29 gennaio 1867: nasce a Valencia lo scrittore Vicente Blasco Ibañez

Nel suo libro "Tre mesi in Italia" parla di una sua visita a Torino per incontrarvi Edmondo De Amicis

Vicente Blasco Ibañez, nato a Valencia il 29 gennaio 1867 e morto a Mentone il 28 gennaio 1928, è stato uno scrittore, sceneggiatore e regista spagnolo, noto anche al di fuori della Spagna. Oltre a romanzi best seller come “Sangue e arena” e “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”, ha scritto sceneggiature cinematografiche e, talvolta, ha operato come regista.  

Figlio di un commerciante originario dell’Aragona, laureato in legge, Blasco Ibañez non pratica l’attività forense e preferisce dedicarsi alla politica e alla letteratura. All’età di vent’anni entra in Massoneria.

Fervente ammiratore di Miguel de Cervantes, Blasco Ibañez usa una prosa fluida e carica di energia. Corteggia molte donne, spesso con intense relazioni sentimentali. La sua vita tumultuosa può essere paragonata a quella dei personaggi dei suoi romanzi.

Come militante repubblicano, fonda nel 1894 nella sua città natale il giornale El Pueblo (Il Popolo), dalle cui colonne alza vibrate proteste contro il regime monarchico. Tale dissenso gli causa numerose censure e viene gravemente ferito a colpi di pistola da un attentatore.

Nel marzo del 1896, ricercato dalle autorità militari perché direttamente coinvolto nell’organizzazione a Valencia di una protesta popolare sfociata in una sommossa, si imbarca come clandestino su un piroscafo francese che lo porta in Italia. Il suo viaggio non è quello di un intellettuale-artista europeo ottocentesco.

Nel corso dei tre mesi trascorsi in Italia, Blasco Ibañez scrive una serie di articoli giornalistici dedicati alle città italiane che non rappresentano una guida di viaggio e dove compaiono anche invettive e critiche al nostro paese, alla politica di Crispi, a Casa Savoia. Avverso alla politica coloniale spagnola, Blasco Ibañez giunge in Italia subito dopo la disfatta di Adua.

Torna in patria il 3 giugno 1896, già il 18 giugno appare la prima edizione del libro “En el país del arte: tres meses en Italia” che raccoglie questi articoli. Una nuova edizione del volume appare nel 1923, quando Blasco Ibañez è ormai uno scrittore affermato, e alcuni giudizi, severi e taglienti, appaiono in parte mitigati.

È questa l’edizione che viene tradotta in italiano ed edita da Bietti di Milano nel 1930, col titolo “Tre mesi in Italia. Nel paese dell’arte”.

Prima di addentrarci nell’analisi di questo libro, in particolare del capitolo dedicato a Edmondo De Amicis, dobbiamo concludere la biografia dell’autore.

Blasco Ibañez viaggia molto, soprattutto lungo il Mar Mediterraneo, che ama e che sceglie per trascorrervi i suoi ultimi anni di vita, spostandosi in lunghe escursioni fra il confine francese di Mentone e la città di Genova.

Nel 1909 si reca in Argentina per presenziare alla nascita di due nuove città: Nueva Valencia e Cervantes. Tiene inoltre conferenze su eventi storici e sulla letteratura spagnola. Il suo trasferimento a Parigi coincide con lo scoppio della Prima guerra mondiale, nella quale si schiera a fianco delle forze alleate.

Da “Sangue e arena” è tratto nel 1922 il film omonimo, del quale verrà girato nel 1941 un remake con lo stesso titolo.

“I quattro cavalieri dell’Apocalisse” del 1916, riguardante l’Argentina e la Prima guerra mondiale, è considerato un romanzo di propaganda del tempo di guerra che fa furore in USA.

La rielaborazione cinematografica, del 1921, ha notorietà mondiale e lancia il mito di Rodolfo Valentino. Lo stesso titolo verrà poi ripreso nel 1962 da Vincente Minnelli, che lo ambienta durante la Seconda guerra mondiale.

L’analisi più approfondita di “Tre mesi in Italia. Nel paese dell’arte” di Blasco Ibañez è stata condotta da Lia Ogno, sia dal punto di vista dei contenuti che della traduzione.

