneva fosse la massima espressione della propria di libertà e cioè le montagne.

Decise, beneficiando della prima estate di pace e tranquillità, di ascendere alla vetta del Rocciamelone, celeberrima punta che divide la Val di Viù da quella di Susa, e di salire attraverso il ghiacciaio. Ci si recò in compagnia del cugino e, probabilmente, partì da Malciaussia d’Usseglio per raggiungere il picco attraverso la via più difficile, ma forse più appagante per alpinisti con una discreta esperienza come lui. Tuttavia, parve evidente, a distanza di qualche tempo, che qualcosa doveva essere andato male. La famiglia si preoccupò e da Usseglio squadre di soccorso con abili guide alpine presero la stessa via:

Due caduti sul Rocciamelone. Il 6 agosto scorso due giovani torinesi, Giorgio Monetti di anni 22 e Sergio Zuccone di anni 19, raggiungevano fra l'Infuriare della tormenta, il rifugio-cappella posto sulla vetta del Rocciamelone. Dopo di allora nessuna notizia era più pervenuta dagli stessi e la Sezione di Torino del C.A.I., messa in allarme dai familiari, formava alcune squadre di soccorso che esploravano le balze della montagna.

Soltanto il 13 agosto, dopo lunghe ricerche, venivano scoperte a ridosso di un costone, le salme degli scomparsi ed era possibile provvedere al ricupero e al trasporto delle spoglie. (4)

I soccorritori riportarono a valle quei due ragazzi sfortunati che, sopravvissuti alla furia del conflitto, erano purtroppo andati a morire in cima ad una montagna in un giorno infelice di quell’estate lontana. L’estate che avrebbe dovuto essere ricca di sola felicità per la pace e la tranquillità ritrovate.

A distanza di qualche giorno, comunque, si tennero, in Torino, i funerali di Giorgio e Sergio:

I funerali dei due giovani periti sul Rocciamelone. Ieri a mezzogiorno, nella cappella del Cimitero generale, sono state rese le estreme onoranze funebri alle salme dei due alpinisti periti una quindicina di giorni or sono sul Rocciamelone.

Come si sia svolta la tragedia non è possibile dire: infuriava la tormenta e il giovane Giorgio Monetti, uscito sul ghiacciaio per rifornirsi d'acqua era stato seguito poco dopo dal cugino Sergio Zuccone.

Le squadre di soccorso partite da Usseglio e da Torino scorsero sul ciglio di un baratro una piccozza piantata: sul fondo erano le salme del due giovani.

Giorgio Monetti era un innamorato della montagna, una candida anima sensibile alla poesia delle bianche vette. La Presidenza del Club Alpino Italiano, di cui era socio apprezzato e stimato, ha assistito alle esequie funebri del due giovani, oltre i parenti tutti e gli amici erano pure presenti molti compagni di scuola. (5)

Si concluse così la breve ma straordinaria parabola umana di Giorgio Monetti, un innamorato della montagna che ad essa s’unì per sempre in tempi lontani. Una figura, la sua, che merita d’essere ricordata.

Alessandro Mella

NOTE

1) Commissione Regionale Piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, scheda Giorgio Monetti tramite il portale Partigiani d’Italia.

2) La Stampa, 24, Anno I, 28 dicembre 1941, p. 4.

3) Commissione Regionale Piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, scheda Giorgio Monetti tramite il portale Partigiani d’Italia.

4) Lo Scarpone, 309, Anno LXXV, 16 agosto 1945, p. 2.

5) La Nuova Stampa, 24, Anno I, 18 agosto 1945. p, 2.

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Articolo pubblicato il 26/06/2023