Antiche cascine in Borgata Aurora, a Torino
Cascina Verna nel Quartiere Aurora

Luoghi scomparsi in una città che cambia

Dobbiamo chiudere gli occhi e immaginare una città che non esiste più, stravolta da trasformazioni sociali ed urbanistiche che hanno viaggiato di pari passo. O, come in una favola, pensare che, al posto del castello, vi fosse una cascina (tante cascine, all’interno del perimetro della città di Torino).

Quando l’architetto Grossi scrive la prima guida e, in seguito, la prima mappa di Torino, in Francia è appena scoppiata la Rivoluzione del 1789 e il popolo chiede pari diritti ai primi due Stati, nobiltà e clero. E sono proprio loro, anche a Torino, che affittano le cascine di loro proprietà ai contadini che le coltivano: i nobili e il clero, che risiedono in centro, in palazzi più eleganti, e si spostano a villeggiare sulla collina, dove nascono “ville e vigne” che descriverà, per quel che ne era rimasto, Elisa Gribaudi Rossi, circa due secoli dopo.

In pianura non vi erano “ville”, prerogative della collina (un unicum torinese di cui essere orgogliosi); le cascine erano parte integrante della geografia urbana.  L’industrializzazione, prima, la costruzione di edifici a scopo abitativo, in un secondo tempo, hanno fatto perdere del tutto questo contatto ai cittadini torinesi.

Tornando al presente, oggi entriamo nel Borgo Aurora, nella Circoscrizione 7 di Torino. Il quartiere è delimitato: a nord da corso Vigevano - corso Novara (confine con Barriera di Milano e Regio Parco); a est dal fiume Dora Riparia (tratto di Lungo Dora Firenze tra Largo Regio Parco e Ponte Carlo Emanuele I); a ovest da corso Principe Oddone (confine con San Donato); a sud da corso Regina Margherita (confine con il centro città) e dal tratto di corso Regio Parco tra il Rondò Rivella e la Dora Riparia (confine con Vanchiglietta).

Il quartiere si estende su entrambe le rive del fiume Dora ed è caratterizzato da cinque nuclei nettamente distinguibili: Borgo Dora, il rione più antico, che si sviluppa in prossimità del Balon ed ospita la Piccola casa della Divina Provvidenza (Cottolengo); Valdocco, nella parte occidentale del quartiere, a ridosso della parte bassa di San Donato, con il santuario di Maria Ausiliatrice e le opere fondate da Don  Bosco; Porta Palazzo, a ridosso del centro storico, con il più grande mercato scoperto cittadino (secondo molte statistiche, il più grande d’Europa) e l'adiacente Porta Milano, ex stazione della Ciriè-Lanzo, oggi sede del Museo Ferroviario Piemontese; Borgata Aurora, l'area della prima e seconda industrializzazione della città, racchiusa tra l'ultimo tratto di corso Principe Oddone, corso Vigevano/corso Novara, via Bologna e la Dora; Borgo Rossini, un insieme di edilizia residenziale, attività industriali, artigianali e commerciali, che si va ridefinendo. Delimitato da via Bologna, corso Novara e Lungo Dora Firenze, dal 2010 ospita il nuovo Campus Einaudi.

L'origine del toponimo "Aurora" va ricondotta a un'antica cascina al centro del quartiere (all'angolo fra gli odierni corso Giulio Cesare e corso Emilia), la Cascina Aurora, nel luogo dove oggi sorge "Casa Aurora". L'edificio, che nelle carte topografiche ottocentesche risulta come "Cascina l'Aurora", viene trasformato dapprima nell’opificio tessile Abrate­ Depanis, poi Bass-Abrate (1869). All'inizio del Novecento l’azienda è acquistata da Donato Levi & Figli; dal 1930 l’edificio ha ospitato il Gruppo Finanziario Tessile (GFT) della famiglia Rivetti, azienda produttrice di abiti; nel 1984 l'intero complesso, che attualmente ospita una grande palestra e diversi uffici, è stato ridisegnato dall’architetto Aldo Rossi.