Il Capitolo XIII è dedicato a Torino, meglio a Edmondo De Amicis.

L’autore dichiara esplicitamente di non volersi soffermare sulla nostra città, dove si è recato unicamente per incontrare di persona lo scrittore da lui molto amato.

Da questo capitolo, nella traduzione italiana sono scomparsi sistematicamente i numerosi riferimenti al socialismo. Ne sopravvivono pochi, con valore neutro. L’epurazione è iniziata dal titolo, l’unico dei 39 che è stata modificato: “El poeta del socialismo” è diventato “Edmondo De Amicis”.

Blasco Ibañez dice di avere molto apprezzato la “Vita militare” di De Amicis, libro che idealizza l’esercito, «religione degli uomini d’onore». Lo ha letto e riletto, sempre col desiderio di conoscerne l’autore.

A Torino, chiede con un biglietto una intervista a De Amicis, che risiede in una modesta abitazione di Piazza dello Statuto. De Amicis addirittura si reca lui stesso da Blasco Ibañez: gli parla in spagnolo, lentamente e con lieve difficoltà, ricordando quando nel 1872 ha visitato la Spagna. Il noto scrittore gli si rivolge come se fosse un camerata, un collega, un amico di lunga data e gli parla del faticoso lavoro intrapreso per la propaganda del grande ideale dell’emancipazione operaia.

È decisamente un “Cuore generoso”. In altri secoli sarebbe un santo di quelli che si sono prodigati per rimediare alla miseria umana.  

De Amicis ama gli umili, i dimenticati, i sofferenti. Come militare si è occupato della misera recluta, del rozzo attendente; poi ha glorificato il maestro di scuola, ora si occupa degli operai. Potrebbe godere di tutte le soddisfazioni mondane, ma preferisce stare a fianco dei caduti, dei deboli, dell'operaio, del bimbo innocente, della povera donna. Chiamato dal voto popolare al Municipio di Torino, per un certo periodo ha messo da parte la letteratura.

Passeggiando per Torino, De Amicis parla a Blasco Ibañez di una conferenza che sta preparando. È personaggio noto: gli operai lo salutano, togliendosi a rispettosamente il berretto, le donne se lo indicano fra loro, i buoni borghesi paiono chiedersi perché un uomo tanto intelligente voglia cambiare un mondo che per loro va benissimo.

De Amicis risponde ai saluti, poi vanno nel suo studio: tantissimi libri e foto di viaggi. Qui Blasco Ibañez evoca i suoi personaggi.

Queste le considerazioni che concludono l'incontro.

Il forte impegno di De Amicis alla causa degli operai è evidente: «E ora porta al socialismo la sua bacchettina fatata che dora e abbellisce quanto tocca, e coloro che hanno interesse che il mondo continui eternamente come oggi devono sentirsi inquieti». E questo perché «I poeti sono terribili quando si pongono al servizio di un'ideale rivoluzionario».

Blasco Ibañez, che si definisce «ammiratore sconosciuto ed oscuro» di De Amicis, si allontana «soddisfatto ed orgoglioso», col preciso proposito di ritornare a Torino, per «contemplare come tu, gran sognatore, semini di fiori il cammino da cui passerà un mondo nuovo».

Lia Ogno, dopo le osservazioni di carattere particolare riferite a De Amicis, riferite in esordio, e altre concernenti l’intero testo, conclude con l’affermazione che: La visione dell’Italia di Blasco Ibañez che emerge dalla traduzione italiana del 1930 differisce largamente da quella del testo originale, e si può a pieno diritto affermare […] che si tratta di una versione, sostanzialmente, in varie accezioni del termine, «corretta».

Personalmente ci rifacciamo al giudizio dell’illustre studiosa, limitandoci a evidenziare come nel volume dell’autore spagnolo faccia anche capolino la nostra Città, in particolare la Piazza dello Statuto.

 

Lia Ogno, La visione «corretta». L’immagine dell’Italia di Vicente Blasco Ibañez, tra traduzione e censura, in Emanuele Kanceff (a cura di), Siamo come eravamo? L’immagine Italia nel tempo, Tomo III, CIRVI, 2015.

Lia Ogno, L’Italia nella scrittura di Blasco Ibáñez (A proposito de En el país del arte).

 

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Articolo pubblicato il 29/01/2022