La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Storie del Commissariato Borgo Dora (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

 

Proseguendo la nostra ricognizione fra le vicende dell’anno 1951 relative al Commissariato Borgo Dora, prendiamo ora in esame alcuni furti che sottendono vicende di cuore.

Il primo caso ha il tono di una bravata, come si evidenzia fin dal titolo Ruba l’automobile al rivale in amore, e lo leggiamo su La Stampa del 7 marzo 1951.

Si presentava ieri mattina al dott. Carone, commissario della P. S. Borgo Dora un professionista torinese fuori di sé per la agitazione: mentre si trovava in una casa di via Priocca, gli avevano rubato la 1100 verde, nuova di zecca, lasciata nel cortile. Il funzionario riceveva la denuncia e disponeva per le indagini.

 

Siamo nel 1951 e l’automobile è un bene di lusso che assume un valore non soltanto economico, ma anche valenze di status sociale: questo va tenuto presente per leggere nella giusta luce questo racconto, senza sorprendersi dell’accorata denuncia di furto fatta dal professionista torinese addirittura al dirigente del Commissariato.

 

A sera, il colpo di scena. Chiedeva di parlare con il dott. Carone un giovane impiegato di 25 anni, con un’aria stralunata ed eccitata.

«Dottore, ho rubato una macchina per andare a fare una gita con una ragazza. Ora la restituisco e sono disposto a pagare la benzina che ho consumato...».

«Ma io sarò costretto a denunciarla, se non ad arrestarla! Dove l’ha rubata?».

«In via Priocca...».

«Che auto è?».

«Una 1100 verde...».

Non vi poteva essere dubbio: era la vettura del professionista.

Questi veniva subito chiamato in sezione. Secondo colpo di scena: l’impiegato improvvisatosi ladro d’auto risultava essere il rivale in amore del professionista. Entrambi, da tempo, erano innamorati di una graziosa e formosa bionda domiciliata in via Priocca.

Vittorioso era riuscito il professionista, con smisurato cruccio del giovanotto. Il quale aveva giurato vendetta: ieri mattina scorto il rivale salire dalla donna gli aveva portato via l’auto con cui aveva scorrazzato sino a sera.

L’incauto giovane si è buscato una denuncia all’autorità giudiziaria.

 

Una bravata, la si è definita in esordio. L’affermazione conclusiva ci ricorda però come la Giustizia abbia fatto il suo corso, visto che il giovane è stato denunciato all’autorità giudiziaria. Ci piacerebbe sapere - ma il giornale non ce lo dice - che cosa abbia deciso il giudice per questo caso.

E - un po’ pettegoli, lo confessiamo - vorremmo anche sapere come sia andata a finire la relazione del professionista con la bionda graziosa e formosa di via Priocca.

Il secondo caso presenta i risvolti drammatici di un matrimonio ormai finito, al quale il marito - con mezzi decisamente illeciti - vorrebbe dare una conclusione a lui più favorevole.

Così lo racconta Stampa Sera del 25 aprile 1951:

 

Alcuni giorni fa il commerciante in ferramenta Domenico Bovero [...], di anni 24, abitante in corso Emilia 5, si presentava al Commissariato di Borgo Dora per denunciare un furto del quale sosteneva di essere stato vittima: da un nascondiglio dietro ad un armadio erano scomparse 270 mila lire e 600 franchi francesi. Il Bovero sosteneva di essersi accorto della sparizione del gruzzolo in seguito alla richiesta fattagli dal cognato Giacomo Lombardo, di anni 28, abitante nell’alloggio attiguo al suo, di un prestito di ventimila lire.

Al brigadiere Platania che l’interrogava il commerciante aggiungeva che l’armadio dietro il quale aveva celato la somma era appoggiato a un assito in comunicazione con l’alloggio del cognato, ma escludeva che questi avesse potuto commettere il furto. Piuttosto egli era incline a credere che la cognata, Domenica Picco, non fosse all’oscuro della faccenda.

Veniva effettuata quindi una perquisizione nell’alloggio del Lombardo e specialmente tra gli effetti della moglie ma senza alcun esito; risultato ugualmente negativo dava un’altra perquisizione nel negozio dove la Picco lavora come commessa.

Il brigadiere Platania, dopo aver interrogato anche la moglie del derubato, cominciava a sospettare trattarsi di una simulazione e sottoponeva a stringente interrogatorio il Bovero, il quale a un certo punto confessava di non aver mai posseduto quella somma: il cognato gliela aveva soltanto promessa se egli avesse simulato un furto.

Veniva quindi interrogato il Lombardo che ammetteva di aver architettato tutta la faccenda per poter incolpare la moglie di furto. Se questa fosse stata ritenuta colpevole egli avrebbe potuto chiedere la separazione per colpa di lei, come da molto tempo aveva in animo di fare. Questo il punto raggiunto dalle indagini. Il dottor Carone continua l’inchiesta per far piena luce.

