Il “pollo” di Renzi

Strada spianata davanti a Matteo Renzi, nuovo direttore del Riformista

Bye-bye terzo polo! L’annuncio diramato nelle scorse settimane, dell’ascesa di Matteo Renzi alla direzione de Il Riformista, ha sancito definitivamente l’archiviazione del progetto di Italia Viva e con esso del cosiddetto “polo di centro”, come le cronache di questi giorni attestano.

Altro che partito unico o partito nuovo. Carlo Calenda, fa calare il sipario sul progetto del partito unico con Matteo Renzi: «Non si farà». Non si accorge però, mentre frena il gioco di Matteo, assume le sembianze di uno dei tanti polli passati nel suo carnaio.

In realtà, il Polo di Renzi e Calenda non è mai stato terzo. Il podio alle elezioni l'ha visto solo dal cannocchiale.

Già all'esordio alle Politiche del 25 settembre la lista centrista si piazzò sesta, arrivando alle spalle Fdi, Lega, Pd, M5s e Forza Italia.

È stato un crescendo di sconfitte. Fino allo smacco finale delle regionali in Friuli Venezia Giulia dove il polo di Renzi e Calenda è stato superato dai no vax.

Il divorzio consumato nei giorni scorsi, è solo l'epilogo (scontato) di un matrimonio combinato, tra due forze politiche, Azione e Italia Viva, con orizzonti diversi.

L'amore tra Renzi e Calenda non è mai sbocciato. È stato un susseguirsi di litigi e ripicche. Fino allo scontro della settimana scorsa che ha preceduto lo strappo.

Azione commissiona un sondaggio sulle potenzialità elettorali del Terzo Polo: 8,2 è il verdetto. Di cui il 7,1 sono i voti di Azione e 1,1 di Italia Viva.

La decisione di Renzi di accettare la direzione (editoriale) del Riformista fornisce a Calenda il pretesto per rompere il matrimonio. La guerra sui soldi e le regole del congresso faranno solo da cornice.

La verità è una: Renzi e Calenda non si sono mai presi. Si sono ritrovati sotto lo stesso ombrello per convenienza. Più che per convinzione.

Negli ultimi sei mesi la rottura è stata sempre a un passo. Ad agosto dello scorso anno, Calenda manda all'aria l'accordo elettorale con il Pd di Letta ed è costretto ad accettare il matrimonio con Italia Viva. Azione doveva raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni, Renzi gli garantisce il simbolo. Pronti, partenza via.

Ed è subito scontro: Calenda si intestardisce, vuole il suo nome nel simbolo. Renzi accetta. Ma chiede che in tv a fare i confronti ci vada soprattutto l'ex ministro Mara Carfagna, transfuga da Forza Italia insieme a Mariastella Gelmini. Il leader di Azione non cede.

Sulla comunicazione politica, Renzi e Calenda sono agli antipodi. L'ex premier rimprovera all'altro socio l'ossessione contro Silvio Berlusconi.

I numeri elettorali daranno ragione (in Lombardia e Lazio) a Renzi: più Calenda attacca Fi più il Terzo Polo perde voti.

Mese di febbraio: le regionali sono l'antipasto della rottura. Italia Viva non vuole sostenere Letizia Moratti, anche lei proveniente dal mondo berlusconiano. Calenda fa tutto da solo.

Risultato: doppia sconfitta in Lombardia e Lazio. Per il Terzo Polo arriva la débacle elettorale. Dal fronte di Azione cresce l'insofferenza verso Renzi: «Noi lavoriamo tutto il giorno per il partito unico e Renzi se ne va in giro a fare conferenze», si sfogherà Calenda nella chat con i dirigenti all'indomani della doppia sconfitta in Lazio e Lombardia.

Marzo: Renzi e Calenda litigano sulle alleanze. Italia Viva guarda al centrodestra. Azione vuole riprendere la trattativa con il Pd. La foto di Calenda con Conte, Schlein e Landini al congresso di Cgil fa infuriare i renziani. Nonostante tutto, si decide di accelerare sul progetto del partito unico.

