Mattarella ha giurato, con i grandi elettori che esultano in piedi!

Cosa emerge sotto il fumo della retorica?

I fasti delle storiche cerimonie di insediamento dei presidenti della Repubblica, sono stati riscoperti, senza badare a spese per la rielezione di Sergio Mattarella.

Accolto a Montecitorio con ovazioni plebiscitarie, il Presidente è stato interrotto per ben 54 volte, mentre pronunciava il discorso d’insediamento, da tanti definito della “Dignità” , ma che ci è parso invece la parafrasi costituzionale delle best practices di Governo.

Nei temi trattati ha pesantemente colpito linee di pensiero e di azione portanti di partiti delle ali estreme, ma gli applausi sono stati totalitari, a scena aperta e senza ritrosie. Ed è giusto sia stato così, perché la giornata di ieri segna il coronamento di un Parlamento succube delle buste paga che nell’auspicata elezione di Mattarella ha visto il consolidarsi dello statu quo, a prescindere dalla cessione di sovranità.

Molto si è detto e scritto, ma tanti aspetti non di certo nobili della settimana elettorale  sono già venuti a  galla. Rappresentano un vulnuns per la democrazia e spiace sia proprio il Parlamento degli eletti ad averli avallati. Almeno non si gioca in ambiguità.

Ma quali sono i tratti salienti del discorso d’insediamento del tredicesimo presidente, pronunciato davanti ai grandi elettori?

Particolarmente significative sono state le parole con cui, da presidente fra l’altro del Consiglio Superiore della Magistratura, egli ha posto la questione della riforma della giustizia. Mattarella è andato dritto al centro della questione: per il Consiglio si tratta, ha detto, si superare “logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario”.

Ha poi aggiunto che i “cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la Giustizia e l’Ordine giudiziario”. Si tratta di “recuperare credibilità” e allinearsi “agli standard europei”.

Parole sottolineate dai forti applausi dell’aula. E in effetti è stato proprio il Parlamento con le sue prerogative da rispettare il vero centro di questo discorso, nel pieno rispetto di quella natura parlamentare che i costituenti vollero dare alla nostra democrazia.

Parole non meno nette e precise il Capo dello Stato ha usato per stigmatizzare l’uso ormai sempre più massiccio di una decretazione d’urgenza che non lascia al Parlamento il tempo necessario per esaminare e valutare le leggi che va ad approvare.

Pure sulla crisi della politica e dei partiti, Mattarella ha avuto come faro, come è giusto che sia, la Costituzione, parlando di un’esigenza di partecipazione dei cittadini al processo decisionale che nei fatti non c’è più o che comunque più non passa per le vie della politica militante.

L’impressione è che siano proprio i rapidi mutamenti delle nostre società a cui pure ha fatto cenno, prima ancora delle note e storiche tare del sistema politico italiano, a mandare in crisi un’idea di democrazia e di partecipazione.

Qui Mattarella ha osservato che oggi i regimi non democratici sembrano più efficienti, più efficaci nell’affrontare i problemi, delle nostre democrazie.

Espressioni sfuggite ai parlamentari festaioli, sulle quali chi ha a cuore le istituzioni democratiche, dovrebbe invece ben meditare.

La parola più usata, quasi un refrain dell’ultima parte del suo discorso, decisamente più retorica, è stata quella di “dignità”: “pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile”.

Il rischio, in questo caso, è quello di richiamarsi a valori nobilissimi ma che suonano vintage, parole e comportamenti di un tempo che fu e che ahimè non è più.

Ci sono due piccoli quesiti che poniamo ai lettori.

Se nella prassi della Democrazia parlamentare, il ricorso alle decretazione d’urgenza ed al voto di fiducia, svilisce l’Istituzione, lo si deve in gran parte al governo Draghi che si è insediato per volontà del presidente Mattarella. O no?

Su molti temi, ma sulla giustizia in particolare, Mattarella è intervenuto in modo circostanziato, senza ricordare che nel settennato decorso, lui era il supremo magistrato dello Stato, non di certo una comparsa. Quindi?

Viviamo in un mondo reale o l’insediamento del presidente rappresenta solamente il canto dell’inno ai buoni propositi?

Tornando  a Montesquieu prima ancora che alla Costituzione ed ai rispettivi poteri che segnano l’architrave della Carta, sarebbe opportuno non dimenticare quel che è accaduto sabato scorso, per riflettere.

Il Governo del Presidente si è definitamente interfacciato con il Presidente del Governo e le due cose sono diventate una cosa sola. Non c’è dubbio che Mattarella sia oggi uomo di Draghi, come Draghi era ed è uomo di Mattarella. Si tratta di un Asse di potere che molto preoccupa, soprattutto per la debolezza del contorno.

L’Italia, con il parlamento plaudente, è ormai sotto la cappa di un sistema politico bloccato, dominato e controllato in tutti i suoi aspetti. Sembra non poter accadere niente di nuovo, ogni spiraglio viene subito chiuso. Tutto si lega e tutto è tenuto in mano dallo stesso ceto politico-sociale.

 

Questo fa sì che siano stabilmente al governo partiti che hanno perso tutte le elezioni degli ultimi dieci anni; che il ministero della Sanità sia in mano all’esponente di un partito dello zero virgola e che lo rimanga anche quando cambiano i governi; che a Palazzo Chigi finiscano ormai stabilmente persone cooptate e mai elette; che alla Corte costituzionale finiscano sempre uomini garanti del sistema, come accaduto in questi giorni con la presidenza di Giuliano Amato che trasforma l’Asse Draghi-Mattarella nella Triplice Intesa: Draghi-Mattarella-Amato. 

Questo è!

 

 

 

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Articolo pubblicato il 04/02/2022