La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La rapina al vecchio carbonaio di via Franco Bonelli

Torino, febbraio del 1907.

La cittadinanza è ancora sbigottita dalla concomitanza di due gravi delitti che si sono verificati sabato 12 gennaio: nella serata di quel giorno l’anziana damigella Giuseppina Pezza di Prevignano è stata uccisa nella sua casa di via XX Settembre n. 87 mentre nella notte fra sabato e domenica una signora inglese, miss Susan Low, di 29 anni, è stata aggredita e derubata sul treno Torino-Modane, riportando ferite tanto gravi da dover essere ricoverata in ospedale. Due casi rilevanti sui quali la Polizia non è ancora riuscita a fare luce.

Giovedì 14 febbraio avviene un altro fatto che suscita una certa impressione nella cittadinanza, anche se non ha conseguenze tragiche, come nei due recenti episodi, perché gli autori hanno dato prova di audacia e intenti omicidi.

Il fatto è avvenuto in via Franco Bonelli, che il cronista descrive come «una delle vie caratteristiche della vecchia Torino, strette, tortuose, scarse di luce e di aria, site nel quartiere che è fra via Milano ed il santuario della Consolata». Al civico 12, si trova una vecchia casa, dove affitta due camere al primo piano il carbonaio Stefano Cibrario, che ha la sua bottega nei pressi della vicina chiesa di Sant’Agostino. Queste due camere - che prendono luce dal cortile, mentre l’uscio d’entrata, munito di vetri, si apre su un ballatoio esterno - servono come dormitorio per la famiglia Cibrario che utilizza i locali della bottega per le altre faccende di casa.

Stefano Cibrario, vecchio di 67 anni, vedovo, ha quattro figli, tre dei quali vivono per conto loro con le famiglie. Uno solo dei figli, sposato con Giuseppina Tavella, abita con lui.

I due giovani coniugi hanno due figli, uno dei quali, di tre anni e mezzo, vive coi genitori, mentre l’altro è collocato presso la balia.

La famiglia non si occupa soltanto della rivendita di carbone e legna, ma smercia anche del vino, come altri carbonai. Così la bottega è costantemente frequentata da una vasta clientela di bevitori, fra i quali molti personaggi ben noti alla Questura.

Uno dei migliori consumatori del vino della bottega è il vecchio Stefano Cibrario, bevitore impenitente, una vera «spugna». Così nelle tarde ore del pomeriggio il vecchio carbonaio è invariabilmente ubriaco. È anche sofferente di ernia e così ha preso l’abitudine di coricarsi molto presto, fra le 17:00 e le 18:00. Dopo quest’ora il figlio e la nuora si occupano del negozio.

Il 14 febbraio, come sempre, il vecchio si ritira nell’abitazione di via Franco Bonelli e si corica verso le 18:00. Poco più di mezz’ora dopo, la nuora gli prepara una zuppa di latte e gliela porta in camera: è la sua cena abituale che, anche quella sera, il vecchio consuma stando a letto. La nuora ridiscende e torna in bottega, ma dopo un’altra mezz’ora risale per mettere a letto il figlio di tre anni e mezzo. Cibrario aveva l’abitudine di lasciare la chiave nella porta all’esterno, per comodità della nuora e del figlio. Pensava che, quando lui era in casa, nessuno sarebbe entrato con cattive intenzioni.

Che cosa è avvenuto fra le 18:00 e le 19:00, nella mezz’ora dell’assenza della nuora?

Il vecchio Cibrario, con la mente ottenebrata dal vino, ha soltanto una confusa visione del fatto. Quando la nuora torna nell’abitazione per coricare il bimbo, appena entrata, nota che la casa è stata messa sottosopra dai ladri. Superato la prima impressione, la giovane donna corre, spaventata, dal suocero. Lo trova nel letto, nella solita posizione, come se nulla fosse avvenuto. Gli chiede subito notizie, ma il vecchio non le sa dire nulla di preciso. Ricorda soltanto confusamente la presenza di qualche estraneo nella camera. Sul suo collo vi sono tracce evidenti di violenza: una graffiatura e alcune ammaccature dimostrano che uno dei ladri lo ha preso per il collo e stretto fortemente. La stretta non è stata mortale forse perché l’aggressore ha avuto poco tempo per restare presso la sua vittima.

Si può supporre che il ritorno della nuora abbia provocato l’improvvisa fuga degli ignoti ladri. Forse qualche complice è rimasto in vedetta per segnalare il rientro della donna. I ladri non se ne sono andati a mani vuote: si sono portati via vari gioielli d’oro, del valore di circa 500 Lire, di proprietà della giovane Giuseppina Tavella.  

Inizialmente, pare che nessuno dei vicini sappia fornire indicazioni che aiutino la Polizia. Il cronista de La Stampa di venerdì 15 febbraio, nel dare la notizia così conclude il suo pezzo: «La Polizia riuscirà questa volta ad assicurare alla giustizia gli autori del grave fatto? Speriamolo per la tranquillità della cittadinanza, giustamente allarmata dal succedersi troppo frequente di delitti gravi, senza che la Polizia riesca a scoprirne gli autori, i quali pur devono appartenere a quella categoria di persone già note per altre delittuose gesta».

