La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La «ladra dei poveri» (Prima parte)

Siamo a Torino, nella mattina di sabato 25 maggio 1929, nel palazzo sito al civico 22 di via Cernaia.

Il portinaio, Filippo Obert, è sul pianerottolo del secondo piano, intento a pulire i vetri della scala secondaria che dà accesso alle soffitte, quando vede scendere in tutta fretta una giovane signora che tradisce una certa agitazione. Contemporaneamente, dal quinto piano, una anziana inquilina, Maria Barbano, che si sporge nella tromba delle scale, gridando che la signora è una ladra e che bisogna fermarla.

Obert si pianta davanti alla giovane e non la lascia proseguire. Lei ha un istante di smarrimento, ma subito, si riprende, assicura di essere una gentildonna, sostiene che la vecchia ha le traveggole. Ma il custode non si lascia convincere e la accompagna in portineria, manifestando l’intenzione di consegnarla alla Questura. Obert, infatti, è solito leggere i giornali ed è al corrente delle imprese di una donna che, spacciandosi per dama di carità, è solita derubare persone anziane sole, soprattutto donne, in difficili condizioni economiche.

«Lei è quella che ha già rubato a diverse povere donne - le dice - Stavolta lei non la fa più franca».

Allora che la giovane signora si esibisce in una scena… madre con la quale spera di ottenere successo. Si getta in ginocchio davanti al custode e a sua moglie, gli prende le mani che vorrebbe anche baciare, e col volto inondato dalle lagrime più… sincere, si raccomanda in nome del suo bambino, che è tutta la sua vita… Ma Obert si comporta come «un autentico cerbero», non si lascia commuovere neppure dalla storia dell’infelice bambino.

Non si fida ad accompagnare la donna direttamente al Commissariato, per timore di complicazioni da parte di eventuali complici. Non si arrischia a lasciare la ladra per andare a telefonare. Così si piazza sull’uscio della portineria, con un occhio sorveglia la prigioniera e con l’altro scruta verso strada, in attesa del passaggio di qualche agente. Difatti, qualche minuto dopo, sotto i portici passa una Guardia civica, alla quale consegna la colpevole, che viene così accompagnata alla Sezione di P. S. di via Giannone.

La donna specializzata in odiosi furti a danno di anziani bisognosi è stata finalmente catturata.

È identificata come Giselda Guerina Cortale, di 25 anni, nativa di Cologna Veneta (Verona) che vive a Torino, senza fissa dimora.

In via Cernaia, si è presentata dalla Maria Barbano, di 68 anni, dicendole che era stata inviata dalla Congregazione di Carità per farle presentare una domanda di sussidio a quell’Istituto. La Barbano l’ha fatta entrare in casa sua. Mentre la Barbano, seduta al tavolo, scriveva la domanda richiesta, la falsa dama, silenziosa, rapida e con incredibile destrezza, ha aperto il cassetto di un mobile alle spalle della Barbano. Ha estratto un pacco di biglietti di banca del valore di 850 Lire. Fatto il colpo, ha preso la domanda dalle mani della sua... beneficata, le ha raccomandato la fiducia nella Provvidenza, le ha assicurato che avrebbe ottenuto il sussidio ed è uscita. Per sua sfortuna, la Barbano si è accorta del furto mentre Giselda era ancora per le scale: così il portinaio l’ha fermata, senza lasciarsi intenerire dalle sue lacrime quasi vere.

Giselda Cortale viene definita come «La signorina che deruba i poveri», «falsa dama di carità», «ladra dei poveri». La Stampa e altri giornali cittadini ne hanno già parlato, come si è visto dalle parole del portinaio. Già il 24 aprile, La Stampa ha descritto con dovizia di particolari «La signorina che deruba i poveri» come autrice di un odioso furto in via Carlo Alberto, 19.

 

Abbiamo accennato tempo addietro alla criminosa attività di una signorina di distinta apparenza, la quale si presentava nelle case di povera gente come dama di carità, incaricata di assumere informazioni per concedere sussidi ai bisognosi. In quelle povere case, dove ogni conforto mancava e dove la miseria traspariva dal miserabile arredo, la falsa dama di carità trovava modo di operare furti. Ricevuta con la massima deferenza, poiché essa con le sue melate parole, schiudeva l’anima dei poveri alla speranza, la giovane, verso la quale gli sventurati non nutrivano diffidenze di sorta, sapeva scovare il denaro: dieci, venti o trenta lire, che a volte costituivano il patrimonio, col quale i poveretti dovevano vivere tutta una settimana, e con inaudito cinismo, lo intascava.

