Bipartitismo Imperfetto?
(da sinistra) Giorgio Galli e Ito Ruscigni presentano “Gelli e la P2 tra cronaca e storia” (ed. Bastogi, Sanremo, Cinema Centrale, 9 dicembre 2008).

Fino a quando? (di Aldo A. Mola)

Il bipartitismo imperfetto postbellico...

Nel 1943-1945 l’Italia fu divisa in due. All’indomani della seconda guerra mondiale rimase a Occidente, nella gabbia del bipolarismo, indurito dall’ “equilibrio del terrore”. Gli Stati Uniti d’America per primi se la procurarono e la usarono per piegare il Giappone; l’Unione sovietica presto se ne dotò: la “bomba atomica”. È rimasta dormiente d 76 anni. Ma esiste. Anzi, è difficile dire con precisione quanti Stati la posseggano e siano in grado di lanciarla e sino a dove. L’unica certezza è che incombe. Come altre “armi” meno letali ma altrettanto efficaci. Ne scrive Tomaso Vialardi di Sandigliano in “Appunti per una storia contemporanea. Da Sarajevo alla cyberwar” con introduzione di Virgilio Ilari (Ist. Storico della Resistenza nel Biellese).

Per motivi ben noti, in Italia dal 1947 scattò la “conventio ad excludendum”, più volte rivisitata da Nico Perrone. Nessuno chiese né albero genealogico né patenti di democraticità al Partito comunista italiano, però venne estromesso dal governo e non vi tornò più se non dopo aver cambiato nome e connotati. Nell’aprile 1948 la Democrazia cristiana fece il pieno di voti e il Fronte popolare fu sconfitto. Quasi vent’anni dopo Giorgio Galli (Milano, 10 febbraio 1928- Camogli, 27 dicembre 2020) in un saggio di durevole successo e attualissimo tratteggiò il “bipartitismo imperfetto” in cui l’Italia era intrappolata. I due “poli” partitici erano entrambi in ritardo con la storia, sempre più lontani da una visione europea, abbarbicati come l’edera alla “Cortina di ferro” che Stalin aveva fatto scendere da Stettino e Trieste, durata sino a un trentennio fa. Il crollo del Muro di Berlino precorse di poco l’inabissamento dei partiti che in Italia avevano monopolizzato il potere dall’epoca dei Comitati di Liberazione Nazionale e se lo erano spartito tra governo centrale e quelli regionali.

Ma da allora quanto è cambiato il “sistema”?

A riaprire il dibattito interviene il volume commemorativo di Giorgio Galli, con prefazione di Maurizio Belpietro (“Politica e culture “altre”, ed. Biblion) con quaranta contributi di Giuseppe Sala, Mario Caligiuri, Luciano Garibaldi, Roberto Chiarini, Giulio Vignoli, Felice Besostri, Marco Cuzzi, Claudio Bonvecchio, Virgilio Gaito, Fulco Lanchaster, Vinicio Serino e altri oltre che, s’intende, di Rossana Mondoni e Daniele V. Comero, presidente dell’Istituto di studi politici intitolato a Giorgio Galli e suo sodale.

 

...e odierno

Perdura la stasi. Non esistono più né la Dc né il Pci, però la “conventio ad excludendum” rimane, sia pure con segno capovolto. In un quadro planetario multilaterale non sussistono argomenti ideologici o “morali” per dire chi abbia o meno diritto di governare. Dovrebbe dipendere dal consenso elettorale. Eppure così non è. Il Partito democratico, che raccoglie lo striminzito 20% dei voti validi (cioè i 10% degli elettori) ritiene di avere titolo per dare patenti agli altri partiti. A che titolo?

E’ quanto Giorgio Galli fece capire a proposito del vecchio e asfittico regime partitocratico sopravvissuto a tutte le catastrofi e che oggi finge di non vedere che il 50% degli elettori non vota e che il combinato disposto tra taglio dei parlamentari e nuovi confini dei collegi elettorali spalanca un abisso insondabile.

