La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Storie del Commissariato Borgo Dora (prima parte)

In un precedente articolo ho narrato varie vicende di cronaca che coinvolgevano il Commissariato Borgo Dora di via Carlo Noè, riferite al periodo della Seconda guerra mondiale, nei limiti del periodo settembre-dicembre 1943. Propongo ora alcuni casi del periodo post-bellico, avvenuti nell’anno 1951, che per le loro peculiarità possono ancora rivestire qualche interesse per evocare i difficili anni successivi alla Seconda guerra mondiale nella città. Iniziamo con un accoltellamento e un grave episodio di violenza a scopo di rapina, seguiti da un caso di furto, tutti risolti dal personale del Commissariato, senza intervento della Squadra Mobile della Questura.

Il caso di accoltellamento viene segnalato il 2 aprile 1951, quando un passante che sta rincasando, verso le 21:30, scorge il corpo inanimato di un uomo, sdraiato all’angolo tra corso, oggi lungodora, Napoli e via Cigna. Gli si avvicina, accende un fiammifero, convinto di trovarsi alle prese con un ubriaco: ma subito constata che lo sconosciuto è gravemente ferito e perde abbondante sangue.

Con l’aiuto di altre persone, l’infelice è trasportato in un vicino bar e, con un’autoambulanza municipale, raggiunge l’Astanteria Martini: qui i sanitari gli riscontrano una profonda ferita al ventre, con fuoruscita di visceri, prodotta da un’arma da taglio, forse un coltellaccio arrugginito. La prognosi è riservatissima.

La Stampa del 3 aprile così prosegue:

 

Più tardi l’agente dell’ospedale identificava il poveretto nel mendicante cinquantanovenne Angelo Onorato Givone, abitante in una casa sinistrata di via Cuneo.

 

Il termine «sinistrata» è ormai desueto ma nel 1951 viene purtroppo spesso impiegato: indica infatti le case lesionate dai bombardamenti dei liberatori alleati, che, in caso di danni non troppo gravi erano ancora, almeno in parte abitate. L’articolo ci informa poi che:

 

Immediatamente il Commissariato di Borgo Dora veniva informato del grave fatto, e si iniziavano le ricerche dell’ignoto accoltellatore. Il Givone, nei giorni scorsi, era stato protagonista di una furibonda rissa, avvenuta nel suo abituro insieme con un altro mendicante, certo Pietro Ferraris, di 73 anni.

Una settimana fa, mentre sta va girovagando a Porta Nuova, aveva incontrato il Ferraris in preda ad una solenne sbornia. L’uomo gli fece compassione e lo invitò seduta stante a casa sua. Nella notte del 30 marzo il nuovo inquilino, rientrato alticcio, attaccava lite con l’ospite e lo minacciava con una scure. Il Givone si era difeso accanitamente e aveva colpito l’avversario a pugni. Quindi lo aveva accompagnato all’ospedale, dove i medici lo giudicavano guaribile in una decina di giorni. Ma il Ferraris, benché le sue condizioni non fossero buone fuggiva dall’ospedale. La polizia ritiene che il feritore del Givone altri non sia che il Ferraris.

Già il giorno seguente La Stampa può dare la notizia dell’arresto dell’accoltellatore, che non è il sospettato Ferraris:

 

Il feritore del mendicante cinquantanovenne Angelo Onorato Givone, abitante in uno stabile sinistrato di via Cuneo, è stato arrestato poche ore dopo il misfatto dal maresciallo Zanetta del Commissariato Borgo Dora. [...]

L’accoltellatore è certo Giuseppe Grisi di 54 anni, abitante in corso Napoli 30: un paralitico pregiudicato e dedito al vino. L’altra sera i due si erano trovati in un’osteria di via Cigna, ed una pagnotta di pane che il Givone si sarebbe fatta prestare dall’amico e più non avrebbe restituita è la causa del drammatico fatto. Il Grisi, non appena l’altro gli ebbe espresso il desiderio di non rendergli più il pane, usci dal locale e si recò a casa, dove si armò di un lungo coltello da cucina. Quindi si appostò nel buio e attese che il Givone uscisse.

Lo affrontò e gli piantò la lama nell’addome. Il suo compagno non si accorse a tutta prima di essere ferito. Soltanto quando si toccò il ventre constatò di essere tutto imbrattato di sangue e che i visceri gli erano fuorusciti.

«Mi hai bucato la pancia!» gridò, e cadde al suolo svenuto. L’accoltellatore si rifugiò in casa e più tardi veniva arrestato dalla Polizia.

 

Uno scontro tra poveracci emarginati causato da una pagnotta di pane… Decisamente Givone non era molto oculato nella scelta degli amici. Pare però essere stato fortunato e, anche se il giornale non riporta più notizie di questo caso, pare che sia riuscito a cavarsela malgrado la gravissima ferita.

  

Il secondo caso si verifica il 20 marzo 1951. Così la racconta La Stampa del giorno seguente:

 

Una sanguinosa aggressione è stata compiuta nei pressi del Balon. Ecco come la polizia ha ricostruito i fatti. Verso le 2 di ieri notte una coppia percorreva via Borgo Dora: un uomo, Edoardo Certo, di 38 anni, abitante in via San Domenico ed una giovane donna. Il Certo, poco prima, aveva avuto un incidente alla propria bicicletta; la catena si era spezzata ed aveva bloccato la ruota posteriore, cosicché egli dovette adattarsi a mettersela sulle spalle e proseguire a piedi la strada, insieme con la donna. Giunti nelle vicinanze di piazza della Repubblica i due notarono un ciclista, con il bavero della giacca rialzato, che sfrecciò veloce. Poco dopo lo sconosciuto ricomparve: bloccò di colpo i freni, lasciò cadere a terra il suo velocipede ed estrasse fulmineamente un lungo coltello a serramanico.

