Joseph Fouché, la polizia politica moderna, la realpolitik, i servizi segreti

Luca Guglielmino analizza questo complesso personaggio francese, poco noto in Italia (Prima parte)

Joseph Fouché, duca di Otranto e conte dell’Impero (Nantes, 1759 – Trieste, 1820), è stato un politico, rivoluzionario e diplomatico francese, protagonista della vita politica per più di vent’anni, così leggiamo in Wikipedia. L’attività di questo personaggio storico francese - poco noto in Italia - che più mi ha interessato è quella di Ministro di Polizia nel periodo napoleonico. A questo proposito, dalla stessa fonte apprendiamo che: «È considerato il fondatore della moderna polizia politica; […] Fouché fu [...] un fautore del realismo politico (realpolitik), ritenuto una personalità intrigante e machiavellica, ed esponente del trasformismo. Con la sua efficiente rete di agenti e spie, egli contribuì a creare un sistema di sicurezza nazionale che fornì da modello per tutti i futuri servizi segreti».

Nell’ormai lontano 1964, Fouché ha avuto un momento di notorietà in Italia come uno dei principali protagonisti dello sceneggiato televisivo di Federico Zardi I grandi camaleonti, diretto da Edmo Fenoglio e trasmesso in otto puntate sul Programma Nazionale: era impersonato dall’attore Raoul Grassilli (Bologna, 1924 – 2010).

Può essere infine curioso ricordare che il temuto Ministro di Polizia di Napoleone compare anche sullo sfondo di un romanzo poliziesco di ambientazione storica, Capitan Tagliagola (Captain Cut-Throat), scritto nel 1953 da John Dickson Carr.

Luca Guglielmino ha acconsentito ad approfondire la conoscenza del personaggio Fouché come fondatore della moderna polizia politica, sulla scorta di una qualificata bibliografia francese.

Lo ringraziamo per la sua precedente e attuale collaborazione, con l’augurio di buona lettura (m.j.).

 

Joseph Fouché e le istituzioni

Joseph Fouché ha diretto il Ministero di Polizia dal 1799 al 1810, ad eccezione di un breve periodo che corrisponde ai due ultimi anni del Consolato, dal settembre del 1802 al luglio del 1804. Fece della polizia consolare, poi imperiale, uno strumento potente, organizzato secondo principi direttamente ereditati dalla sua esperienza rivoluzionaria e terrorista: centralizzazione, unità di decisione e d’azione, subordinazione del potere militare all’autorità civile.

Poco dopo il colpo di stato del Brumaio, ottiene da Bonaparte le leggi e i decreti d’organizzazione del suo ministero che gli permettono di agire ma si dedica soprattutto a cambiare lo spirito di un ministero creato prima di lui, sotto il Direttorio, nel gennaio del 1796. E in proposito egli insiste su questo nei primi rapporti inviati al Primo Console nel 1800.

La polizia dell’Ancien Régime e quella della Rivoluzione servivano il monarca o i partiti. Quella del consolato doveva essere al servizio della Repubblica, a mantenimento dell’ordine costituito.

Ma soprattutto la polizia, come la concepiva Fouché, non era un’amministrazione come le altre perché l’amministrazione ordinaria si dispiega e si manifesta sotto gli occhi di tutti ed è sottomessa a regole lente e uniformi, mentre la polizia deve rimanere nell’ombra. Essa è una leva segreta e potente, indispensabile al governo, dipendente da altre amministrazioni su cui deve poter contare per poter agire. I prefetti quindi si fanno carico dei servizi di polizia dei loro dipartimenti e devono render conto al ministro dipendendo in ultima istanza dal Ministero degli Interni.

I servizi della Giustizia, della Marina, delle Dogane, dipendono invece dal Ministero delle Finanze. E qui si creano dei conflitti. I famosi bollettini di polizia pubblicati a partire dal luglio 1804 e in parte pubblicati da Ernest d’Hauterive a partire dal 1908, rendono conto giornalmente di tali conflitti e lo stesso Fouché era cosciente di tale problema. Infatti, i vari controlli e le varie procedure dei due ministeri si intralciavano reciprocamente provocando danno all’azione dello Stato.

