Foibe ed Esodo

Frammenti di memoria e di passate esperienze (di Alessandro Mella)

Fu una barbarie basata su un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri connotati di una pulizia etnica (Giorgio Napolitano)

 

Per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell'esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia (Sergio Mattarella)

 

Con il 10 febbraio, da qualche anno, si commemorano le vittime delle Foibe e dell’Esodo Istriano-Giuliano- Dalmata.

Una ricorrenza non facile, che per strane ragioni ancora divide le coscienze come se le vittime della storia si potessero classificare secondo le rispettive passioni e pulsioni politiche.

Ogni volta in cui vedo contrapporre la terribile tragedia vissuta dal popolo ebraico assassinato in massa nei malefici lager nazisti alla tragedia vissuta, parallelamente, nei confini orientali mi prende un magone enorme. Non riesco a vedere differenze, sono tutti morti, tutte vittime inermi, tutte persone che dovevano vivere.

Eppure, per alcuni ci sono ancora morti di serie A e di serie B. Forme d’ottusità imbarazzanti, e talvolta snervanti, hanno portato ad opposti negazionismi. In un crescente scontro tra chi nega l’Olocausto (ma com’è possibile?) perpetrato dal Terzo Reich e chi nega le vittime delle foibe classificandole come revisionismo fascista oppure, quasi, con grottesche forme di giustificazione per i loro carnefici.

Parliamoci chiaro e senza nasconderci: le autorità italiane fasciste non ebbero freni nei territori orientali e balcanici. Ed anche le truppe tedesche, che vi passarono, non furono da meno.

Non mancarono le violenze e gli orrori ma davvero si può accettare l’idea che il sangue chiami che il sangue? Che il torto subito giustifichi comunque la più vile delle vendette? Nelle foibe non andarono solo i fascisti conclamati, gli autori di quelle infamie, i fanatici. Ci andarono anche migliaia di civili colpevoli solo di essere italiani in una terra in cui la presenza italiana aveva radici antiche.

Non è una gara tra chi aveva torto e ragione. In guerra il torto lo hanno tutti ma quei civili che ne potevano? Si uccise senza criterio, solo per odio e rancore. Se riconoscere i torti imposti dal fascismo è un dovere morale, altrettanto è riconoscere che la reazione fu violenta, spietata, bestiale e non giustificabile.

L’orrore non ha colori buoni e colori cattivi ma è sempre becero, sempre sbagliato, sempre deprecabile. Se non riusciamo a riconoscerci in questa forma mentis allora il rischio di vederne ancora nel futuro non sparirà.

Nel passato, quando mi occupavo di storia dei servizi antincendi, incontrai sul mio cammino tante testimonianze, ricordo tante esperienze che mi misero a confronto con quelle vicende. Quando incontrai la famiglia del comandante dei vigili del fuoco di Fiume, uomo perbene, sequestrato in caserma dai titini e sparito nel nulla. O i parenti di uno dei vigili polesani che per primi si calarono nelle foibe di Pola nell’autunno del 1943.

E così il figlio di un importante funzionario del governo della RSI che, nel 1944 circa, ricevette a Ponte di Legno il maresciallo Harzarich giunto da Pola con la documentazione fotografica di quanto aveva scoperto nell’autunno 1943. L’uomo ne fu così sconvolto che trattenne il plico degli scatti per recarli a Gargnano al capo del governo.

E i racconti, vivissimi in me, degli esuli polesani e istriani respinti, maltrattati, costretti a subire, nei loro campi profughi a Roma, i mitragliamenti notturni di chi voleva intimare loro di non esporsi al tempo del referendum monarchia/repubblica del 1946.

Minacce, tra l’altro, inutili visto che il diritto di votare fu loro negato. 

Di ricordi ne conservo tanti nel cuore, avrei solo voluto avere l’esperienza necessaria a chieder loro di scrivermele quelle cose.

Ed oggi cosa ci rimane di quelle esperienze? Di quei drammi? Poco, forse nulla, perché le sofferenze non sono superate e si perpetuano nelle voci degli opposti negazionismi. Nel rancore che, dopo decenni, ancora cova.

Ma è davvero così difficile sentire nel cuore il dovere morale ed etico di vivere con lo stesso spirito di raccoglimento e di commozione la Giornata della Memoria ed il Giorno del Ricordo?

Ho pianto, lo confesso, tante volte. Ho pianto per i morti di Auschwitz o Belsen o Mauthausen, ho pianto per il cugino Tancredi deportato dai nazisti a Ludwigshafen e sfruttato come schiavo ed ho pianto per i morti di Basovizza, di Pola, di Fiume e di Trieste. Ho pianto per le famiglie ebree separate a forza e uccise con il gas nei lager tedeschi come ho pianto per le famiglie italiane insultate e maltrattate nelle stazioni italiani al momento del loro esodo.

Il dolore è dolore, senza ideologia e senza colore. Per noi figli del Novecento, quei drammi dovrebbero essere scuola di vita. Invece siamo ancora ancorati alle divisioni d’allora. Quando diventeremo grandi?

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 09/02/2022