La verità è che nessuno oggi è in grado di prevedere che cosa davvero accadrà alle elezioni prossime venture. L’esito dipenderà da questioni di tecnica elettorale di cui il 98% dei parlamentari non sa un’acca. Siamo alla replica del 1919 quando la proporzionale, voluta da socialisti e cattolici del partito popolare, minò alla base la governabilità e in due anni portò alla coalizione presieduta da Mussolini, che sappiamo come finì. Chi oggi si occupa tanto (troppo...) di Quirinale e non vede il “poi” o non capisce o lo fa sperando in un Quirinale dai “pieni poteri”, contro tutta la storia d’Italia dal 1848/1861 a oggi

A differenza della generalità dei politologi, Giorgio Galli coniugò storia, dottrine politiche e scienze sociali. Come ricorda Stefano Bruno Galli nel saggio pubblicato in suo onore, si interrogò costantemente sul vero nodo irrisolto dell’Italia postbellica: la “qualità” della classe dirigente, un “firmamento” che non si improvvisa. L’ascesa alla dirigenza non è frutto di una “carriera”. Bisogna imparare dalla Chiesa e dal motto di Napoleone I: “ogni soldato ha nel sacco il bastone di maresciallo”, come ogni tonsurato ha nel bottoncino rosso di chierico la fascia di cardinale e il Triregno.

 

Politica ed esoterismo

Perciò Galli dedicò i suoi ultimi decenni a indagare i rapporti tra potere ed esoterismo e le radici magiche dei Regimi: per capire e spiegare (senza né condividere né avallare) come e perché sparute minoranze si siano impadronite delle leve degli Stati e abbiano instaurato regimi totalitari, fondati sul Terrore.

Nel 2007, a 79 anni, Giorgio Galli pubblicò La venerabile trama. La vera storia di Licio Gelli e della P2.

Il saggio inquadrò la vicenda della “Propaganda Massonica” n.2, loggia del Grande Oriente d’Italia (GOI) dal regolamento speciale, nell’ambito delle sue decennali riflessioni sulla “sovranità limitata” del Paese sin dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, suggellata dal punitivo trattato di pace del 10 febbraio 1947.

Come egli stesso scrisse, nelle sue precedenti opere su partiti e sistema politico italiano non si era mai occupato della massoneria, quasi fosse marginale. Ad avvicinarlo alla centralità dell’Ordine iniziatico nella vita pubblica italiana fu Massimo della Campa, avvocato napoletano da tempo radicato a Milano, presidente della Società “Umanitaria” e alto dignitario del GOI, che gli mise a disposizione l’ampia documentazione dalla quale Galli trasse il saggio Alle radici della democrazia. Camere del lavoro e Partito socialista italiano nella Milano di fine Ottocento, pubblicato nel 1998. Lo stesso anno Galli dedicò una sessantina di pagine alla Libera Muratoria con il medesimo titolo del saggio di dieci anni dopo, La venerabile trama, quale seconda parte del volume La Massoneria italiana. Grande Oriente: più luce. Due opinioni a confronto, firmato da lui e da della Campa. Lo concluse concordando con l’interpretazione di uno storico a lui noto: Gelli aveva fatto della famosa loggia “una sorta di camera di compensazione per grandi affari (leciti e illeciti), collocati in una prospettiva di lotta al comunismo”. Il Venerabile aveva agito con il consenso ora esplicito ora tacito dei grandi maestri del GOI; del resto la P2 era nell’elenco ufficiale delle logge italiane all’epoca riconosciute dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, nell’ambito delle relazioni fraterne durate dal 1972 al 1993.

 

Il Piduismo eterno

Il “mistero”, insegnò Galli, rimane tale per chi non sa sondarlo. Sei anni dopo l’inizio dell’indagine sulle logge intrapresa da Agostino Cordova e nel clima sempre rovente di “tangentopoli” non era facile ragionare di storia e andare al di là del “mito”. Galli tornò a scrivere sull’argomento nel citato volume del 2007, in un clima politico-partitico che sembrava garantire maggiore serenità di giudizio. Sulla scorta della documentazione nel frattempo affiorata, invitò a riflettere sul ruolo della massoneria nella storia politica italiana e osservò che si era creata “una sorta di leggenda su Gelli e sulla P2”. Respinta la suggestiva quanto fantasiosa ipotesi che dal 1945 militari e servizi segreti avessero instaurato in Italia una doppia lealtà, germe dell’immaginario “doppio Stato” predicato da Nicola Tranfaglia e poi dilagante (piedistallo della lettura della storia come complotto permanente), ammonì a ricordare che la loggia era uscita di scena da un quarto di secolo, mentre Gelli era stato radiato dal Grande Oriente solo perché aveva rilasciato una intervista a Maurizio Costanzo per il “Corriere della Sera” senza autorizzazione del Gran Maestro. Un “peccato” men che veniale. Per Galli, insomma, non esisteva un “piduismo eterno”, a differenza di quanto ripeteva il ministro dell’Interno Nicola Mancino (poi imitato da Rosy Bindi), secondo il quale la loggia non solo era rinata ma tramava con la mafia. Lo stesso vale per il “fascismo eterno” accampato da Umberto Eco in una conferenza che ha annebbiato la vista una moltitudine di fanatici.

