La quotidianità nella terra dei faraoni
Censimento del bestiame in una fattoria

Una ricerca dell’egittologo Riccardo Manzini

Raramente la storia ufficiale si è inoltrata ad esplorare in modo documentato la realtà della vita quotidiana delle antiche civiltà e questo per tanti comprensibili motivi.

Innanzitutto, la difficoltà di reperire una documentazione specifica probante e nel contempo la presenza del costante margine d’incertezza nell’attribuzione del significato di un reperto ad una sicura abitudine comportamentale, sia del singolo individuo che di una comunità.

Queste obiettive difficoltà, pertanto, hanno sempre condizionato e limitato lo studio del contesto familiare e dei gruppi sociali, relativo alle usanze, abitudini e specificità della vita quotidiana delle antiche civiltà.

Ci giunge in merito un articolo del dr. Riccardo Manzini - medico chirurgo ed egittologo di lungo corso – che affronta l’importante tematica “La quotidianità nella terra dei faraoni”, da noi riportato con il ricco corredo di immagini che offrono un solido sostegno al contenuto del testo.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua precedente e attuale collaborazione, auguriamo buona lettura (m.b.).

 

La quotidianità nella terra dei faraoni

Le continue scoperte archeologiche ed i relativi studi ci consentono oggi di ricostruire abbastanza dettagliatamente la quotidianità degli antichi, da cui risulta che, malgrado le ovvie differenze tra la vita dell’operaio, del contadino e dell’artigiano da quella dei funzionari, in Egitto si vivesse meglio e più organizzati che negli altri Paesi.

La civiltà egizia è stata infatti favorita dalle esclusive caratteristiche del Paese, in quanto naturalmente fertilizzato dalle annuali piene del Nilo, percorso da quella agevole via di comunicazione e isolato dalle altre popolazioni con cui non dovette competere. Essendo inoltre un territorio fertile che produceva con abbondanza i mezzi di sostentamento, fino ad epoche relativamente avanzate non invogliò neppure ad espandersi verso altri Paesi se non per procurarsi delle semplici basi commerciali.

Queste condizioni di sicurezza e di ricchezza limitarono persino i periodi di carestia, in quanto la precoce nascita di una civiltà evoluta portò ad una solida organizzazione sociale centralizzata che cercò di cautelarsi da quegli accidenti con lo scavo di canali per controllare l’irrigazione e l’istituzione di granai statali in cui venivano accumulate le derrate alimentari provenienti dalle tasse (slide 1).

Poiché l’edilizia in pietra era impegnativa, fu riservata ai templi ed alle tombe in quanto avrebbero dovuto durare “migliaia di anni”, mentre tutti gli altri edifici, compresi i palazzi reali, erano realizzati in fango usato direttamente (pisé) o sotto forma di mattoni cotti al sole.

Sebbene quindi la maggior parte delle abitazioni siano andate perdute per dilavamento, sono sopravvissute le tracce a Giza del borgo dei funzionari del Complesso della regina Khentkaus e del villaggio degli operai delle piramidi (IV dinastia), del villaggio degli operai della piramide ad el-Lahun (XII dinastia), della città di Amarna e del villaggio di Deir el-Medina destinato ai lavoratori della Valle dei Re (Nuovo Regno).

Eccettuato il villaggio degli operai di Giza, architettonicamente essenziale in quanto concepito solo per ospitare comunitariamente quei lavoratori (slide 2), gli altri agglomerati presentano vere abitazioni monofamiliari diversificate nella composizione in relazione al rango del destinatario. Mentre però nella città di Amarna le abitazioni si presentano con una anarchica commistione di dimensioni e disposizione, nel borgo dei funzionari di Khentkaus sono di grandi dimensioni, simili e disposte regolarmente secondo una vera urbanistica (slide 3).

Molto interessante è il villaggio operaio di el-Lahun disposto sulle pendici di una bassa collinetta, in cui una rigida urbanistica con strade ortogonali lo suddivide in tre grandi quartieri, di cui quello de-stinato alle famiglie degli operai era costituito da piccoli edifici, quello per i funzionari da ampie abita-zioni ed il più elevato da un palazzo per ospitare il sovrano.

Il villaggio di Deir el-Medina (slide 4), l’unico ben conservato in quanto interamente in pietra, è circondato da un muro perimetrale che racchiude 70 case disposte regolarmente attorno ad una strada maestra. La sua principale importanza deriva però dal fatto che, unitamente ai reperti dell’adiacente necropoli, costituisce la maggiore fonte di informazioni sulla vita e sulle abitudini degli operai del Nuovo Regno nell’area di Tebe.

Sebbene quindi le nostre informazioni sulla quotidianità degli egizi siano derivate per gran parte dai ritrovamenti relativi a questo villaggio e limitatamente al periodo del Nuovo Regno è possibile tracciarne le caratteristiche tendenziali anche per gli altri insediamenti e per altri periodi.

Le case di questo villaggio, composte da pochi locali ed abbastanza omogenee architettonicamente, avevano tutte una scala che conduceva al tetto piatto, con pavimento di fango pressato sostenuto da travi, in cui alla sera si intrattenevano gli amici e si dormiva godendosi la frescura. Eccettuato il locale destinato a cucina in cui si preparavano gli alimenti (slide 5), si cuoceva il pane e si conservavano le anfore contenenti i cibi, gli altri avevano pareti decorate con drappi colorati e pavimenti ricoperti da stuoie su cui si riposava o ci si sedeva per mangiare sostenendo il piatto. Solamente nelle ville dei funzionari le cucine erano in edifici separati dotate di macine, griglie e forni.