Una seconda cascina scomparsa era La Verna: cascina a corte chiusa di origine seicentesca, deve probabilmente la sua denominazione a una specie arborea molto diffusa nelle zone circostanti. È stata demolita tra il 1909 e il 1911, quando la zona ha subito una prima espansione urbana. Era situata presso il bivio da cui si dipartono la strada della Venaria Reale e quella di Agliè e Chivasso.

Dall’osservazione della carta altimetrica della zona, della Carta Corografica del Grossi e della Carta dell’Assedio del 1706, si può ipotizzare che la zona, detta “Rivagagliarda”, in cui sorgeva una terza cascina scomparsa, corrispondesse al terrazzamento fluviale del vecchio corso della Dora, che formava una sorta di promontorio digradante verso la Barriera di Milano. Questa ipotesi trova conferma nello strano incrocio ad “U” di due rami delle bealere Vecchia e Nuova di Lucento, in prossimità della Cascina Rivagagliarda.

Nella Carta della Montagna (1694-1703) la cascina, denominata “La Vergne”, viene rilevata come corpo di fabbrica con impianto a “L”. Nella seconda metà del XVIII secolo, come si evince dalla Carta topografica della Caccia, si registra un ampliamento planimetrico che vede il fabbricato trasformarsi in una “C” a corte chiusa.

Il Grossi la definisce “C.na del Marc. Della Marmora”, proprietario anche della già citata e non lontana Cascina Rivagagliarda; le terre di entrambe le cascine sono affittate a Gioanni Rosso (o Aosso) e probabilmente erano legate, attraverso le figure del proprietario e del fittavolo, da comuni interessi di produzione. Nel censimento del 1802 si legge di una nuova famiglia di proprietari, i Bologna, subentrati presumibilmente all’inizio dell’Ottocento anche alla proprietà della Cascina Rivagagliarda. Quest’ultima è la terza cascina scomparsa, così descritta dal Grossi: “Cascina dell’Illustrissimo sig. Marchese della Marmora situata alla destra, ed in principio della strada delle Veneria, e Caselle, lungi mezzo miglio da Torino” (Grossi, Guida alle cascine e vigne di Torino, pag. 130). Nelle mappe del Catasto particellare Gatti del 1820 si registra un ampliamento della cascina, denominata “La Verna cascina Bologna”, mediante il prolungamento verso sud della manica di levante. Nella seconda metà del XIX secolo (Catasto Rabbini del 1866) non si registrano variazioni e la cascina cambia denominazione in “La Forestiera”, mentre la zona circostante inizia a subire le prime trasformazioni urbanistiche; è possibile riscontrare la presenza della Verna fino al 1909 nella Carta di Torino e dintorni, mentre già nella Carta I.G.M. del 1911 si nota la costruzione di un nuovo isolato residenziale compreso tra le odierne via Cuneo, via Generale Luigi Damiano, via Pinerolo e corso Vercelli.

Questi territori erano estrema periferia della città, a fine Ottocento e ancora a inizio Novecento, tant’è che si diceva “andiamo a Torino”, quando si usciva dalle borgate per raggiungere il centro. Il clima di quegli anni viene raccontato, attraverso un crimine accaduto fra Regio Parco e la Borgata Maddalene, da Milo Julini, in un articolo che ci riporta alle bande dell’epoca (le “còche”), immortalate in una fotografia storica da Luigi Pietracqua (1).

Note

(1) Luigi Pietracqua (Voghera 1832 - Torino 1901) è stato uno dei maggiori e più popolari autori del teatro piemontese. Compositore tipografo della Gazzetta del popolo di Torino (1858), ne diventa collaboratore. Scrive sulla Gazzetta piemontese, nel Fischietto, fonda periodici in lingua e in dialetto. Al teatro piemontese darà molti lavori, nei quali ritrae l'anima del popolo nei suoi vizî, nelle sue virtù, nei suoi eroismi, con finalità patriottiche e pedagogiche. Tra i suoi titoli, I misteri ‘d Vanchija, ambientato in una zona limitrofa a quelle descritte, all’epoca infestata dalla malavita.

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Articolo pubblicato il 14/01/2023