La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Cimicin e Pantalon: un delitto alle «Cŕ Neire» (Prima Parte)

Le «Cà Neire»

Per descrivere il quartiere periferico torinese delle «Cà Neire» che, nei primi anni del Novecento è sede di clamorosi omicidi, occorre partire da Valdocco, rione celebre perché San Giovanni Bosco vi ha realizzato il suo primo Oratorio, ha fondato i Salesiani e ha vissuto fino alla morte, il 31 gennaio 1888.

Oggi lo si identifica con il complesso delle strutture della Congregazione Salesiana, in particolare con la Basilica di Maria Ausiliatrice. In realtà, Valdocco aveva un’estensione maggiore, al di fuori delle mura cittadine, dall’attuale via Cigna superava il corso Principe Oddone fino a raggiungere l’attuale Largo Pier della Francesca, che nella prima cinta daziaria (1853) costitutiva la Barriera di Valdocco (1890 circa).

La suddivisione dell’ampia area di Valdocco deriva dalla costruzione a metà Ottocento della ferrovia per Novara e Milano con la Stazione di Porta Susa. Lungo i binari della ferrovia, che corre sul piano di campagna, sorge un corso alberato, dedicato al Principe Oddone. Questo corso segna per così dire il limite alla espansione cittadina verso la Dora e la Barriera del Martinetto. Il corso Regina Margherita si arresta in corrispondenza di questo corso, successivamente lo supera per un breve tratto che, nelle carte cittadine, viene indicato come Tetti di Valdocco.

Lungo il corso Principe Oddone è prevista la costruzione di una nuova Stazione Merci e a questo scopo viene lasciato libero un ampio spazio, ancor oggi non occupato da costruzioni.

Nell’area di Valdocco al di là della ferrovia per Milano per secoli la principale costruzione è rappresentata dalla Fucina delle Canne, fabbrica di armi leggere dell’Esercito, come canne di armi da fuoco, acciarini, baionette, sciabole corte, oggi scomparsa, collocata nell’area compresa tra il corso Ottone Rosai e via Ceva.

La Fucina delle Canne era sorta fin dal 1715, su progetto dell’ingegner Antonio Bertola. La scelta di questa area in un ambiente agricolo non troppo distante dalla città derivava dalla presenza di canali che fornivano energia idraulica. Iniziava con la Fucina delle Canne lo sviluppo industriale dell’area oggi indicata come Basso San Donato, per quasi tre secoli una delle zone industriali più vaste di Torino. Tra il 1716 ed il 1722 l’edificio primitivo è affiancato da nuove maniche.

Forniva energia idraulica alla Fucina delle Canne il canale del Martinetto.

Tra il 1763 ed il 1769, per far fronte alle necessità della Fucina e degli stabilimenti più a valle, è realizzato, su progetto dell’ingegner Francesco Domenico Michelotti, il canale Meana, derivato dalla Dora alle spalle dell’attuale Ospedale Amedeo di Savoia. Il canale del Martinetto, unitosi col canale Meana, formava il canale dei Molassi.

L’attuale corso Ottone Rosai corrisponde al percorso dei due canali, Martinetto e Meana.

Nei primi decenni dell’Ottocento, la Fucina delle Canne è costituita da tre nuclei, una fonderia, una fucina vera e propria ed un magazzino di deposito.

La Regia Fabbrica d’Armi - così è successivamente indicata la Fucina delle Canne - rappresentava una delle maggiori industrie torinesi per la sua elevata produzione che, nel 1862, raggiungeva circa 18.000 armi da fuoco e 15.000 armi bianche. Impiegava poi un cospicuo numero di operai e dava commesse a molte altre fabbriche torinesi; utilizzava inoltre lavoratori che montavano pezzi a domicilio.

All’inizio del ‘900, la R. Fabbrica d’Armi è trasferita alla Ditta Vandel & C., che la impiega come ferriera. Non ne restano testimonianze materiali.

Oggi al suo posto si trova una costruzione del complesso di edifici della Residenza Smeraldo, inserito nel moderno quartiere San Donato, che col nome di Basso San Donato si estende anche oltre il corso Regina Margherita.

Sul finire del Secolo XIX, la situazione del corso Regina Margherita muta con il suo estendersi oltre il corso Principe Oddone fino a raggiungere corso Tassoni e la Barriera del Martinetto. Si delinea così un nuovo insediamento che ha le vie Cottolengo, Savigliano, Dronero e Ceva come parallele al corso Regina Margherita.