La falsa dama di carità visitava di preferenza i vecchi, le persone sole, presso le quali era più facile fare un «colpo». Al Commissariato di San Paolo erano giunte numerose denunce, poiché la popolare borgata era stata da lei in ispecial modo presa di mira.

 

La falsa dama di carità ha iniziato la sua attività dall’inizio dell’anno nel Borgo San Paolo. Il giornale così prosegue:

 

Ora sembra che essa abbia allargata la zona della sua attività, perché ci consta che una signorina, elegantemente vestita, si è presentata nella soffitta abitata da due vecchi coniugi: Antonio Scoti di 80 anni e la di lui moglie d’anni 73, a compiere un furto di 30 lire. Il vecchio Scoti, operaio elettrotecnico, in causa dell’età e degli acciacchi, è ridotto a lavorare in casa, ad eseguire cioè piccole riparazioni ad apparecchi elettrici. [...]

Il vecchio operaio conosce purtroppo il disagio e le privazioni, e benché a malincuore è costretto a chiedere qualche sussidio.

Proprio il giorno successivo a quello in cui gli era stata rimessa una sommetta dall’Opera Pia di San Paolo, bussò alla porta della sua soffitta quella tale... benefica signorina. Essa - come al solito - si presentò con la massima disinvoltura, dicendosi incaricata di assumere informazioni sui due coniugi per farli concorrere ad un premio della vecchiaia istituito dal Governo. A quella notizia i due vecchi sorrisero di compiacimento e a richiesta di quella giovane mostrarono la tessera municipale per la concessione di cure mediche gratuite.

Essa frattanto scriveva su di un libriccino, appoggiandosi alla spalliera del letto. Proprio alla testata dello stesso era appesa la sottoveste dello Scoti. Con la massima destrezza la ladra senza che nessuno se ne accorgesse, vi frugò dentro e ritirò una moneta da 20 lire. Poi gironzolando per la camera riuscì ad aprire la borsetta della vecchia deposta sul cassettone e a toglierne altre 10 lire. Fatto il colpo la visitatrice si accomiatò promettendo il suo appoggio, e scese le scale accompagnata dalle benedizioni dei derubati.

Solamente più tardi, la vecchia, quando volle recarsi a far le spese, si accorse del furto. Con le trenta lire erano scomparse tutte le sostanze dei due poveri vecchi, che si abbandonarono alla disperazione. Si trovavano ridotti alla più pietosa miseria, privi di tutto, e noi li raccomandiamo alla carità dei nostri lettori, appunto perché nella loro fierezza, essi non chiedono nulla.

Hanno essi denunciato il furto? Questo particolare non ci consta.

Può darsi che nella loro disperazione non abbiano neppure pensato a indicare all’autorità la ladra dei poveri. Unico particolare, che essi hanno notato in quella sciagurata visitatrice, è questo, ed è già importante: essa parlava in italiano, ma con accento veneto. [...] (La Stampa, 24 aprile 1929).

 

L’articolista ha persino sottolineato il fatto che la «abbominevole ladra di soffitte» parlasse «in italiano, ma con accento veneto». Gli elementi c’erano tutti. Ma l’arresto si è concretizzato grazie a Filippo Obert, il portinaio di via Cernaia.

La questura di Torino, inizialmente, tenta di avvalorare una versione che esclude l’intervento del portinaio e vorrebbe far credere che la donna fosse ormai identificata e pedinata dagli agenti. Ma questa versione cade ben presto nel dimenticatoio a favore di quella che enfatizza l’intervento del portinaio Obert, ampiamente descritto per due giorni consecutivi.

Il caso della falsa dama di carità occupa uno spazio significativo sui giornali, con cronache di una certa consistenza che si prolungano fino al 29 maggio. Dopo aver narrato l’arresto della donna, si descrive quello del suo fidanzato-convivente, forse complice, il disegnatore Claudio Vivanet, di 25 anni, da Chieti, residente in un appartamento ammobiliato in via Carlo Alberto n. 31.

Alla perquisizione nell’alloggio, la Polizia sequestra nei cassetti numerosi oggetti d’oro: spille, orecchini, anelli, orologi, ciondoli, catenelle e qualche centinaio di lire, per un valore complessivo di diecimila lire.