Fouché è un uomo d’azione, ostinato a dare ai suoi servizi tutta la potenza e l’unità che devono avere, a tal punto che egli sarà il primo a praticare gli sconfinamenti di competenza che rimprovera agli altri.

Uno degli episodi più tesi e meno noti di tale conflitto tra poteri, scoppia nel febbraio-marzo 1805 con Bon Adrien Jeannot de Moncey, maresciallo dell’Impero e futuro duca di Conegliano.

Moncey, nominato da Bonaparte nel dicembre 1801 ispettore generale della gendarmeria al posto del generale Radet, prende in carico un corpo già profondamente riorganizzato ai sensi dell’ordinanza del 31 luglio del medesimo anno.

Gli effettivi della gendarmeria, divisa in legioni, compagnie dipartimentali e brigate, sono quasi raddoppiati in rapporto a quelli di fine Direttorio e raggiungono i 16.000 uomini nel 1801.

Ma secondo l’ordinanza del 29 marzo 1800 la gendarmeria era sotto la triplice tutela dei ministri della Polizia generale per ciò che concerne la sicurezza delle persone e la tranquillità dello Stato, della Giustizia per gli affari giudiziari e della Guerra per la coscrizione e la polizia militare.

Nei dipartimenti era a disposizione dei prefetti.

Se Radet aveva cercato di non oltrepassare il suo ruolo, la nomina di Moncey, ex comandante dell’armata dei Pirenei sotto la Convenzione, notoriamente ostile a Fouché, contraria i disegni di quest’ultimo.

Il militare e il poliziotto si erano già scontrati una prima volta nel gennaio del 1800 nel momento in cui Moncey comandava la diciannovesima divisione militare a Lyon, città che l’anziano regicida conosceva bene per avervi infierito sotto il Terrore come rappresentante in missione (massacri del 1793).

L’affare risalì fino a Luciano, allora ministro dell’Interno e fino allo stesso Bonaparte.

Nel momento in cui Moncey si lamentava dell’arroganza e della cattiva volontà delle autorità municipali di Lyon, di cui alcune appartenevano ancora al vecchio personale terrorista della città, Fouché accusava Moncey di lasciare impunemente assassinare dei repubblicani in pieno centro città. Moncey saprà approfittare, una volta nominato ispettore generale della gendarmeria, della disgrazia momentanea di Fouché nel settembre del 1802 e del collegamento della Polizia al ministero della Giustizia per fare delle sue funzioni una sorta di magistratura.

Sotto tale impulso la gendarmeria assicura, oltre i suoi compiti tradizionali, una rete autonoma di sorveglianza. Moncey comunica direttamente a Bonaparte indirizzandogli anche dei rapporti giornalieri d’informazione.

A partire dal 1800 la dottrina del ministro della Polizia verso la gendarmeria è assai ben codificata. In uno dei suoi primi rapporti a Bonaparte, alcune settimane dopo il Brumaio, Fouché sviluppava già quell’idea del primato del potere civile su quello militare. Scriveva d’altronde esattamente la stessa cosa da Lyon, in pieno Terrore, al Comitato di salute pubblica, insistendo costantemente sulla necessaria sottomissione dell’armata rivoluzionaria ai rappresentanti del popolo in missione.

Tale primato del potere rivoluzionario civile sull’esercito è una costante del pensiero di Fouché.

E in questo egli incarna una delle dottrine chiave della Rivoluzione fin sotto l’Impero.

Dare quindi una forma civile alla gendarmeria, lasciandole tutto il vigore di una forza militare: un esercito della polizia quindi. La gendarmeria ha capi suoi e la polizia non la comanda, ma deve averla sempre a sua disposizione ai sensi di legge.

Raccomanda quindi ai prefetti di sorvegliare che tale arma speciale del governo non sia distratta dalle proprie funzioni al servizio della polizia e che non perda tempo in parate o a servire di picchetto a guardie d’onore inutili (direttiva a seguito dell’ordinanza del 29 marzo 1800).

Luca Guglielmino

Fine della prima parte - Continua

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Articolo pubblicato il 31/03/2022