La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Povera Temi, trascinata in Suburra!

Gli affezionati lettori di questa rubrica ci perdoneranno se questa volta alla descrizione del fatto di sangue dobbiamo premettere una chiacchierata sulla sua location. Si parla del vicolo del Montone, scomparso con il rifacimento del primo tratto di via Roma - eseguito, tra il 1931 e il 1933, da piazza San Carlo a piazza Castello - che lo ha sostituito con l’attuale via Eleonora Duse.

Percorrendo oggi la via Principe Amedeo, la vediamo insinuarsi tra la parte posteriore del Museo Egizio (Ala Schiaparelli) e il retro del palazzo porticato affacciato su via Roma. Si raggiunge via Maria Vittoria tramite un passaggio coperto, con eleganti negozi e locali, che si apre di fianco alla Regia Farmacia Masino, che occupa una parte del palazzo dell’Accademia delle Scienze e del Museo Egizio.

Prima del rifacimento di via Roma, il vicolo non raggiungeva via Maria Vittoria. Nelle piante cittadine lo si vede chiaramente addentrarsi nell’isolato, tra le case allineate lungo la vecchia via Roma e il palazzo dell’Accademia delle Scienze, con andamento a Y rovesciata. Un breve tratto del vicolo si prolungava anche dall’altro lato della via Principe Amedeo, insinuandosi fra il Teatro Carignano e le case di via Roma. È ancor oggi visibile, come un cortile chiuso da una cancellata.

Il vicolo del Montone, appartenente alla Torino romana, anche se collocato fra edifici prestigiosi e nei pressi del “salotto di Torino”, è un luogo malfamato, dal quale si accede a vecchie case fatiscenti. Come altre vie torinesi, ha preso nome dall’albergo che vi sorgeva, all’insegna del Montone d’Oro, poi divenuto un postribolo di bassa categoria.

E proprio in questo postribolo, nella notte del 31 marzo 1879, si svolge la nostra storia, che leggiamo nella cronaca della Gazzetta Piemontese del giorno seguente:

Assassinio. Nella scorsa notte si presentarono in una casa innominabile [il postribolo, N.d.A.] del vicolo del Montone due giovinastri, chiedendo ospitalità. Tra essi ed il titolare della casa si venne ad alterco per pagare prima o poi la locanda. I due bricconi chiusero i becchi a gas, ed a coltello aperto si avventarono contro il disgraziato crivellandolo di dieci coltellate. Poi, se tanto non bastasse, se lo tolsero sulle braccia e lo precipitarono in cortile. Morì sul colpo.

Compiuta l’impresa se la diedero a gambe. Ma incapparono tosto, a pochi passi dalla porta, nella squadra volante di guardie di P.S., le quali, vedendo correre a precipizio que’ due sospetti, alle due dopo la mezzanotte, pensarono di trattenerli ed ammanettarli. Fu una buona ispirazione che tolse di mezzo alla società due facinorosi disposti a tutto il peggiore, se peggiore vi può essere.

Le guardie portano i due arrestati in Questura, a breve distanza, nell’attuale via Giolitti, di fianco alla Chiesa di Santa Cristina. Quello dei due giovani omicidi è l’arresto più significativo della giornata, in cui altri personaggi sono stati fermati: uno per fuga dal tetto paterno, uno per oziosità, tre per ubriachezza e quattro donne, probabilmente per violazione alla normativa sulla prostituzione.

L’anonimo cronista ci informa poi che «L’ucciso è certo Aghemo A.» e, dallo Stato Civile di Torino del 1° aprile 1879, riportato dal giornale, apprendiamo che si tratta di Antonio Aghemo, di 44 anni, nativo di Racconigi.

I «due facinorosi» sono indicati con le sole iniziali: «certi C.N., d’anni 20, e R.C., d’anni 24, falegnami».

La Gazzetta Piemontese dal 1° aprile 1879 torna a parlare di questo omicidio il 20 dicembre, quando nella Rivista Giudiziaria, il cronista che si firma Proculejo descrive in breve il processo, inserendolo tra le cronache di altre cause.

Scrive Proculejo:

E quel che segue [il processo a carico degli uccisori di Aghemo, N.d.A.] è invece nauseante.