Ma subito c'è un ostacolo: Italia Viva vuole una federazione, Azione lo scioglimento dei partiti e la nascita della nuova formazione politica. Altro strappo sui tempi: Renzi chiede di attendere l'esito delle Europee nel 2024. Calenda fissa l'ultimatum: «Subito il partito unico o non se ne fa più nulla». Renzi accetta il timing di Calenda. Che però nel frattempo ha già cambiato idea.

Proseguono le stilettate sulfuree di Calenda che accusa Renzi di aver "preso soldi da dittatori" e replica a Bonino che gli dà del "voltafaccia".

Perfino un dei suoi supporter, l’onorevole Nicola Danti, capodelegazione del Terzo Polo nel parlamento europeo, sconcertato afferma «L'improvviso dietrofront di Calenda ha lasciato attoniti anche molti colleghi europei, che non riescono a spiegarselo. A Bruxelles già da diversi mesi ci muovevamo da partito unico. Lo stop voluto da Azione non ha nessuna giustificazione».

Se il progetto di un centro riformista è arrivato al capolinea”, prosegue l’europarlamentare, “nelle prossime elezioni europee c'è il rischio di regalare al centrodestra melonian-berlusconiano l'elettorato che non si riconosce in una sinistra sempre più corbynian-grillina”.

A prescindere dal rapporto tempestoso con l’egocentrico Renzi, c’è un altro episodio che dimostra che Calenda non è in possesso della caratura e della tempra di un leader di partito.

Ha sbattuto la porta in faccia all’ex ministro Beppe Fioroni, uno dei primi ad aver abbandonato il PD, all’arrivo ella suffragetta segretaria.

Eloquente il commento dell’On Giorgio Merlo Calenda vuole costruire un partito, almeno così dice, aperto ad altre culture politiche. Tra cui, almeno così pare, anche a quella popolare. Nel frattempo, però, sentenzia giudizi sulle singole persone che rappresentano quella cultura politica. L’ultima, in ordine temporale, riguarda Beppe Fioroni. Ora, ognuno può dire ciò che vuole e quando vuole sulle singole persone. Semmai, il dato politico rilevante è che i Popolari difficilmente sono compatibili con un capo partito che ironizza su alcuni suoi esponenti più significativi. A conferma che, forse, di fronte ad una riedizione aggiornata del partito liberale o repubblicano o tardo azionista, i Popolari devono contribuire a costruire un Centro dinamico, riformista, democratico e di governo da un’altra parte”

Capito chiuso, o almeno nella sostanza pare.

Il passo di lato del Senatore fiorentino è una presa di distanza da tutto. Non certo dalla politica, ma da un progetto che non sente più suo. Di un partito mai nato (e che forse -anzi, quasi certamente- non nascerà mai) di cui non solo non si sente parte ma che non potrà mai guidare perché fatto ad immagine di un altro: l’ormai avversario Carlo Calenda.

In fondo Matteo Renzi ha sempre pensato di essere altro: essere un reuccio -fra l’altro- dimezzato non l’ha mai appassionato; tantomeno oggi che il terzo polo in Friuli Venezia Giulia ha ottenuto un modestissimo 2,7%. E se al partito di Calenda viene tolta la linfa vitale della vena fiorentina il destino della “plantula” centrista appare segnato.

Dunque Matteo Renzi fuori dai giochi?

Assolutamente no. Dietro il passo di lato -come è stato definito da alcuni- c’è, come ha messo in guardia lo stesso neo-Direttore, l’idea di raddoppiare. L’idea di prendere le distanze da tutti, compreso (assolutamente) Calenda e lavorare, nell’ombra e con gli amici di sempre, ad un orizzonte politico nuovo.

Renzi sa bene che in Parlamento non ci sono i numeri per giochini o giochetti e il Premier Giorgia Meloni ha una maggioranza talmente forte da dormire sogni sereni nonostante le sgrammaticature di alcuni “suoi” Ministri.

Il piccolo cabotaggio non si addice all’ex Sindaco di Firenze, la posizione di Direttore di un giornale gli permetterà di distribuire sonori ceffoni e delicate carezze per ogni dove, ma, soprattutto, gli permetterà solcare -in lungo e in largo- la TV. Cosa non facile per un senatore semplice e leader, in seconda, di una forza politica. Più che un passo di lato, quello di Renzi sembra essere un cambio di passo.

Alle prossime puntate, particolarmente effervescenti! 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 17/04/2023