I senza Dio: l'inchiesta sul Vaticano
Città del Vaticano

Bertone e il jet privato: ecco il libro che fa tremare il Vaticano

“I SENZA DIO. L’INCHIESTA SUL VATICANO”
di STEFANO LIVADIOTTI
Bompiani
Pag. 240, euro 17,50

Dall’introduzione

[…] Vista da vicino, infatti, la Chiesa, e in primis il suo vertice, assomiglia sempre di più a una delle classi politiche maggiormente screditate dell’intero Occidente. Una vera e propria casta, come quella dei palazzi del potere romano, ma ancora più scopertamente ricca, spregiudicata e arrogante nel pretendere ogni sorta di impunità per i suoi dignitari, che di fatto, e senza neanche essere stati eletti da chi poi è chiamato a sovvenzionarli generosamente, sono diventati degli intoccabili.

A forza di trattare sottobanco con la partitocrazia, in un’eterna rincorsa a sempre nuovi privilegi spesso ai confini con la legalità, la pletorica gerarchia vaticana ne ha mutuato tutti gli aspetti più deleteri. Riuscendo in qualche caso a renderli, se possibile, ancora più odiosi e impopolari.
Finendo per disegnare un modello autoreferenziale, dorato almeno quanto ipocrita, bugiardo e corrotto, che rappresenta l’esatto opposto dei fini statutari della ditta. Al cui interno tutti o quasi, dai più alti papaveri agli ultimi travet, predicano bene e razzolano malissimo. Un mondo dove la carità è un optional, la verità un miracolo e il sesso si fa ma non si dice. E il cui ultimo, se non unico, scopo sembra quello di perpetuare se stesso e il proprio potere.

A beneficio di una classe dirigente interamente formata per cooptazione, fieramente avversa a ogni criterio meritocratico e permeata invece da una millenaria cultura dell’intrigo e del familismo come strumenti per costruire carriere a base di dossier, veri o falsi poco importa, generosamente distribuiti da anonime manine.

Il risultato è un’assai poco caritatevole guerra per bande, dove nessuno si fida di nessuno, tutti spiano tutti, e vince chi riesce a tirare il colpo più basso, comunque sempre abbondantemente sotto la cintura. E dove la posta in palio sono le leve del potere di un’autentica macchina da soldi, che da tempo non si accontenta più di rappresentare un vero e proprio monumento all’assistenzialismo pubblico e perciò non esita a infilarsi nei business più inconfessabili, purché potenzialmente redditizi. Coltivando relazioni pericolose con piccoli delinquenti di strada e sanguinari dittatori, faccendieri d’ogni risma, mafiosi e barbe finte.

Intrecciando storie ai confini del romanzesco a base di fondi neri, riciclaggio, traffici di armi e di droga e morti misteriose. Collezionando in definitiva un vero e proprio catalogo degli orrori, dove non manca davvero nulla: dal reato comune confinato nelle pagine di cronaca di piccoli e grandi quotidiani all’intrigo internazionale. Con la proter-via di un potere che niente e nessuno è riuscito a scalfire più di tanto in duemila anni di storia. E che ancora oggi è in grado – forse semplicemente bluffando (quante divisioni ha davvero il papa?) – di tenere in scacco, attraverso il ricatto elettorale, una politica sempre più fragile e perciò stesso impaurita.

Un potere alle prese con una fase di declino forse inevitabile. Alla quale però oggi aggiunge qualcosa di suo. Rischiando di farsi del male da solo, così, per puro e semplice eccesso di sicurezza. Quello che ha giocato un brutto scherzo a Joseph Ratzinger quando, nella messa della Domenica delle Palme del 2010, ha sciaguratamente definito “chiacchiericcio” lo scandalo della pedofilia. Lo stesso che il 18 aprile, durante la visita a Malta culminata nell’incontro con le vittime delle violenze, indurrà il papa a definirsi profondamente turbato per le malefatte dei suoi preti (“è un orrore troppo grande, forse anche per Dio”) e subito dopo ad addormentarsi placido in mondovisione.

Il fatto è che oggi per gran parte degli italiani quello della Chiesa è solo un partito come un altro. E i suoi massimi dirigenti sono, né più né meno, dei professionisti della politica.
Magari non tutti. E forse molti non erano così in partenza, quando, dopo gli studi in seminario, hanno indossato per la prima volta l’abito talare. Poi però hanno capito che in quel modo non sarebbero andati da nessuna parte, che non avrebbero mai fatto carriera. E si sono adeguati. È un’accusa che brucia. E davanti alla quale la gerarchia ecclesiastica mostra tutta intera la sua lunga coda di paglia.

Com’è successo da ultimo alla fine della scorsa estate, mentre i giornali raccontavano di colloqui carbonari tra esponenti della curia e capi e capetti della partitocrazia, impegnati a ridisegnare, in una sorta di Risiko, la geografia politica del paese in quella che a molti sembrava la vigilia di un’inevitabile crisi di governo. È stato allora che il numero uno dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco (quello, per intenderci, capace di sostenere che gli abusi sessuali sono “una cosa sbagliata”), ha detto, quasi senza riprendere fiato e alzando involontariamente la voce: “La Chiesa non è un’agenzia politica […] in nessuna maniera si confonde con la comunità politica […] e non è legata ad alcun sistema politico.”

Quasi uno sfogo. (…)

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Articolo pubblicato il 02/12/2011