«Sei un ladro, ti conosco bene: Dammi la tua bicicletta e vattene di corsa!».

Il Certo rimase attonito per un istante: non fece in tempo a scansarsi che l’altro gli si gettò addosso e gli vibrò una coltellata. Per fortuna l’arma non lo raggiunse in pieno: la lama lo aveva colpito alla fronte, un taglio lungo e profondo. Liberatosi della bicicletta che ancora teneva sulle spalle, l’aggredito ingaggiò allora una furibonda lotta con il rapinatore, che pareva in preda ad una crisi di nervi. I due, avvinghiati, rotolarono sul selciato: il coltello era caduto lontano ed essi tentavano di impadronirsene. La donna, esterrefatta, continuava a gridare per attirare l’attenzione di qualche passante.

Un giovanotto giunse in quel momento: ma non si curò dei due che sempre lottavano selvaggiamente, né delle urla della donna. Si allontanò anzi in tutta fretta. Il Certo, benché avesse il volto trasformato in una impressionante maschera dal sangue che gli colava dalla ferita, stava già per avere la meglio, quando l’altro, con un disperato sforzo si divincolò e, senza raccogliere il coltello, fuggì verso corso Giulio Cesare. Il ferito invece, spossato, perdette i sensi.

Giunto nei pressi del ponte sulla Dora il rapinatore scorse un gruppo di persone, una pattuglia del commissariato di borgo Dora composta dagli agenti Corsetti, De Gerno e Maglio.

«Sono vittima di una aggressione. Accompagnatemi all’ospedale...».

Gli agenti si qualificarono e si misero a sua disposizione. Ma non appena lo sconosciuto ebbe appreso di avere a che fare con la polizia tentò di fuggire. Ma zoppicava, fu catturato dopo breve corsa e trasportato nel luogo dove era avvenuto il fatto.

Qui il Certo, ancora al suolo dolorante, non appena scorse il suo rapinatore lanciò un urlo e gli si precipitò addosso. Le guardie dovettero ammanettarlo per impedire che le sue percosse atterrassero il rivale, già abbondantemente coperto di ferite e lesioni.

Al commissariato il rapinatore fu riconosciuto nel trentunenne Agostino Gresta, abitante in corso Giulio Cesare: pregiudicato per rapina, ferimenti e furti con scasso. Costui, dopo essere stato medicato e giudicato guaribile in 10 giorni, ha confessato di aver tentato il colpo perché a corto di denaro.

«Avrei tentato di farmi consegnare anche il portafogli» ha ammesso.

Il Certo, invece, è stato ricoverato al Martini in osservazione per la ferita alla fronte, contusioni multiple e stato di «choc».

 

Un caso certamente drammatico, ma che viene ad assumere anche risvolti involontariamente divertenti, come nel caso del ladro malconcio per l’energica reazione della sua vittima che va a chiedere aiuto a una pattuglia di agenti di Polizia, e ancora la reazione del derubato che deve addirittura essere ammanettato perché non infierisca sul rapinatore... Triste aspetto, invece, è la scarsa solidarietà mostrata dal passante: sempiterno egoismo documentato già dalla parabola del buon samaritano, anche se la voce popolare ripete spesso che una volta, la gente era più disponibile e solidale...  

Concludiamo con un tentativo di furto che l’istituito del brigadiere Platania permette di risolvere col felice recupero della refurtiva.

Leggiamo in Stampa Sera del 15 gennaio 1951:

 

Una curiosa operazione di polizia è stata compiuta dal brigadiere Platania del commissariato Borgo Dora, che è riuscito a identificare e raggiungere l’autore di un furto tanto elaborato quanto audace, proprio nel momento in cui stava per prendere la fuga, forse per sempre.

Il ladro, pienamente confesso, è il ventinovenne Giuseppe Amato, da Palermo, di mestiere calzolaio. L’Amato aveva incontrato la futura vittima, Giovanni Scopello abitante in via Biella 20, mentre questi si trovava con il figlio in un’osteria di via Basilica: dai due aveva ricevuto l’ordinazione di un paio di scarpe, che si affrettò a confezionare e recapitò l’altro giorno.

Era in casa il figlio dello Scopello, il quale per pagarlo prese i quattrini da uno scaffale in cui erano contenute 175 mila lire.

L’Amato vide certamente il discreto mucchio di quattrini e progettò il piano. Ieri seguì lo Scopello padre, lo raggiunse in un’osteria di via della Consolata, con abile mossa gli portò via le chiavi di casa; corse in via Biella 20, attese che l’alloggio fosse vuoto, vi penetrò e rubò le 175 mila lire. Il fatto venne scoperto in serata e denunciato alla polizia.

Se ne interessò il brigadiere Platania che, raccolte le diverse deposizioni, collegò insieme i fatti e riuscì a convincersi della colpevolezza dell’Amato ed a raggiungerlo sulla porta di casa mentre stava uscendo: in mano portava una valigia nuova di zecca ed in tasca aveva un biglietto ferroviario di II classe per Palermo. Attendeva un tassì che lo portasse alla stazione. L’auto pubblica arrivava in quel momento. Ma il calzolaio è stato invece portato al vicino commissariato dove non gli è rimasto che confessare l’impresa.

 

Storie datate anche se gustose, che evocano il cinema neorealista. Giunto a questo punto della narrazione, vedendo quante storie restano ancora, ritengo che ci voglia un sequel...

Fine della prima parte (continua)

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Articolo pubblicato il 12/02/2022