Non stiamo parlando della via San Giuseppe Cottolengo attuale, che va da via Cigna fino a piazza della Repubblica. Al tempo della nostra storia, la via Cottolengo comprende anche le attuali vie Maria Ausiliatrice (tra via Cigna e corso Principe Oddone) e Don Bosco, che all’altezza di via Sondrio, con andamento obliquo, va a sboccare in corso Regina Margherita.

Quando si parla di via Cottolengo, dobbiamo fare quindi riferimento all’attuale via Don Bosco.

Inizialmente, oltre corso Regina Margherita proseguono le vie del Borgo San Donato parallele al corso Principe Oddone che, dal 1909, assumono una nuova denominazione: via Bonzanigo diviene via Caserta; via Industria, via Macerata; via Saccarelli, via Bari; via Sobrero, via Livorno.

Una mappa del 1905 mostra che sono stati costruiti gli isolati sul corso Regina Margherita e tra le vie Bonzanigo e Industria, in corrispondenza della Regia Fabbrica di Armi che viene ad allinearsi alla scacchiera degli isolati delimitati dalle nuove vie, scacchiera che appare diversa da quella attuale per la mancanza del corso Umbria, indicato - col nome di Corso Regina Elena - solo dal 1911. Molti degli isolati previsti non sono ancora occupati da costruzioni. Quelle presenti sono modestissime case da reddito, affumicate dai fumi della ferrovia, e delle industrie circostanti. Questo porta alla definizione di «Cà Neire», mai ufficializzata, ma al tempo ben presente ai Torinesi, e, forse, estesa anche alle case di corso Principe Oddone sul lato dei numeri pari.

Ne parla anche il poeta Nino Costa nella sua poesia La Consolà, dove evoca «le ciaborne veje ch’a saro le Ca neire».

Una vissuta conferma della situazione di povertà di questo nuovo insediamento cittadino viene dalla autobiografia di Teresa Noce (Torino, 1900 - Bologna, 1980) moglie del politico Luigi Longo e una delle ventuno donne fra i componenti dell’Assemblea Costituente.

 

Già nei primi anni del Novecento Torino era una città proletaria. L’industria manifatturiera si stava trasformando in grande industria. Accanto alle vecchie fabbriche dolciarie di caramelle e di cioccolato, accanto ai cotonifici, ai nastrifici, alle filature e alle concerie sorgevano le prime officine metallurgiche e meccaniche. […]

Abitavamo in uno dei peggiori rioni periferici della città, le «cà neire» così chiamato perché le sue case erano proprio tutte nere. Nel rione attraversato da rogge puzzolenti, c’erano numerose concerie e fabbriche di colla che appestavano l’aria e annerivano le case. Ma gli affitti costavano lì un po’ meno che negli altri rioni anche periferici, perciò le «cà neire» erano gremite dalla parte più povera della popolazione.

Al mattino per andare io all’asilo delle suore e mio fratello alla scuola comunale, avevamo un lungo tragitto da percorrere. O almeno a me sembrava tale. Viuzze, poi prati e ponticelli sulle rogge e ancora viuzze e prati. I prati erano bagnati e i nostri zoccoletti facevano ciac ciac. Ci tenevamo stretti per mano, per non cadere e per non perderci nella nebbia. Poi verso la città, la nebbia si diradava e magari spuntava il sole[1].

 

Questa testimonianza evoca immagini assenti negli altri documenti consultati, in particolare le rogge che intersecano la zona, ricordo del precedente uso agricolo, e i prati umidi al mattino presto.

L’indicazione «verso la città», usata per designare l’avvicinarsi al corso Regina Margherita, esprime una situazione nota agli abitanti di queste periferie che non si ritenevano torinesi a pieno titolo. Erano soliti dire «Andiamo a Torino» per significare «Andiamo in centro città».

 

Nel quartiere che abbiamo cercato di evocare, nei primi anni del Novecento si verificano alcuni clamorosi delitti. Due in particolare accadono in una casa situata al civico 69 di via Cottolengo. Siamo nel secondo isolato a sinistra dell’attuale via Don Bosco, ma l’aspetto della zona è stato modificato dalle demolizioni per tracciare il corso Umbria.

Il primo di questi omicidi è avvenuto il 13 maggio 1900, e sarà oggetto di una prossima ricostruzione. Il secondo, datato 8 novembre 1900, è quello che andiamo ora ad esaminare.

Fine della prima parte - Continua.

 

[1] Teresa Noce, Rivoluzionaria professionale, Edizioni Rapporti Sociali Red Star Press, Roma, 2016.

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Articolo pubblicato il 22/01/2022