L’arredamento, elementare ed abbastanza ricorrente, era prevalentemente costituito da sgabelli in legno, cassette anche di lavorazione accurata in cui si riponevano gli indumenti (slide 6) e ceste per le suppellettili. Solamente nelle case dei più abbienti vi erano letti sollevati da terra per isolarsi dagli animali, oltre alle sedie ed a tavolini su cui i convitati posavano i piatti.

L’abbigliamento era molto semplice costituito da sandali leggeri o infradito fatti in casa con fibre vegetali (raro il cuoio), tuniche di lino (slide 7) anche plissettate, gonnellini o rari capi di lana. Gli indumenti, lavati, ripiegati e conservati in bauli, erano generalmente candeggiati o colorati con ocra, ma in alcuni casi sono documentate varie colorazioni con l’utilizzo dell’allume come mordente (utilizzato tuttora in tintoria).

A secondo dei periodi la moda prevedeva nei tempi più antichi tuniche aderenti con spalline per le donne e gonnellini lunghi per gli uomini, mentre nel Nuovo Regno le donne amavano ampie tuniche serrate da una cintura. Diffuso sembra fosse l’uso di una parrucca nelle cerimonie (slide 8).

La dieta, povera ma piuttosto varia (slide 9), era basata sul pane di orzo o di farro impastato (slide 10) e cotto al momento, e sulla birra, ma comprendeva anche verdure, lenticchie, fave, piselli, ceci, cipolle ed aglio, oltre a pesci, volatili (piccioni, oche, anatre) o più raramente la carne di capra, pecora e maiale. Solamente nella dieta dei funzionari sembra comparisse anche la carne delle gazzelle, delle antilopi e dei bovini, i quali ultimi venivano allevati in apposite stalle.

Le carni venivano cotte sulla griglia o in pentole subito dopo la macellazione, oppure conservate essiccate, salmistrate o utilizzando spezie come il coriandolo, il cumino, la senape o il ginepro.

Nella dieta era presente la frutta, generalmente costituita da uva, fichi, datteri, noci della palma Dum o il melograno. Particolarmente apprezzati erano i dolci abbondantemente mielati, tra cui spicca un pane impastato con miele e frutta secca macinata che veniva cotto al forno nel grasso.

Sebbene riservato ai ceti elevati o ad occasioni particolari, nella dieta egizia era anche presente il vino, il quale veniva conservato in anfore sigillate contrassegnate fin dai tempi più antichi da etichette (slide 11) in cui si indicava la tipologia, la qualità e la provenienza; rinomato era quello impor-tato dalla Siria o prodotto dai vigneti del Delta.

Tutti gli egizi prestavano una particolare attenzione all’igiene dei locali, i quali venivano lavati con soda caustica per combattere i parassiti, ma anche a quella personale con lavaggi nel Nilo con sapone ricavato da grassi animali o vegetali bolliti con soda, calcare e gesso. In alcune ville dei maggiori funzionari sono stati trovati locali interpretati come veri bagni con servizi igienici.

Gli egizi di tutti in ceti sociali prestavano una particolare attenzione alla cura della persona, per la quale facevano abbondante uso di profumi ottenuti con varie essenze ed incenso miscelate con miele o grasso, ma anche di cosmetici realizzati con impasti colorati con henné, bistro o altre sostanze cromatiche (slide 12), oltre a pillole di astragalo, mirra e ginepro per profumare l’alito.

La società egizia, in cui la mortalità infantile elevata e la durata media della vita piuttosto bassa (nel Nuovo Regno si presume di circa 30-38 anni), si basava sulla famiglia per la quale esisteva una vera regolamentazione sociale ed in particolare una tutela per le donne.

Diffusa era la monogamia e la moglie doveva essere mantenuta dal marito, ma qualora non vi fossero figli era consentita una seconda moglie i cui figli ereditavano lo stato giuridico della madre. In particolare, dalla XXII dinastia la moglie ed i figli potevano anche essere ripudiati ma vi era l’obbligo del mantenimento che garantisse loro la qualità di vita precedente.

La donna aveva pressoché gli stessi diritti dell’uomo e la moglie poteva stipulare contratti, comparire in tribunale, assumere la tutela dei figli e lasciare in eredità il suo patrimonio, ma anche gestire per i figli i beni del marito defunto di cui però non poteva appropriarsi.

Data l’elevata mortalità infantile era frequente che le famiglie, in cui l’uomo aveva l’obbligo del mantenimento, avessero anche 5÷10 figli i quali erano obbligati a garantire ai genitori funerali adeguati e, in caso di bisogno, il loro mantenimento. Quando un figlio raggiungeva l’indipendenza economica si creava una nuova famiglia andando ad abitare per conto proprio.

I parti avvenivano in casa e la mortalità neonatale era piuttosto elevata, ma la gestante era relativamente assistita con l’esenzione da ogni lavoro per le due settimane precedenti e le due successive al parto nelle quali aveva diritto al riposo assoluto.

L’educazione dei figli era a carico della madre per i primi anni, dopo i quali passava al genitore il quale in genere gli insegnava il proprio mestiere, oppure li avviava alle scuole (Case della vita) dove apprendevano la cultura ed ogni altra professione.

Sebbene non esistesse una vera moneta, gli scambi commerciali avvenivano sulla base di un’unità di peso in rame (deben) che di fatto costituiva un’unità economica, quantificando ad esempio 75 litri di orzo in 2 deben, 1 sacco di farro 1 deben, 5 l di birra 2 deben o un manzo adulto 50 deben, quando un dipendente pubblico riceveva in paga almeno 7 deben mese.

Riccardo Manzini

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Articolo pubblicato il 26/07/2021