Vivanet, interrogato, dice di aver conosciuto Giselda qualche tempo prima, e quando ha saputo che era madre di un bambino e priva di mezzi, ne ha avuto pietà e l’ha ospitata. Si è poi recato con lei a vedere il bimbo presso la balia, gli si è affezionato e ha deciso di sposare Giselda.

Sostiene di ignorare la sua attività criminosa, ma la Polizia lo arresta come complice: si ritiene che, come disegnatore disoccupato e bisognoso di denaro, ricevesse dall’amante i quattrini che lei scaltramente sottraeva alle sue vittime.

È inoltre venuta fuori una denuncia per truffa contro la coppia, presentata alla Sezione di P.S. di Borgo Po da Angioletta Mariani, denuncia sulla quale torneremo. Tutto questo permette al cronista de  La Stampa del 28 maggio 1929 di affermare: «Si tratta adunque di un’ignobile coppia criminale, sulla quale la figura dell’uomo - se risulterà provato che egli sapeva l’origine di quel denaro - appare anche più losca e vituperevole di quella della donna».

Decisamente pare che i cronisti del 1929 giudichino Vivanet secondo pregiudizi consolidati che vogliono associare alla donna ladra un complice maschio che agisce nell’ombra. In realtà, fin dal giorno seguente, le cronache dimostrano come Vivanet si fosse preso quella che i vecchi torinesi definivano una caplin-a, ovvero una vera cotta amorosa, che lo aveva letteralmente ammaliato.

Leggiamo in questa cronaca del 29 maggio 1929:

 

La Giselda Cortale, prima di conoscere il Vivanet, aveva avuta una vita assai avventurosa che, da sola, sarebbe sufficiente a fornire gli elementi per un interessantissimo romanzo. Come questa donna capitò a Torino sarebbe difficile saperlo. Certo che prima di giungere nella nostra città - alcuni anni or sono - essa aveva vagato in altre città d’Italia, vivendo di espedienti, di mezzi illeciti or sotto un nome ed ora sotto un altro.

Un giorno essa comprese che in una grande città avrebbe trovato assai più facilmente il modo di poter condurre, quasi impunemente, la sua vita di avventuriera, e, forte della sua arte di simulatrice, venne a Torino dove affittò una camera ammobiliata presso una signora che - caso strano - abitava in via Carlo Alberto 31.

Durante il periodo in cui la Cortale abitò colà non conobbe il disegnatore.

Essa usciva di casa al mattino e ritornava alla sera; talvolta ad ora tarda. Alla padrona di casa, per essere ospitata, aveva raccontato la storia della sua vita che, naturalmente, pur essendo una storia pietosa, era stata inventata dalla sua indiavolata fantasia.

La storia era questa: Giselda, fino a qualche mese prima, aveva vissuto col padre, un rispettabile funzionario dello Stato, poi, un giorno, il padre le manifestò l’intenzione di sposarsi con una bellissima fanciulla. La giovane figliuola che si ricordava della povera madre morta da due anni (e quando raccontava questo particolare lasciava scivolare dagli occhi lungo le gote grosse lacrime), invitò il genitore a desistere dal progetto; ma questi non l’ascoltò e la bellissima fanciulla entrò sposa e padrona nella casa paterna. Con quella (sempre secondo Giselda) entrò in casa il demonio, ed essa, stanca di soffrire per le angherie della matrigna, un giorno fece le sue valigie e si allontanò dal tetto nativo.

 

La matrigna che odia la figlia di primo letto: un classico, a partire da Biancaneve e Cenerentola. Ma che funziona:

 

Davanti ad un simile racconto chi non si sarebbe intenerito? Ma, nella nostra città Giselda non aveva nessuna occupazione, tanto che la padrona di casa, che era creditrice di due mesi di fitto, un giorno le disse di lasciarle libera la camera. Giselda non si rifiutò, e si recò nella stanza a rifare le valigie. Ma prima di uscire la proprietaria l’invitò a saldare il conto e la ragazza, non avendo... spiccioli in tasca, preferì lasciarle in deposito le valigie.

Da questo momento, fino al giorno in cui la strana ragazza conobbe il Vivanet, si apre una parentesi sulla quale nulla è dato di sapere perché la Cortale non ha voluto fornire spiegazione alcuna a chi, in questi giorni l’ha sottoposta ad interrogatorio.

Certo però che fin da allora essa aveva indossate le false vesti della dama di carità.

Fine della Prima parte - Continua

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Articolo pubblicato il 08/02/2022