Agitare fantasmi non giovava affatto all’emancipazione delle istituzioni e del confronto politico da cascami del passato. Come osservò Galli, lo stesso Gelli aveva esplicitato il “metodo” della loggia: “Governare senza essere al governo”. Uomini dello Stato, bene addentro e in posizioni apicali al suo interno, i piduisti non avevano alcun motivo di minarlo né di sovvertirlo, ma, semmai, di consolidarlo arginando spinte eversive e il degrado dei suoi servizi per via di comportamenti sociali abnormi anche nella pubblica amministrazione centrale, periferica e locale, dalle regioni ai comuni.

Le riflessioni di Galli sulla massoneria e sulla P2 in quegli anni andarono di pari passo a quelle sulla mitostoria. Osservò che “i miti non sono ‘falsi’”. Sono parte della ‘mitostoria’ Quello della P2 era “un mito minore, contrapposto a un mito maggiore”: la loggia più famigerata d’Italia era un fantomatico “buco nero” giustapposto alla stella sfavillante della massoneria laica e progressista, come all’epoca ripeteva il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi, secondo il quale la P2 stava all’Ordine iniziatico come le BR al Partito comunista: un cancro, debitamente estirpato. Era un paragone improprio, secondo Galli, perché, mentre le BR avevano combattuto anche in armi contro il Pci, la P2, lungi dal combattere la massoneria aveva operato con discrezione all’interno del GOI e ne era stata anche strumento, pur se “piegato da Gelli a suoi fini personali e per un preciso disegno politico, sia pure velleitario”, che, in conclusione, non si era mai concretato in un golpe autoritario volto a rovesciare la democrazia italiana.

Quando Galli incontrò Gelli

Un anno dopo, Ito Ruscigni, ottimo coordinatore dei Martedì letterari del Casinò di Sanremo prima di Marzia Taruffi, propose a Galli di presentare quale relatore unico il volume Gelli e la P2 tra cronaca e storia (ed. Bastogi). Accolse l’invito, fissato per il 9 dicembre 2008, anche perché era annunciata la presenza del “maestro venerabile”. Per lui, inesauribile curioso del mondo, era l’occasione per conoscerlo di persona. Nell’imminenza si susseguirono varie pressioni per annullare l’evento, che dal teatro del Casinò fu spostato al cinema “Centrale”. Lui, Gelli e pochi altri vi entrarono da una porta secondaria perché dinnanzi all’ingresso si erano radunati circa 150 facinorosi con bandiere, fischietti e altro, decisi a impedire la presentazione. Gelli sedette in prima fila. I relatori sul palco. I “protestanti” (la cui impresa era sicuramente nota a chi ha motivo di sapere: tra qualche decennio emergerà dalla documentazione) irruppero nel cinema e, come era nelle “regole” del tempo, schiamazzarono: urla, invettive, fischi per quasi mezz’ora. Riusciti vani i tentativi di Ruscigni di imporre silenzio, Galli si alzò in piedi, afferrò il microfono e con voce tonante, paonazzo per l’irritazione, contestò i contestatori che (in gran parte giunti da lontano) finirono per sfilare all’esterno, lasciando spazio allo svolgimento della serata.

