La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Bruna Zuliani

La profuga giuliana inghiottita dalla città

Bruna Zuliani, una bella e brava ragazza bionda di 22 anni, scompare - letteralmente inghiottita dalla città - nel tardo pomeriggio di venerdì 30 ottobre 1953. La sua trista vicenda è racchiusa in una manciata di ritagli di giornale, dove spesso si ripetono le medesime informazioni e considerazioni.

Bruna è una profuga giuliana giunta nella nostra città poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, alloggiata con i genitori e altri parenti, in un padiglione delle Casermette di San Paolo, in via Veglia, dove oggi sono sistemate due vaste strutture occupate dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato. Al tempo della nostra storia, vi sono ospitati gli esuli giuliano-dalmati, costretti ad abbandonare le loro case dopo la cessione alla Jugoslavia di Tito di Istria, Fiume e Zara, a seguito del diktat di pace del 10 febbraio 1947.

La famiglia Zuliani è di origine triestina, precisamente della zona B (Muggia). Il padre è operaio alla Microtecnica e si parla della madre, di due sorelle e di uno zio.

Bruna conduce vita riservata e viene descritta come una ragazza semplice e ingenua, che stava sempre coi genitori, non aveva innamorati e nessuno l’aveva vista in compagnia di un giovanotto. Alle Casermette teneva contegno esemplare e una delle sue gioie era quella di insegnare l’alfabeto ai bambini più piccoli, a riprova del suo animo limpido e buono.

Da qualche tempo lavorava come impiegata avventizia presso l’Associazione Profughi Giuliani in via Vincenzo Vela 1. E da qui iniziano i momenti che precedono la sua scomparsa.

Venerdì 30 ottobre 1953, Bruna lascia l’ufficio verso le 18:00, in compagnia della signora Anna Sbisà, collega di lavoro e amica. Dopo aver percorso corso Stati Uniti, fin quasi all’angolo di via Sacchi, le due donne si separano alla fermata del tram n. 9, sul quale la Sbisà sale per rincasare. Bruna invece deve impostare quattro lettere dell’Associazione Profughi Giuliani alla Stazione di Porta Nuova e s’incammina in quella direzione.

Via Vincenzo Vela 1 si colloca nell’angolo formato dai corsi Re Umberto e Stati Uniti: nella zona non vi sono negozi, ma soltanto ville e villini e, per acquistare i francobolli, Bruna ha dovuto spostarsi verso la vicina Porta Nuova. Pare che le lettere siano state effettivamente spedite, ma le cronache non riferiscono di un tabaccaio che affermi di averle venduto i francobolli.

Dopo che Bruna ha lasciato Anna Sbisà, non si sa più nulla di lei.

Non vedendola tornare a casa, i genitori si mettono subito in allarme perché conoscono le abitudini casalinghe e riservate della figlia. Si rivolgono alla Questura e alla radio, che diramano degli allarmi, ma il 1° novembre, quando i torinesi apprendono da La Stampa della misteriosa scomparsa, non sono emersi risultati. I genitori descrivono l’abbigliamento di Bruna al momento della scomparsa: una giacca di lana a disegni marrone e gialli, un maglione bianco accollato e una gonna scozzese. Anche se inizialmente si dice che avesse con sé documenti, in seguito emerge che ha lasciato a casa la sua carta d’identità. I genitori sono angosciati, sbigottiti, non riescono ad immaginare come e perché Bruna sia scomparsa. Il padre si mette in comunicazione con alcuni parenti di Trieste per sapere se la figlia si sia recata nel suo paese di origine. Nessuna notizia. Neppure la Polizia trova elementi che chiariscano l’inspiegabile allontanamento della ragazza.

Sono esaminate tre ipotesi: una sua fuga sentimentale, il suicidio e il rapimento.