 

Non bisogna dimenticare che nel 1951 non esiste il divorzio, ma il complesso procedimento della separazione che, al termine fa assumere a marito e moglie la condizione di “coniugi separati”. Noi non conosciamo i risvolti intimi del caso, ma si può ritenere che costituisca uno di quei casi difficili che facevano rimpiangere la mancanza del divorzio, quando uno dei componenti della coppia si sentiva in diritto di sistemare le cose a suo vantaggio con astuzie extragiudiziarie. Magari coinvolgendo un disponibile cognato.

Concludiamo con una storia che coinvolge il Commissariato soltanto marginalmente, ma con aspetti di un certo interesse, legati all’impiego della magia per intervento di una chiromante. Lo descrive La Stampa del 29 aprile, sotto il titolo Il diabolico trucco di un cinquantenne per riconquistare la giovane amante:

 

I maneggi messi in atto dagli innamorati per conquistare le donne sono moltissimi ed infiniti sono quelli per riconquistarle. Il ragioniere Vincenzo Turco di 50 anni ne ha escogitato uno assolutamente inedito.

Dodici anni fa il Turco incontrava una fanciulla quindicenne, Maria Levratti, abitante in via Bologna, e se ne invaghiva follemente. La relazione si protrasse fino a qualche mese fa e diede frutti: quattro figli, uno dei quali morì appena nato e gli altri vennero ricoverati in istituti per l’infanzia. Il Turco tenne con sé la ragazza e a poco a poco dovette vendere la sua casa, oro e gioielli. Nel mese di marzo la miseria era completa e, per campare, fu costretto a bussare alla porta di un ospizio di mendicità. La Levratti non volle seguire l’uomo e dichiarò di volerlo abbandonare. Da quel giorno il ragioniere sembrò impazzire.

 

Dopo aver conosciuto i protagonisti della vicenda, ecco l’espediente escogitato dal cinquantenne abbandonato.

 

Finalmente escogitò un ingegnoso trucco. Si recò da una chiromante di Porta Palazzo, certa «Fatma» (al secolo Virginia Bellone) e le consegnò un taccuino ed una misteriosa boccetta. Nel taccuino era scritta per filo e per segno la vita della Levratti.

«Verrà da te oggi pomeriggio una ragazza. Tu, che avrai letto in precedenza i miei appunti, la sbalordirai raccontando particolari della sua vita».

Poche ore dopo da «Fatma» giungeva la giovane, accompagnata dal ragioniere. Entrò sola nello studio della chiromante ed ebbe inizio la farsa. «Fatma» indovinò non solo nome cognome ed età della ragazza, ma circostanze insospettate e fatti molto intimi.

La Levratti era stupefatta: la sua incredulità crollò.

«Tu vedi che ho indovinato senza un solo errore il tuo passato. Ora attenta: ecco il futuro. Uscirai di qui ed incontrerai l’uomo del tuo destino, un ragioniere di cinquant’anni. Lo accompagnerai in un bar e, senza che se ne accorga, gli farai bere un sorso di questo filtro d’amore. Da quell’istante incominceranno le tue fortune. Una persona che tu non conosci morirà tra cinquanta giorni e ti lascerà erede di un enorme patrimonio. Ma devi amare per sempre il tuo ragioniere, vivere con lui per sempre: altrimenti morirai prematuramente ed in miseria».

La Levratti, incantata dalle parole dell’indovina, giurò di obbedire ed usci di corsa.

 

Quando il «trucco ingegnoso» pare aver funzionato, è la stessa Fatma ad avere un sussulto di dignità:

 

Poco dopo la chiromante pensò di essersi involontariamente resa complice di un fatto oscuro, si recò al vicino commissariato Borgo Dora e denunciò il fatto al maresciallo Zanetta. Poco dopo il Turco veniva arrestato in un vicino bar e tradotto in sezione.

Chissà come si sarà conclusa la tormentata vicenda del ragioniere cinquantenne e della sua giovanissima amante… Appare chiaramente con questa notizia il malinconico declino della chiromante Fatma. La conosciamo dagli annunci a pagamento de La Stampa: il 9 ottobre 1926 aveva annunciato di essersi installata in piazza Montebello 31, traslocando dal suo studio precedente di via Giuseppe Verdi 10. Si definiva abilissima, premiata veggente e prometteva rivelazioni infallibili. I suoi annunci erano proseguiti fino al 31 dicembre 1929, quando aveva fatto pubblicare un tagliando da ritagliare. Evidentemente, dopo la guerra, le cose non andavano più tanto bene, visto che aveva rischiato di divenire complice di un intrigo amoroso. Ma, come abbiamo detto, è stata lei a risolvere la situazione rivolgendosi alla Polizia.

Fine della seconda parte (continua).

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Articolo pubblicato il 19/02/2022