Tra fede, scienza e storia

Il Museo della Sindone di Torino (di Alessandro Mella)

Nel 1578 la Santa Sindone lasciò Chambery diretta a Torino nel quadro del cambio di prospettive che animò Casa Savoia. Lo spostamento aveva molti significati ed era altamente simbolico perché confermava il desiderio di orientare le proprie prospettive verso l’Italia.

La preziosa reliquia, infatti, rappresentava non solo un importante oggetto di devozione ma anche un vero e proprio simbolo dal potere tale da poter, indirettamente, confermare la benevolenza divina verso i duchi sabaudi che per grazia dell’altissimo guidavano i destini dei loro stati.

Numerose furono le ostensioni del Sacro Telo volte ad offrire ai fedeli la possibilità di vedere il prezioso cimelio ma anche per garantirsi le loro simpatie ed il loro consenso. Fu nell’occasione di quella del 1931 che all’approccio religioso si affiancò, ulteriormente, quello scientifico e storico. Cioè lo studio svincolato dalla fede, di vocazione rigorosa e laica, finalizzata, quindi, non solo a dipanare la matassa sull’annosa questione dell’originalità o meno ma anche appurarne vicende, caratteristiche, storia e così via.

Fu forse questa lunga serie di studi, forse il clima creatosi, forse le speranze ed i sogni di molti, a favorire le condizioni per creare un primo museo tematico poco tempo dopo:

 

Il Museo della Sindone, fondato nel 1936, ripercorre le tappe della storia del Lenzuolo e delle ricerche scientifiche che hanno indagato sulla sua immagine. Tra gli oggetti esposti: le lastre originali e la macchina di Secondo Pia, primo fotografo della Sindone; le lastre di Giuseppe Enrie del 1931; la cassetta in cui la Sindone arrivò a Torino nel 1578; incisioni e libri antichi sulle ostensioni tra ’500 e ’800; immagini tridimensionali; fotografie al microscopio elettronico dei pollini e delle microtracce; tele frutto di esperimenti volti a spiegare la formazione dell’immagine. (1)

 

Le traversie della guerra, la ricostruzione, le profonde ferite che ancora laceravano il paese, forse contribuirono a far passare del tempo prima che il museo potesse ritrovare il suo vigore e riaprire al pubblico dopo le travagliate vicende belliche:

 

Il museo della Sindone Nella sede della Confraternita del Santo sudario di via s. Domenico 28 è stato inaugurato ieri mattina dal Vescovo ausiliare mons. Bottino un museo che raccoglie materiale documentarlo scientifico e storico sulla Santa Sindone. (2)

Molti anni passarono mentre il paese cambiava sensibilmente e la storia seguitava a fare il suo corso. Al termine di un lungo e melanconico esilio, sfibrato dalla sua tormentosa malattia, il Re Umberto II si spense nel marzo del 1983.

La Sindone apparteneva ancora alle proprietà della Real Casa di Savoia ed egli poco prima della prematura fine decise di lasciarla in eredità al Papa. Giovanni Paolo II e la Santa Sede accolsero il legato testamentario con commossa soddisfazione e fu presa la decisione di lasciare la reliquia la dove da secoli, salvo una breve pausa bellica, essa si trovava.

Ancora una volta, tuttavia, fu in occasione di un’ostensione, quella del 1998, che si rinnovò l’interesse, in verità mai sopito visti i molti studi compiuti negli anni ’80 e 90, attorno al prezioso lino. Questo diede impulso per rinnovare e riallestire il museo e permetterne una nuova fruibilità:

 

Per la prossima ostensione sarà riallestito sotto la chiesa della Confraternita del Santissimo Sudario, con ingresso da via Piave. Il progetto, dell'architetto Andrea Bruno, sistemerà un ambiente di 250 metri quadri, con un miliardo di lire e 6 mesi di lavori, pagati da Regione e privati. Pronto il piano d'allestimento museale, curato da Gian Maria Zaccone. «Per questo museo, ponte fra scienza e fede - dice Andrea Bruno - propongo idee architettoniche che non prevalicano i contenuti di una raccolta unica al mondo».

I pellegrini scenderanno nella cripta lungo tre rampe. Prima sorpresa: vedere «sospesa» sulla scala la soprastante bella sacrestia barocca. Apparirà come «affacciata» a una parete trasparente, che consentirà di cogliere la continuità delle volte. Vi sarà anche un ingresso secondario dalla chiesa. Mentre i portatori d'handicap avranno un ascensore dal passo carraio di via S. Domenico.

