La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Rocco Necco di Bertoulla, lavandaio: un delinquente tipo

Molto spesso, quando si parla di casi criminali torinesi dell’Ottocento, la loro localizzazione è nel centro cittadino. È il momento di conoscere anche malavitosi dei quartieri periferici e lo facciamo con un cattivo soggetto di Bertolla, Bertoulla come si dice nel 1880, quando questo giovane, Rocco Necco, giunge agli onori della cronaca.

Parla di lui il cronista giudiziario che si firma Proculejo nella Rassegna Giudiziaria dell’Appendice della Gazzetta Piemontese del 23 ottobre 1880.

Così lo descrive Proculejo:

Sul banco degli accusati alla nostra Corte d’Assise siede un giovine non ancora ventenne, certo Rocco Necco, di Bertoulla, lavandaio, cui non so per quale strano capriccio fu dato il soprannome di Brofferio. Quel giovine ha una sinistra fisionomia, vero tipo dell’uomo delinquente, un volto su cui si dispera di veder pur salire l’ombra di un rimorso, uno sguardo freddo, acuto, tagliente. A Bertoulla da un pezzo si è acquistata una trista nomea di ladro e di brutale; già più volte il Tribunale correzionale ha avuto a condannarlo al carcere.

Un soggetto giovane, dunque, ma già con caratteristiche di criminale consumato: Proculejo usa per lui una definizione di sapore lombrosiano. Cosa ha portato Rocco Necco alla Corte d’Assise di Torino?

Ora tre nuovi capi d’imputazione pesano su di lui ed egli indifferente, cinico, quasi non ascolta neppure la lettura dell’atto d’accusa.

Ascoltiamola noi.

Nella sera del 3 novembre 1879, verso le ore 10 pom. alla frazione di Bertoulla, mentre certa Barovetto Lucia s’era messa a dormire, veniva svegliata di soprassalto da una strana apparizione. Alla finestra della sua camera si era presentato un individuo, il quale, balzando sul davanzale, tentò sforzare l’intelaiatura per introdursi nella camera. La donna spaventata si mise a gridare al soccorso, e fu fortuna che alle sue grida accorresse una vicina che quella notte era venuta a dormire presso la Barovetto.

Vedendosi scoperto, l’individuo si calò prontamente dalla finestra e se ne fuggì portando seco una scaletta di legno che gli era servita per salire. Ma non fuggì così presto che le donne non lo riconoscessero per quel tristo del Necco.

Nella stessa notte poco più tardi, mentre un’altra donna, certa Bongiovanni Maria, stava cucendo la casa sua, sentì uno strepito fuori della porta ed un abbaiare furioso del cane. Uscì fuori e vide un’ombra che per mezzo di una scala stava per salire al prima piano di casa sua.

La donna chiamò anch’essa soccorso, riconobbe essa pure il Necco, ma anche stavolta egli poté fuggire. Di questi due fatti il malandrino andò finora impunito - né veramente se ne capisce il perché - quand’ecco che nello scorso gennaio tentò un’ultima impresa.

Si trovava nella sera nella cantina di certo Olivetti, quando vide entrare una ragazza per acquistare dei commestibili. Notò che l’Anna - era il sua nome - aveva denari e attese che uscisse; col favor della notte le fu tosto sopra, le turò la bocca con un fazzoletto, la frugò per tutto l’abito cercando i denari, e nella colluttazione le cagionò varie ferite. La povera ragazza stramazzò a terra semiviva, e forse lo scellerato l’avrebbe finita se non fossero sopraggiunte persone. Si diede alla fuga, ma ben tosto fu arrestato e fu istruito il processo.

Sono reati piuttosto gravi. Il giovane criminale li ha commessi nella borgata dove vive e dove è ben conosciuto, tanto da essere identificato dalle sue vittime, comportamento che i malavitosi più navigati evitano. Vero è che al tempo Bertolla, già nota come Borgata dei lavandai, è assai isolata, visto che mancano ancora i due ponti che oggi la collegano al centro cittadino, attraversando la Stura di Lanzo (Ponte Amedeo VIII) e il Po (Ponte Diga del Pascolo) (*).

Rocco Necco come si difende dalle accuse? In un primo tempo cerca di provare un alibi, cioè di essere stato in un luogo diverso da quello dei reati, nella speranza che qualcuno confermi le sue affermazioni. Ma evidentemente nessuno si presta a testimoniare a suo favore.

Come ripiego, scrive Proculejo, Necco ha una levata d’ingegno e cerca di far credere che

passioni amorose lo abbiano spinto a vie di forza contro le tre donne...

Possiamo facilmente immaginare quanto poco convincenti possano suonare queste affermazioni alle orecchie dei giurati, buoni borghesi che probabilmente affidano il loro bucato a qualche lavandaio di Bertolla!

Lo stesso Proculejo, sicuramente un avvocato che non siamo riusciti a identificare, si rende conto della difficoltà di difendere validamente un soggetto del genere. Così la sua cronaca si conclude con le lodi per l’avvocato difensore, forse d’ufficio:

Quando la disgrazia manda ad un povero avvocato difensore clienti perduti come questo, che può egli dire e che può sperare di bene anche quando abbia la facondia, l’efficacia del dire e la dottrina del giovane avvocato signor Cavaglià?

Il quale certo ha fatto e detto dal suo meglio, ed ha ottenuto quanto era possibile, perocché i giurati hanno condannato il Necco a cinque anni di reclusione.

Certo, ne pongo pegno, ha più sofferto nella difesa il cuore generoso dell’avvocato che nella condanna l’indurito malfattore.

Si conclude così questa nostra ricognizione nella borgata di Bertolla che ha riportato in luce un criminale autoctono ormai dimenticato, giunto per un attimo agli onori della cronaca nell’ormai lontano 1880.

(*) Bertolla è oggi un quartiere posto alla periferia nord-est della città, lungo il Po, dopo la confluenza della Stura di Lanzo, appartenente alla Circoscrizione 6, nota come “Borgata dei lavandai”, per l’attività prevalente dei suoi abitanti, ricordata da una targa viaria a loro dedicata.

È stata pressoché isolata dalla città, fino alla costruzione del ponte ferroviario Amedeo VIII sul fiume Stura di Lanzo nel 1884, poi ricostruito nel 1933 su progetto di Mario Dezzutti per la viabilità automobilistica di Strada Settimo. Il lungo Ponte Diga del Pascolo, realizzato tra il 1951 e il 1953, collega Bertolla col quartiere Regio Parco, collegandosi al Lungo Stura Lazio con una grande curva circolare, detta “Curva delle Cento Lire”.

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Articolo pubblicato il 10/02/2023