Torino: arte farmaceutica dall’epoca romana ad oggi

Di Luca Guglielmino (Sesta Parte)

I chirurghi non erano ammessi tra i dottori collegiati e coloro che eventualmente avessero esercitato come tali o come speziali, venivano espulsi: Quod si aliquis Doctor de Collegio….Chyrurgiam, Pharmaciamque, aliasque consimiles artes licet in abscondito exerceret, aut ex ijsdem lucrum faceret, is censeatur ipso iure exclusus a Collegio, nec amplius admittatur, et is pariter, qui turpiter, et infamiter se gereret existimationi suae parum consulens (Statuto VII del collegio con integrazioni fino al 1664).

Un vero disprezzo per professioni ritenute disonorevoli e vergognose perché manuali, descritto dal medico, chirurgo e anatomico Leonardo Botallo nel suo “I doveri del medico e del malato” del 1565 ove solo in casi urgentissimi il medico poteva intervenire manualmente. Ciò che era empirico era separato rigidamente dal modo di agire del medico “fisico”.

Spesso per aprire attività occorreva il credito. Nel 1563 venne fondata la Confraternita della Compagnia di San Paolo che nel 1578 ha il suo Oratorio privato nell’isolato dei SS. Martiri e nel 1579 darà vita a quello che diverrà il Monte di Pietà per prestare denaro a bassi interessi e cercare di combattere l’usura. A metà del XVII secolo amministrerà il debito pubblico del Ducato.

Precedentemente il secolo XIV vide la presenza di una casana non più esistente nel XV secolo. Si praticavano piccoli prestiti su pegno.

La migrazione degli ebrei sefarditi dalla Spagna portò alla fondazione in Torino di diversi banchi. Una prima notizia ufficiale dell’ammissione degli ebrei in Città si ha nel 1424.

Nel 1546 risultano attivi tre banchi ebraici: quelli di Abram e Vitale Foa e di Moise Todros che speculano su grandi capitali.

Durante l’occupazione francese ricompare il piccolo prestito soprattutto verso i soldati francesi. Ma operazioni di cambio e di credito furono compiute anche da fiorentini, genovesi e mercanti locali. Ad esempio, i fiorentini Francesco Sapeti e Alessandro Gerolami o i genovesi Barnaba Giustiniani che nel 1458 scrive per il vescovo Lodovico di Romagnano e altri sacerdoti, una lettera di cambio a Roma per un importo di 1.500 ducati d’oro e mantiene interessi nel commercio della carta e del sale assieme al fratello Raffaele.

I Giustiniani finanziarono pure la spedizione a Cipro della corte sabauda. I fratelli nel 1460 divengono appaltatori delle gabelle del sale per Cuneo, Nizza, Ivrea e per i pedaggi di Chivasso, Torino, Nizza e Ivrea, per un canone annuo di 14.000 fiorini d’oro per un quadriennio. L’attenzione quasi secolare di tale famiglia è puntata soprattutto sulla gabella di Torino onde commercializzare il prodotto e dirigerlo nel Piemonte settentrionale. Banchieri o prestatori locali sono Bernardo Maina di Poirino, consigliere comunale, Giacomo Maina, sempre di Poirino, Nicola Porta di Chivasso, cambiavalute e banchiere in società con Bartolomeo de Rosio, proprietario di bottega e prestatore, assieme al fratello Sebastiano a diversi prelati torinesi. Il nobile Giorgio Malopera da Cuneo era noto come campsor e cioè cambiavalute e appaltatore della gabella del sale di Nizza.

Dopo l’occupazione francese e l’insediamento di Emanuele Filiberto, l’attività della Compagnia di S. Paolo e del Monte di Pietà tese quindi a rivolgersi ai poveri e agli indigenti con prestiti piccoli e su pegno e diede vita a diverse attività sociali. Tra l’altro un Monte di Pietà era già comparso nel 1519 e durò circa un decennio.

Un altro problema era quello delle unità di misura.

Nel medioevo, infatti, erano diverse persino da luogo a luogo e da paese a paese per cui ad esempio il trabucco di Torino era diverso da quello di Casalborgone o da quello di Montanaro.

Ciò ostacolava notevolmente commerci e scambi e nei trattati di mercatura si riportavano le unità di misura e le pratiche commerciali dei diversi paesi. Una riforma importante tendente ad unificare le misure in tutte le dodici antiche province piemontesi al di qua dei monti (Torino, Susa, Pinerolo, Ivrea, Biella, Saluzzo, Cuneo, Mondovì, Alba, Asti e Vercelli) fu quella di Carlo Emanuele I del 1612. Occorrevano comunque tabelle di conversione dalle vecchie misure e misure campione. Erano state fornite precise dimensioni e materiali e forme per i campioni e assai delicate erano le misure di capacità. Erano comunque misure garantite dallo Stato che non riguardavano solo i commerci ma anche le misure catastali ad esempio.

I comuni coinvolti furono ben 610. Nel 1618 fu emanato un regolamento per aggiustare le misure cui furono deputati degli “aggiustatori”, infatti alcuni comuni a corto di denaro - già nel 1613 - su istanza della Corte dei Conti, ebbero commutato il campione della mina da bronzo, assai costoso, a legno ferrato.

                        MISURE PIEMONTESI DEL 1612

Nel 1628 tali unità di misura furono estese al Monferrato da poco conquistato.

Luca Guglielmino

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Articolo pubblicato il 01/05/2022