Delicati lettori e gentili lettrici, saltate pure: ci guadagnerete molto. Siamo in piena Suburra, con tutta la sua laidezza di linguaggio e crudezza di realismo.

Come si è già detto in precedenza, il vicolo del Montone è un’area malfamata di Torino. Per questo motivo, il nostro cronista evoca la Suburra, un quartiere popolare di Roma antica, centro di malaffare e prostituzione, divenuto sinonimo di località di pessima fama delle grandi città. Proculejo passa poi a descrivere l’uccisione di Aghemo, descrivendo la vittima in termini fortemente negativi:

Si deplora una morte, ma colui fu tale che dopo subite già 7 condanne per furti ed omicidio, viveva ora esercitando un’infame mestiere [quello di tenutario di un postribolo, N.d.A.]; c’è una vedova che chiama vendetta, ma colei fu la socia della speculazione nefanda; ci sono testimoni che accusano, ma sono donne ridotte alla maggiore degradazione [le prostitute del locale, N.d.A.].

Dopo queste premesse, ecco la ricostruzione dell’omicidio secondo Proculejo:

La notte del 31 marzo, due giovani […] avvinazzati passavano in via del Montone. Una pessima idea li colpì: Bacco sentì le lusinghe di Venere: i giovani cedettero.

Che avvenne in quella casa infame? La cosa non è ancora ben accertata: non vale la pena del resto: ma il fatto si è che o i giovani siano stati assaliti od abbiano assalito, dopo una breve colluttazione, il padrone di quella casa, il tristo Aghemo, cadde a terra crivellato di colpi.

Povera Temi! Trascinata in Suburra, dovette vincere il suo abituale pudore e reclamare che un uomo era morto.

Premesso che la Temi compianta da Proculejo è la dea del diritto e della legge nell’antica Grecia, è curioso questo suo atteggiamento di svilire la vittima, come se la giustizia dovesse tener conto delle sue qualità morali nel procedere nei confronti di chi l’ha uccisa. Strana concezione giuridica, soprattutto se si considera che proviene da un addetto ai lavori!

Ecco la breve cronaca del dibattimento:

Il processo si è svolto durante due giorni. La sala d’udienza fu dal principio alla fine continuamente stipata di persone.

Non soffermiamoci all’udienza.

Dopo le splendide arringhe degli avvocati Solaro e Nasi, i due imputati furono assolti e rimessi in libertà.

Così i due giovani omicidi, che al momento dell’arresto erano stati indicati come «due facinorosi disposti a tutto il peggiore», sono riusciti a cavarsela con i soli mesi del carcere preventivo: evidentemente gli avvocati difensori hanno saputo trovare le parole adatte per convincere i componenti della giuria, buoni e onesti borghesi, che i loro clienti sono stati aggrediti e hanno dovuto difendersi, enfatizzando i significativi precedenti penali della vittima, che già Proculejo ha definito «il tristo Aghemo».

Non siamo troppo convinti che in questo caso sia stata fatta giustizia.

Non è un mistero che il giudizio delle giurie, soggetto a criteri molto soggettivi e a volta inaffidabili, abbia dato luogo ad assoluzioni e condanne arbitrarie e immotivate. Sugli svarioni nei verdetti dei giurati, col passare del tempo, si è raccolta una cospicua aneddotica, paragonabile alle nostre barzellette sui Carabinieri. In passato ci è già capitato di parlare di questo argomento.

Ma, divagando sulle giurie, rischiamo di perdere di vista la conclusione della cronaca di Proculejo, il quale pare particolarmente infastidito della presenza nell’aula del Tribunale del gruppo di prostitute, ascoltate come testimoni nel processo agli uccisori di Aghemo, quelle che in precedenza ha definito «donne ridotte alla maggiore degradazione». Orbene il nostro Proculejo termina con questo invito perbenista: «Usciere, faccia spolverare ben bene quelle sedie dei testimoni!».

È vero che lo stesso Proculejo ha esordito dicendo che la storia era nauseante. Ma a noi pare un po’ nauseante anche questa sua considerazione finale.

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Articolo pubblicato il 17/02/2023