Gli attaccamenti morbosi tra vivi e morti …

… conducono a stati patologici inguaribili che minano alla base il corretto proseguimento del processo in cui si trovano gli uni e gli altri, fino a quando non vengano recisi tali legami, nel modo in cui ciò può e deve essere fatto.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 66 del 07.12.2021 che è stato suddiviso in 9 articoli. Questo è il n°5.

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Tentare di arrestare il processo di cambiamento continuo imposto dalla vita è sempre uno sforzo vano. Niente e nessuno può cambiare questo stato di cose che si scontra con il tentativo umano di preservare all’infinito la propria esistenza.

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Qualcuno paragona la nostra vita a quella di una persona che vive in una casa che improvvisamente prende fuoco. In tal caso è meglio abbandonare la casa che ti ha dato protezione fino a ieri piuttosto di cercare a tutti i costi di spegnerne l’incendio dall’interno. Capisco che tutto quanto esposto fin qui sia un po’ destabilizzante e, specialmente per chi lo sente per la prima volta, sembri una favola, un racconto fantasioso.

 

Scusa, ma questo tentare di andarsene dalla ruota panoramica sulla quale giriamo, perché ad un certo punto si capisce che c’è altro, e si cerca altro, non comporta anche il rischio di una certa fuga dalla vita stessa e quindi il non affrontare invece quelli che sono gli scopi, gli impegni della vita stessa? Voglio dire l’uscirne non dovrebbe essere piuttosto qualcosa di molto spontaneo quando in qualche modo si percepisce di aver proprio esaurito tutti i compiti, di aver fatto tutte le esperienze?

 

Dunque, per la prima parte della tua domanda hai perfettamente ragione, potrebbe anche essere una fuga. Quando non diventa una fuga? Non quando i tuoi sensi o quando ciò che si pensa di aver capito è maturo, ma quando sei pronto ad accettare le conseguenze di tutto. Allora, come un frutto maturo, si accettano le conseguenze del proprio distaccarsi dall’albero, lasciando che tutto il processo continui, compreso il proprio marcire a terra, per restituire, per così dire, la propria esperienza alla terra attraverso i semi e permettere così la nascita di un altro albero. Un albero non per forza esattamente uguale a quello da cui deriva. Nel momento in cui si accetta di partecipare alla vita è poi la vita stessa che stabilisce ruolo e condizioni di tutto ciò che si è donato ad essa. Non c’è qualcuno che stabilisce, come fanno i lama tibetani, ciò che è giusto fare e quando è giusto farlo. Questa è la grande differenza della reincarnazione orientale classica rispetto a quanto invece descritto in precedenza. In quel caso si tratta di un uso strumentale di tale possibilità, ritenuto giusto ed opportuno secondo il proprio desiderio, unito agli insegnamenti tradizionali di quel credo, mentre nel caso dell’abbandono della ruota, anziché come loro continuare un altro giro di ruota, è proprio un uscire da quella ruota, accettando di comprendere cosa occorre fare, come ad esempio i cristiani, anche i cattolici, dicono di conseguenza leggendo le scritture “la tua volontà sia fatta non la mia”. Che è una delle frasi meno comprese tra quelle che si possono sentire ripetere spesso ritualmente, per abitudine scaramantica più che per coerenza al suo vero significato, o per cultura del luogo in cui viviamo. Accettare le regole della vita può essere estremamente complicato per il nostro modo di pensare, perché, ad esempio, anche quello che noi riteniamo malattia rientra in un percorso di esperienza e non mi pare che sia facilmente accettabile o gradevole per nessuno doverci fare i conti insieme. Tutti noi sappiamo, fin da quando abbiamo l’uso della ragione, che ad un certo punto dovremo abbandonare il corpo, in un modo più o meno drammatico, perché ci siamo legati all’immagine, a questa forma in modo non corretto, morboso, ma per noi “naturale”. Ma sarebbe meglio dire “neppure naturale”, ovvero artificiale, cioè costruita ad arte da noi stessi. Anche questo non è un giudizio ma semplice constatazione. Perché se siamo convinti che alla persona ricoverata nel letto di un ospedale serva procediamo ad applicarle un polmone artificiale perché possa continuare a respirare; e noi facciamo così con la nostra idea di vita; la facciamo respirare attraverso uno strumento artificiale. Ci siamo messi una cannuccia in bocca attraverso la quale respiriamo artificialmente permettendoci di vivere una pseudovita, una parvenza di vita. Ed ecco un aspetto importante per comprenderne il senso, per comprendere la ragione della necessità di scendere da questa ruota. Qualcosa che è in relazione con il culto dei morti al quale, in luoghi diversi e in culture diverse, si fa riferimento in modi diversi. Religioni e filosofie si riferiscono a tale stato in modi, approcci e comportamenti diversi. Anche noi non facciamo eccezione, non abbiamo un’idea chiara di cosa succede in tali frangenti. Dobbiamo dire che siamo abituati ad avere relazioni tra vivi, ma ci sono anche coloro che vogliono intrattenere relazioni con i morti. Purtroppo questo è possibile, ed è un “purtroppo” che vale per tutti, sia per quelli che tentano, sia per quelli che ci riescono, sia per i vivi che per i morti coinvolti in tali pratiche. Infatti quando si perdono i corpi e si ha ancora molta voglia di vivere, c’è la possibilità che chi sta morendo, o è appena morto, mantenga un contatto, un legame, con chi ha avuta affinità da vivo e si stabilisca tra i due una simbiosi, un effetto di dipendenza parassitaria, quanto più simile ad un vampirismo energetico ed emotivo, da parte di chi non possiede più un corpo. Al punto tale che, ad esempio, se il deceduto era in vita un ubriacone ed il suo desiderio è continuare a permanere in quello stato, cercherà un vivo che abbia le stesse caratteristiche a cui legarsi, per farlo attraverso di lui, che è ancora in possesso dei corpi mediante i quali tale stato si può continuare a sperimentare. E farà di tutto perché il vivo continui a stare in quella condizione in modo di trarne continuamente tale risultato. Questa forma di vampirismo deriva anche da quelle forme di pensiero, chiamate eggregore o forme pensiero, quegli aggregati di entità simili e di pensieri simili che costruiscono e costituiscono nel nostro immaginario quello che pensiamo debba esistere nell’aldilà.