A proposito della fuga sentimentale, le amiche più intime di Bruna, le sue colleghe di ufficio, le due sorelle hanno escluso che la ragazza coltivasse qualche relazione. Non era stata molestata, almeno negli ultimi tempi, da assidui corteggiatori. Assai poco probabile che, dopo un pomeriggio di lavoro tranquillo e sereno, sia fuggita con qualche giovanotto. Oppure voleva inseguire qualche falso miraggio di felicità e di ricchezza? In questo caso, si sarebbe data all’avventura senza un soldo in tasca, senza carta d’identità, lasciata a casa, e senza vestiti di ricambio. E poi, avrebbe abbandonato i genitori che amava senza lasciare un biglietto?

Anche la possibilità del suicidio viene esclusa dai parenti di Bruna. Aveva appena portato a casa la busta paga, consegnandone tutto il contenuto alla madre, con la quale aveva stabilito di fare delle compere al sabato. Aveva preso altri impegni per i giorni seguenti. Non dimostrava certo la volontà di suicidarsi, tanto più che era molto religiosa, quieta, allegra, serena, senza motivi per sopprimersi. Non è rimasta vittima di qualche disgrazia, perché le ricerche negli ospedali sono state negative. Se si fosse uccisa il suo corpo sarebbe stato trovato.

Le prime due ipotesi appaiono poco verosimili. Rimane quella del rapimento, all’inizio privilegiata dalla Polizia, e si teme per la sua vita. Bruna era carina, attraente. Forse, mentre tornava di sera alle Casermette è stata avvicinata da uno o più loschi figuri in auto che, con la forza, l’hanno trascinata a bordo e portata via. In questo caso dov’è ora? È tenuta prigioniera in Torino o fuori città?

La Questura torinese avvisa quella di Trieste nella speranza che Bruna sia andata dai parenti. La risposta è negativa e le ricerche proseguono febbrili.

Questa è la situazione al 3 novembre. E sostanzialmente resterà sempre tale.

Il clima di incertezza è chiaramente percepibile: ci si affida alle ipotesi. Secondo La Stampa del 4 novembre, la Polizia propende per il suicidio, mentre i familiari ritengono che sia andata in cerca di lavoro per meglio aiutare la sua famiglia, affermazione che appare un disperato tentativo di razionalizzare l’inspiegabile.

A questo punto, il 5 novembre, pare verificarsi un rassicurante colpo di scena.

Un impiegato delle Ferrovie crede di riconoscere nelle fotografie di Bruna pubblicate dai giornali, una giovane che alla stazione di Porta Nuova ha acquistato un biglietto a tariffa ridotta per Gorizia: ricorda di aver letto, sulla tessera presentatagli, Casermette di San Paolo.

I familiari della ragazza, avvisati del fatto, sono sorpresi e perplessi. Bruna non aveva con sé denaro sufficiente per compiere un viaggio così lungo e non comprendono le ragioni di un trasferimento a Gorizia. Secondo il padre, Bruna è stata rapita. La Squadra Mobile ha preso in seria considerazione la tragica ipotesi del suicidio, ma le ragioni non sono chiare.

La pista di Gorizia sfuma già al giorno seguente. La vicenda ripiomba nel mistero. Dal 6 novembre, cessano le notizie giornalistiche su questa vicenda. È anche ipotizzabile un forte rallentamento delle ricerche da parte delle forze dell’ordine. Si tornerà a parlare di Bruna in occasione del ritrovamento di cadaveri non identificati che fanno pensare al suo caso e che si rivelano false piste.

Si cita Bruna mercoledì 18 novembre 1953, in occasione del ritrovamento in un prato di Sassi del cadavere di una giovane donna uccisa.

Nel luglio dell’anno successivo, pare di identificare Bruna nel cadavere di una giovane annegata trovata cadavere nelle acque di Salerno. Vi è una forte rassomiglianza tra il volto dell’annegata e quello di Bruna, hanno la stessa statura (m. 1,55) ed entrambe portano al collo una catenina con crocetta d’oro. Quella di Bruna reca la data del suo ventesimo compleanno, 21-7-1952, incisa sul retro, mentre la crocetta d’oro della sconosciuta annegata è priva di incisioni.