Riprendendo il filo di ragionamenti consegnati alle stampe, Galli approfondì il ruolo delle associazioni “riservate” in un sistema politico-partitico affannato qual era l’italiano. Al termine del dibattito, una anomalia della vettura impedì a Gelli di ripartire la sera stessa per Arezzo. Vi fu quindi spazio per una lunga conversazione inter pocula che confermò l’interesse culturale del politologo per la personalità e il ruolo svolto da Gelli, sia nell’“azione” (per esempio promuovendo il ritorno di Juan Domingo Peròn alla presidenza dell’Argentina), sia - ed è quanto gli premeva acclarare - nella costruzione del “mito” e, conseguentemente, di quella mitostoria che ebbe e conserva nella P2 uno dei suoi capisaldi più perniciosi.

Due personalità così diverse dialogarono serenamente per ore: una “catena di unione” nella ricerca dell’essenza della Massoneria, lontano dalle mistificazioni di Agostino Barruel, Léo Taxil, Francesco Gaeta e di altri massonofagi che è bene non nominare. Quando, negli anni seguenti, Gelli cercò di far realizzare un film sulla sua vita, tornò ripetutamente a ricordare quella sera di Sanremo e, rievocando Giorgio Galli, decise il titolo dell’Opera: “l’Entità”.

 

Il nodo irrisolto della “dirigenza” di “illuministi aggiornati”

Il tema sul quale con Galli abbiamo riflettuto insieme per anni (ma tuttora poco approfondito) è la strategia profonda del famoso (per taluni famigerato) “venerabile” e dell’Istituzione di cui la P2 era fulcro. Dal dopoguerra i partiti erano l’humus per la formazione della dirigenza politico-partitica. Nei primi anni avevano ereditato giovani plasmati in associazioni pre-partitiche e/o para-partitiche, quali la FUCI, e meno giovani che arrivavano dall’età pre-fascista e/o dai Littoriali, palestra di molti talenti. Appaiono davvero infantili gli addebiti a tanti un tempo giovani “fascisti” di essere poi ascesi alla guida della nascente “democrazia” in un Paese che (come osservò Churchill) nel 1945 contò 90 milioni di “abitanti”: 45 di fascisti e 45 di antifascisti... Un quarto di secolo dopo, i partiti stavano esaurendo la funzione originaria. Le loro “scuole” e i loro convegni culturali (come quelli democristiani a San Pellegrino) non reggevano al ritmo dei mutamenti internazionali, del passaggio dal bipolarismo al multilateralismo e, soprattutto, al bisogno di guardare oltre le ideologie e recuperare la centralità dello Stato mentre l’Italia, sia pure riluttante, doveva misurarsi con l’avvento dell’albeggiante Unione Europea.

Sic stantibus rebus non vi era tempo per “formare” una nuova dirigenza. Urgeva instaurare una catena di unione di quella esistente: non imbonire od ordinare, ma coordinare. L’ambizioso progetto rimase incompiuto proprio perché non furono mai conseguite le due precondizioni indispensabili: la conoscenza reciproca degli iniziati e la condivisione corale del progetto. Le tessere non divennero mosaico, a differenza di quanto era accaduto all’indomani dell’unificazione nazionale.

 

Da anni perdura, non proclamata ma attuata nei fatti, di una nuova “conventio ad excludendum”, con una differenza abissale rispetto a quella analizzata a suo tempo da Giorgio Galli. Mentre dopo il 1947-1948 il bipartitismo imperfetto escluse l’alternanza al governo fra la maggioranza centrista o di centrosinistra forte del 60% dei consensi e un PCI che contava il 25% dei voti validi ora è un partito del 20% a voler escludere “centristi” e partiti “di destra” che insieme superano il 60% del favore degli italiani. È un controsenso per ora superato dalla presidenza Mario Draghi, che però è un’eccezione “a tempo”, come quella di tutti i Cincinnati. Prima o poi saranno le urne a dire la loro. E si vedrà se l’Italia si libererà dal perdurante bipartitismo strisciante, più atrofico che imperfetto.

Secondo Giorgio Galli per uscire fuor dal pelago alla riva occorre una generazione di “illuministi aggiornati”, non chiusi nella gabbia del paleonazionalismo o di un mondialismo nebuloso che alterna la maschera dell’ipercapitalismo apolide a quella dell’ambientalismo “pret-à-porter”. Il tempo fugge e la Storia non aspetta.

Aldo A. Mola

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Articolo pubblicato il 31/10/2021