 

 

Paradisi, inferni, o luoghi in cui ognuno avrà 99 vergini per sé, generalmente in versione unicamente maschile, non si capisce perché non anche femminile, all’inverso.  Con tutto ciò che c’è intorno, anche di costruzioni materiali “tangibili” di cui qualche volta facciamo esperienza notturna nel sonno. Durante la notte parti dei corpi sottili si allontanano dal corpo fisico, pur restando ad esso attaccati mediante un cordone energetico, chiamato cordone argenteo, permettendo a tali parti mentali e astrali di raggiungere gli aggregati a cui sono affini per ricaricarsi, ripararsi e ricevere istruzioni per proseguire il proprio lavoro il giorno dopo. Durante la notte la parte energetica provvede a riparare in parte anche il corpo fisico. In parte significa che non tutto viene riparato e le conseguenze si trasferiscono in parte, insieme ad altre condizioni analoghe, in quel processo che chiamiamo invecchiamento. Una parte dell’usura giornaliera dell’intero sistema non può essere recuperata né riparata. Qui c’è una materia di studio ed esperimento infinita in cui si sono sbizzarriti eserciti di esseri umani che hanno potuto farne esperienza riportandole e facendole conoscere nei modi più diversi. Ricordi e prove da prendere molto con le pinze perché estremamente variabili nel tempo e a volte contraddittorie per loro stessa ammissione. A volte distorte dalla loro stessa osservazione di sé o personale. Alcuni ricorderanno le descrizioni di un tunnel di luce fatte da coloro che si trovavano in uno stadio di premorte, dal quale sono ritornati alla coscienza attiva nel quotidiano. Molti scienziati e ricercatori in altri ambiti hanno scritto un numero incredibile di libri sull’argomento. E tutti hanno ragione di riportare quanto descrivono, sia quando concordano che quando sono in disaccordo o in contraddizione, poiché ognuno, come per ogni fatto che accade nella vita, vede quello che può o vuole vedere dal suo punto di vista, che può essere molto diverso da quello di un altro. E qualche volta guardano nella parte opposta o verso un altro punto come spesso facciamo anche noi mentre siamo alla guida di un’automobile. A volte non guardiamo la strada, ma un passeggero o in indicatore del cruscotto. Con il rischio di non essere abbastanza presenti a quello che capita sulla strada e di andare a sbattere da qualche parte, pur avendo tutto che funzionava bene. Capisco che tutte queste cose buttate lì in un tempo così ristretto senza una lunga rappresentazione preliminare, un percorso di avvicinamento graduale e lineare, che permetta di elaborare un ragionamento logico secondo i criteri più adatti a ciascuno di noi, non siano così facili da accogliere anche solo come ipotetiche, e quindi possano produrre confusione o incomprensioni. Perciò ve ne chiedo scusa. Ma se osserverete i fatti, da ora in avanti li vedrete diversamente e comprenderete più facilmente tutte le loro relazioni e le leggi che li sostengono.

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Ancora una volta ripeto che queste cose non parlano alla nostra ragione o ai nostri desideri ed aspettative, ma al nostro intero essere. E a quella essenza, profonda e originale, che sta alla base di tutto, che quando è ora di risvegliarsi si risveglia ed è poi lei a mandare direttamente segnali comprensibili alla nostra coscienza. Perché i segnali veri non arrivano da parole come queste, di cui sono pieni i libri, ma solo e sempre da dentro di noi, da un altro tipo di libro. Un libro originale in cui è scritto tutto, anche ciò che deve avvenire, perché non riferito al tempo come noi lo misuriamo e non limitato da alcunché.

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto, schema e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 13/11/2022