La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La tenda si mosse e la sorpresa fu grande

Ci concediamo un breve intervallo fra cruenti delitti con un episodio della serie “La giustizia che diverte”, ambientato a Torino nei difficili anni del secondo dopoguerra.

Ne parla La Stampa del 26 aprile 1947, sotto il titolo “IL MIGLIORE AMICO” con un articolo anonimo che ha il sommario “La tenda si mosse e la sorpresa fu grande”.

Si tratta di una storia di corna, sempiterna tematica che trova spazio in ogni tempo e in ogni luogo, che nella fattispecie è ambientata nel quartiere San Salvario.

Il protagonista-vittima si chiama Giuseppe Accetti, un personaggio di trent’anni che non pare di condotta illibata visto che la sua disavventura coniugale prende avvio da un fermo operato dalla Polizia.

Leggiamo:

Il brigadiere Ciuffardi della P S. San Salvario fermava l'altro giorno per tentata truffa il trentenne Giuseppe Accetti fu Emanuele, abitante in via Valperga Caluso. Questi, portato in commissariato, protestava recisamente la sua innocenza, dichiarando che all'uopo avrebbe addotti non pochi testimoni.

«Luciano Cinni, operaio, domiciliato in corso Valentino [corso Guglielmo Marconi, N.d.A.] è il mio migliore amico, un uomo del quale mi fido ad occhi chiusi: ottima persona, egli vorrà certamente aiutarmi in questa mia disavventura. Il Cinni è in grado di dimostrare la mia onorabilità».

Benché il brigadiere Ciuffardi fosse convinto della sua colpevolezza, ieri lo accompagnava egualmente dall'amico.

I due bussavano alla porta del Cinni verso le ore 17. Non udendo alcuna risposta e constatato che la porta non era chiusa a chiave, entravano.

Nessuno in cucina. Ma dalla stanza da letto proveniva un tramestio e una voce femminile: «Imbecille, ti sei dimenticato l'uscio aperto!».

E poco dopo appariva, rosso in volto, imbarazzatissimo, in succinto costume, il Cinni.

«Ti abbiamo disturbato? - gli chiedeva l'Accetti entrando nella camera da letto, mentre l'altro cercava di ostacolarlo. - Ma sai, è per la faccenda del mio fermo... Oh! - diceva poi osservando intimi indumenti da donna sparsi per la camera - rallegramenti, amico. Vedo che hai fortuna».

«Già, già...» rispondeva il Cinni, sulle spine.

«Dimmi - gli chiedeva con un risolino grasso l'Accetti - è giovane, è bella?».

«Non c'è male, grazie...».

«Caspita. Ma dov'è?... - scorgendo qualcosa muoversi dietro la tenda: - Ah! È là... Bene, bene, poche parole e ti lasciamo tranquillo. Senti: m'accusano di...».

Ad un tratto mutava rapidamente tono di voce e colore di volto: «Ma quel vestito assomiglia a quello di mia moglie... ma quel cappellino è suo!... e quella sottoveste è.…»

Degno di una comica del 1920 quel che succedeva.

L'Accetti scostava la tenda e scopriva la moglie, in abbigliamento - diciamo così - tipo balneare.

La moglie cacciava strilli acutissimi, il Cinni veniva colto da malore e il marito rimaneva, come una statua accusatrice, con una gamba in avanti e il braccio destro puntato contro l'infedele.

Il brigadiere Ciuffardi assisteva quindi - e interveniva con scarso successo - ad una distinta gara di pugilato fra i due uomini: la contesa finiva con una brocca rotta sulla schiena della moglie che, in un angolo, stava rivestendosi.

Tutti e tre sono finiti in camera ci sicurezza.

Come sarà finita questa vicenda? L’accusa di truffa rivolta a Giuseppe Accetti lo avrà portato in prigione? E la relazione della moglie con Luciano Cinni sarà continuata, favorita dalla forzata assenza del marito? Oppure la donna si è trovata un altro amante, meno goffo e maldestro? Lei stessa aveva definito Cinni un «imbecille», per essersi dimenticato di chiudere la porta dell’alloggio nel corso del loro incontro clandestino.

Si diceva in precedenza che le storie di corna costituiscono una tematica sempiterna: in effetti un quarto di secolo prima, a Torino era apparso il libro di Mario Schreiber intitolato Gli allegri adulterÎ di Torino (Casa Editrice Cronache e Tribunali, 1921) dove compaiono diverse storie simili a questa.

Nella sua Prefazione, l'avvocato Silvio Tarizzo, a proposito dei «peccati coniugali» torinesi scriveva che alla lettura di queste vicende «l'uomo sano e la donna sana si divertono e ridono perché non è vero che non sia lecito da un contrasto trarre ragione d’allegrezza».

Secondo l’avvocato Tarizzo, «il contrasto sta fra la legge che stabilisce il rigido dovere del coniuge e quell'altra che sancisce il diritto d'amare».

Ma, forse, il divertimento nasce piuttosto dalla convinzione del lettore «A me questa cose non capitano…», convinzione che appare spesso alla base di molte valutazioni dell’essere umano, in ogni tempo e luogo. E che può trovare una manifestazione nella vasta produzione di cartoline umoristiche dedicate ai «peccati coniugali», delle quali abbiamo riportato alcuni esempi.

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Articolo pubblicato il 07/05/2023