Questa polemica domanda deriva dagli infelici risultati nelle indagini sull’assassinio della damigella Pezza e sull’aggressione di miss Low.

La risposta viene dalla Questura che arresta gli autori della rapina al vecchio carbonaio.

Le indagini sono partite da alcune dichiarazioni, raccolte da alcuni inquilini della casa: in particolare, una giovane sarta, alle insistenti domande del commissario cavalier Bouvet, capo della Divisione di polizia giudiziaria alla Questura Centrale, finisce col dire che nell’ora del delitto è scesa per comprare dell’olio di ricino. Nel cortile ha visto un individuo, che al suo avvicinarsi si è coperto il viso con un fazzoletto come se volesse soffiarsi il naso. Ritornando poco dopo a casa, la sarta ha rivisto lo stesso individuo, il quale per una seconda volta si è coperto il volto al suo passaggio. La ragazza non ha fatto caso allo sconosciuto, se ne è ricordata soltanto dopo.

È evidente che questo individuo era uno dei complici che faceva il palo, o meglio la «campana», secondo il gergo ladresco del tempo. Era conosciuta dagli abitanti del caseggiato, visto che aveva nascosto col fazzoletto i suoi connotati.

Grazie a queste prime informazioni e ad altre notizie raccolte in seguito, la Questura si convince che lo sconosciuto sia uno stretto parente dei Cibrario, il fratello della nuora del vecchio carbonaio, il pregiudicato Alessandro Tavella, di 28 anni.

Si sapeva che da poco tempo era ritornato dalla Francia e si credeva che convivesse con la madre, verduriera a Porta Palazzo. Viene cercato a casa della madre, ma la donna risponde che il figlio non vive con lei e non sa dare indicazioni sul suo domicilio. Per tutto il pomeriggio e la sera i poliziotti cercano l’abitazione di Alessandro Tavella. Soltanto a tarda notte riescono a sapere che si trova in via Basilica n. 1. Viene allora predisposto un servizio per arrestarlo, svolto al mattino successivo, verso le 6:00, dal maresciallo Soro e dal brigadiere Cioppa della Squadra Mobile, coadiuvati da numerosi agenti.

Tavella è in casa e sulle prime si mostra sorpreso dell’irruzione. Nega con energia di aver preso parte al furto. La perquisizione della sua camera dà esito negativo, però gli agenti estendono le ricerche all’esterno. Ad un tratto il maresciallo Soro nota un pezzo di carta che sporge da un foro nel muro sovrastante al cesso: lo prende e vede che contiene una catena d’oro, rubata alla nuora del vecchio carbonaio, la sorella di Alessandro Tavella!

Dopo questa scoperta, Tavella non può più negare e finisce per confessare anche il nome dei due complici: Luigi Altare, di 21 anni, e Giovanni Bersano, di 27, altri due pericolosi pregiudicati.

Maresciallo, brigadiere e agenti si recano subito a casa di Altare, in via Cottolengo, oltre le Cà neire. Là, con Altare, trovano anche Bersano, suo coinquilino. I due si stanno lavando e sono non poco sorpresi nel vedersi catturati dagli agenti. Viene subito eseguita una perquisizione: si trovano altri oggetti rubati ai Cibrario e alcune polizze di pegno di valori già impegnati. Si sequestrano inoltre una rivoltella coi relativi proiettili, nonché un lungo pugnale.

Dalle confessioni degli arrestati emerge che Altare e Bersano hanno eseguito il furto e aggredito il vecchio, mentre Tavella stava di vedetta. Dopo un sommario interrogatorio i tre finiscono in carcere. Così La Stampa di sabato 16 febbraio 1907 dà atto alla Questura dei buoni risultati della rapida inchiesta e scrive che «ben volentieri [...] ne rendiamo lode al questore, ai funzionari ed agli agenti che direttamente ebbero parte».

La conclusione della vicenda la troviamo in un altro ritaglio de La Stampa, datato 27 giugno 1907:

«Per la rapina di via Franco Bonelli (Corte d’Appello di Torino - 26 giugno)

La Corte confermava la sentenza del Tribunale in data 18 aprile che condannava Tavella Alessandro, Altare Luigi e Giovanni Bersano per la grave rapina a domicilio commessa quest’inverno in via Franco Bonelli a danno d’un vecchio carbonaio».

Il cronista giudiziario non aveva dato notizia della condanna del 18 aprile e così non sappiamo a quanti anni di carcere i tre siano stati condannati.

Ci resta la soddisfazione del caso risolto, grazie allo spirito di osservazione del maresciallo Soro. I casi di madamigella Pezza e di miss Low, invece, attendono ancora verità e giustizia.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 23/04/2022