Nel novembre dello stesso anno 1954, qualche illusione scaturisce della consultazione di un radioestesista. I familiari di Bruna, infatti, non si sono arresi. Non hanno trascurato nessun tentativo, anche a costo di lunghi viaggi, e in ultimo hanno fatto ricorso anche a veggenti, astrologi e radiestesisti. Questi ultimi, che procedono nelle loro ricerche con il pendolo divinatorio, godono di una certa fama nella cultura popolare del tempo. Si ritiene, infatti, che le loro osservazioni abbiano qualche fondamento scientifico.

Una tenue traccia di Bruna viene trovata grazie alle indicazioni di un radiestesista di Padova. Interpellato all’inizio di ottobre, analizzando col pendolino la fotografia della giovane, dichiara che è viva e che si trova a Genova. Suggerisce poi di interrogare un sacerdote residente nel quartiere di Pré, il quale era in grado di facilitarne il ritrovamento. Lo zio di Bruna si affretta a recarsi a Genova, ma il quartiere di Pré è tanto vasto da obbligarlo a compiere addirittura tre viaggi.

Quando comincia a disperare, domenica 31 ottobre, trova una conferma delle affermazioni del radiestesista. Nell’ultima chiesa di Pré, quella di San Giovanni, il parroco, don Mazzarello, dopo aver attentamente osservato la fotografia di Bruna, esclama: «Effettivamente mi pare di averla già vista». Raccogliendo i ricordi, precisa che la ragazza si è recata da lui circa un mese prima, con una compagna, per far celebrare una Messa. Non è in grado di fornire altre indicazioni.

Comprensibilmente emozionato, lo zio di Bruna si reca in Questura. Qui apprende che nella Polizia genovese milita l’agente Zuliani, di origine istriana. Prende contatto con lui ma questi non ha mai visto Bruna e tanto meno ne ha sentito parlare.

La Questura di Genova indaga per accertare quanto vi sia di vero in questo nuovo episodio. A Torino viene di nuovo interrogato a lungo il padre di Bruna. La Polizia ipotizza che Bruna sia stata adescata da una organizzazione, con quartier generale a Genova, che pratica la tratta delle bianche, ovvero la riunione di donne bianche da avviare alla prostituzione in paesi stranieri.

Bruna sarebbe scomparsa verso le 18:00 nei pressi della Stazione, perché - illusa da chissà quali miraggi - si sarebbe allontanata volontariamente, dopo aver imbucato le lettere, e avrebbe preso il primo treno in partenza per Genova. L’ipotesi non è così remota: nel 1952 è uscito il film La tratta delle bianche, diretto da Luigi Comencini, a riprova dell’interesse diffuso per questo fenomeno criminale. Un amico, che all’epoca aveva sette anni e abitava coi genitori alle Casermette, mi ha raccontato di aver sentito gli adulti che parlavano di tratta delle bianche, idea giustificata dal fatto che Bruna era una gran bella ragazza.

Ma anche la pista genovese - riportata da La Stampa del 3 novembre 1954 - non porta da nessuna parte.

Il 2 agosto 1955 Stampa Sera riferisce di un cadavere che emerge dal Po, sollevato a galla per breve tempo dalla lenza di un pescatore. Viene soltanto ripescata una scarpa, che i parenti di Bruna non riconoscono.

Successivamente il nome di Bruna Zuliani diviene una citazione, spesso in relazione alla fuga di ragazze che costituisce un problema nel 1953 e si sono fatte sempre più frequenti. Nel 1958 il giornale La via del Piemonte, la cita in una pagina dedicata a questo fenomeno.

Una delle ultime citazioni reperite nell’archivio on-line de La Stampa è del 19 gennaio 1969, intitolato Il pericolo è dimenticare, a firma di Carlo Moriondo: considera il triste caso della scomparsa di Maria Teresa Novara, il cui cadavere verrà ritrovato il 13 agosto dello stesso anno a Canale (Cuneo).

Altre due citazioni sono Le inquiete minorenni, di Piero Cerati (La Stampa, 5 settembre 1969) e Fuggono a 13 anni, di Luciano Curino (La Stampa, 5 aprile 1970). A quella data, Bruna è scomparsa da 17 anni, letteralmente inghiottita dalla città.

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Articolo pubblicato il 07/04/2023