La sala sotterranea sarà restituita all'integrità originale, con lo spazio diviso da 4 pilastri centrali, coperto da volte raccordate da ampie lunette. Bruno propone di unire l'area espositiva alla chiesa mediante un lucernario triangolare, «tagliato» nel pavimento della navata per ricordale ai devoti la presenza del sottostante museo.

Entro giugno saranno finiti i lavori che con 500 milioni Comune e Regione hanno condotto per rifare gli impianti elettrici e restaurare gli affreschi della chiesa e la sua pala d'altare.

La Confraternita del Santissimo Sudario, presieduta da Bruno Barberis, ha già risanato tetti ed esterni, grazie all'aiuto del Rotary Club Torino, dell'Inner Wheel Club Torino Nord Ovest e soprattutto per merito di Franco Rosso, titolare della Francorosso International, che ha sede nell'attiguo «Palazzo dei Campanelli».

«La disponibilità di Franco Rosso - dice Barberis - è stata determinante sia per avviare le opere, sia per rendere possibile questo nuovo allestimento».

Gian Maria Zaccone lo ha ideato per raccontare il viaggio della Sindone dalla Terra Santa a Torino, per esaminare l'evoluzione delle ricerche scientifiche ed esporre una raccolta di rappresentazioni devozionali. «Sarà un museo didattico - ricorda Zaccone - con ampio impiego di sistemi multimediali». I punti forti saranno l'urna che servì a trasportare la reliquia da Chambery a Torino e la macchina fotografica con le foto scattate alla Sindone nel 1898 da Secondo Pia, presentate con quelle riprese nel 1931 da Giuseppe Ernie.

«La cornice usata per esporre il Sudario durante l'Ostensione del 1931 - prosegue Zaccone - potrà servire per presentare una riproduzione della reliquia o come schermo dove proiettare le foto».

Seguiranno elaborazioni computerizzate che descrivono la figura fisica dell'«Uomo della Sindone» e che evidenziano le informazioni tridimensionali contenute nell'immagine sindonica. Il tutto sarà completato da una collezione di quadri e incisioni dedicate alla Sindone, affiancati da «un catalogo multimediale che presenterà tutte le rappresentazioni della reliquia sparse nel mondo».  (…) (3)

Nella nuova sede, presso la cripta edificata dalla confraternita del Santo Sudario tra il 1734 ed il 1764, il museo ha quindi trovato la sua collocazione definitiva. Si tratta, in verità, di un’esposizione che va ben oltre la devozione e la fede poiché, a lato di queste per chi le ha nel cuore, si possono scoprire interessanti risvolti storici e scientifici dal momento che, in ogni caso che si creda o meno all’origine divina e sovrannaturale, stiamo comunque parlando, nella peggiore delle ipotesi, di un cimelio cinquecentesco che ha segnato profondamente la storia del nostro paese.

Occorre premettere, i torinesi ben lo sanno ma alle volte i turisti no, che il telo non è esposto in questa sede museale. Sembra banale dirlo ma spesso il personale si trova nella necessità di ribadirlo ai turisti un poco più ingenui i quali, alle volte, non mancano di mostrare un certo disappunto.

Nondimeno ne esistono varie riproduzioni ivi esposte compreso un ologramma che ne evidenzia la struttura tridimensionale rilevata nel 1978.

Il Museo affronta gli studi scientifici con ampia documentazione a partire dalle ricerche del 1898 e dai celebri scatti fotografici del cav. Secondo Pia (vedi articolo dedicato). A questa parte più “tecnica” si associa l’ala dedicata all’esposizione storica.

Ricca di cimeli che vanno dai libri antichi alle medaglie devozionali, spiccano le cassette utilizzate la prima per il viaggio celeberrimo da Chambery a Torino nel 1578 e la seconda, argento e pietre dure, per la conservazione del telo dalla fine del XVI secolo fino all’incendio del 1997.

Il Museo merita sicuramente di essere visitato a prescindere dall’essere credenti o meno. Chi ha il dono della fede potrà affrontare il percorso alla ricerca di ulteriori stimoli spirituali mentre chi ritiene potrà visitarlo con approccio laico e più distaccato andando alla scoperta di un reperto storico di fondamentale importanza.

Non si può, quindi, non consigliarne la visita per scoprire quanto questa reliquia abbia condizionato la vita delle nostre province e del nostro paese per tanti secoli.

Alessandro Mella

 

NOTE

1) Gazzetta d’Asti, 31, Anno IC, 28 agosto 1998, p. 12.

2) La Stampa, 105, Anno XCI, 4 marzo 1959, p. 2.

3) Ibid., 97, Anno CXXX, 9 aprile 1996, p. 35.

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Articolo pubblicato il 09/02/2022