Torino: arte farmaceutica dall’epoca romana ad oggi
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Di Luca Guglielmino (Seconda Parte)

Il Medioevo. - Fino al 1280, prima soggezione ai Savoia, Torino fu libero comune e solo nel 1418 venne annesso al Ducato sabaudo.

Nel 1210 vi è la prima testimonianza di speziali sul territorio piemontese.

Tra il 1280 e il 1418 le vicende torinesi ruotano su due punti fondamentali: congiuntura economica e conflitto politico. Ovviamente commerci e attività ne risentono.

Il quadro generale della situazione medievale di Torino fu il seguente: dopo la morte della marchesa Adelaide di Susa nel 1091, epoca in cui Torino passò temporaneamente ai Savoia per il matrimonio della marchesa con Oddone I conte di Savoia, la Città passò poi al potere vescovile - almeno fino al 1243 - in genere di parte ghibellina (il vescovo Carlo I stava dalla parte del Barbarossa e dominò l’ex marca di Torino sospendendo almeno fino al 1170 il potere comunale dei sei Consules).

Nei primi decenni del secolo XII al potere ecclesiastico si affiancò quello del Comune, costituito da famiglie ricche, prevalentemente per il prestito di denaro, che si potenziarono in accordo con il vescovo, al quale prestavano omaggio vassallatico. L’alleanza fra i due centri di potere si cementò grazie alla comune resistenza all’avanzata dei Savoia, il cui potere era allora solido fino ad Avigliana.

Il Comune torinese innescò anche concorrenze e provvisorie alleanze con comuni limitrofi come Chieri e Testona.

Le sue famiglie dominanti avevano caratteri sociali ambigui, in parte borghesi in parte aristocratici, collocavano propri membri nel collegio dei canonici della cattedrale e proteggevano quegli enti religiosi che, non limitandosi a essere comunità di preghiera, fornivano alla società torinese servizi ospedalieri e di accoglienza dei viandanti.

Nel Duecento due zone della città erano i poli di governo del Torinese: quelle in cui ancora oggi si trovano la cattedrale e il municipio.

Dal 1255 al 1269 Torino divenne guelfa sotto gli astigiani che sconfissero vicino a Garzigliana, Tommaso II di Savoia, dal 1269 al 1276 rimase guelfa ma sotto Carlo I d’Angiò e infine dal 1276 al 1280 fu dominio degli Aleramici nella persona del marchese Guglielmo VII di Monferrato che nel 1280 cedette Torino a Tomaso III di Savoia, ma la successione passò al fratello Amedeo V che nel 1294 lasciò al nipote Filippo d’Acaia, figlio di Tomaso, i dominî del Piemonte e la città.

Con il passaggio sotto i Savoia tramontò l’autonomia politica del Comune di Torino, anche se l’organismo dirigente comunale sopravvisse, controllato dal patriziato urbano che occupava e controllava l’accesso ai seggi del Consiglio comunale diventati poi ereditari.

Un estremo tentativo di rivolta anti-sabauda si manifestò ancora nel 1334 (congiura dei Sili e degli Zucca, filo-astigiani), soffocato da dure repressioni da parte del principe (Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde) che, al tempo stesso, favorì l’istituzione della «Società popolare di S. Giovanni» nel 1360 come crescita politica del popolo (i non nobili, i borghesi, i mercanti, i bottegai, gli speziali) per bilanciare il potere magnatizio, allargando ai nuovi ceti produttivi, che ne erano ancora esclusi, la partecipazione alla vita amministrativa del Comune.

Al principio del Trecento Filippo – il cui titolo di principe d’Acaia derivava dal matrimonio con Isabella, figlia del principe d’Acaia Gugliemo II di Villehardouin – governava anche l’area meridionale dell’attuale provincia di Torino e quella intorno a Pinerolo, dove Filippo di preferenza risiedeva: il principe mantenne tuttavia interesse per la città, facendo ristrutturare fra il 1317 e il 1320 il preesistente castello di Porta Fibellona (nell’attuale Palazzo Madama).

La sua funzione prevalente, come sede di guarnigione, era esercitare il controllo sugli abitanti della città dalla quale era separato dal fossato e dal ponte levatoio. A metà del XIV secolo Giacomo d’Acaia, con velleità indipendentiste, provocò la reazione di Amedeo VI che lo dichiarò decaduto, avocando a sé il principato: Torino accolse di buon grado il Conte Verde, perché nel 1360 restituì al Comune la libertà legislativa insieme all’approvazione della raccolta dei nuovi statuti (appunto il Codice della Catena). Pur sotto controllo dei Savoia, dal 1362 i reinsediati Acaia rimasero poi al potere ancora mezzo secolo.

Il castello di Porta Fibellona al principio del Quattrocento fu restaurato e ampliato dal principe Ludovico, che morì senza discendenza nel 1418 consentendo ad Amedeo VIII di incorporare nel suo Stato le terre piemontesi.

Sotto gli Acaia la sede del governo della città si collocava presso l’attuale piazza Palazzo di Città, detta platea Taurini o platea civitatis, allora collegata direttamente con la piazzetta della chiesa di S. Gregorio (ora San Rocco) di fronte alla Torre Civica, all’incrocio fra le attuali vie Garibaldi e S. Francesco d’Assisi, al tempo via S. Gregorio.

Nei pressi si teneva il mercato del pesce, mentre il mercato del grano si trovava davanti alla chiesa di S. Silvestro (ora del Corpus Domini).

Fra i muri della platea civitatis c’erano i laboratori dei calzolai e i banchi dei macellai, circondati da botteghe artigiane.

In questa fase, forte fu l’oscillazione demografica per le ricorrenti epidemie diffusesi dal 1348 alla prima metà del Quattrocento.

Il Comune di Torino non aveva, a differenza dei maggiori Comuni piemontesi, un vasto distretto territoriale, ma - ereditando in parte le 10 miglia di distretto accordate da Federico Barbarossa al vescovo Carlo nel 1159 - controllava un’area circostante di circa 15 chilometri di raggio.

Il territorio extraurbano del Comune era delimitato a nord dai borghi di Leinì, Caselle, Borgaro e Settimo, a ovest da Collegno, Grugliasco e Rivalta, a sud dal torrente Chisola e a est dal crinale collinare esteso fra Moncalieri e Gassino.

Non esistevano borghi con proprie comunità organizzate, tranne Grugliasco, però infeudata nel Duecento ai signori di Piossasco. Nel 1619 con l’adozione della corona comitale a nove perle, i consiglieri o decurioni, divennero conti di Grugliasco e signori di Piossasco.

La stessa Grugliasco conferiva come pagamento in natura, il legname per il farò di S. Giovanni.

Grugliasco e Beinasco erano due dipendenze (“titoli”) che Torino tenne per tutto l’antico regime.

Luca Guglielmino

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Articolo pubblicato il 27/04/2022