Torino. Cercasi candidato per Palazzo Civico, ma il quadro è desolante.

Lo show al momento monco della sinistra, in attesa che il centro destra batta un colpo.

Salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, dopo lo scippo della scadenza naturale delle sindacature prevista in questi giorni, il governo ha deciso il rinvio a metà ottobre della tornata delle elezioni amministrative che interesserà Torino ed altre principali città come Milano, Roma e Napoli, oltre a centri minori.

Un test politico insomma, tenendo conto che in questi cinque anni Torino e Roma sono state massacrate ed offese da due grilline supponenti ed incapaci: Chiara Appendino e Virginia Raggi. In queste ultime settimana, il leader del PD, il poco lungimirante Enrico Letta, nel tentativo di esorcizzare i pronostici favorevoli per il centro destra, ha cercato d’imporre, a livello locale, l’innaturale alleanza con grillini, folgorato dal successo del Governicchio Conte e calpestando il sentire dei torinesi e dei romani che, non ne possono più di veder sprofondate nel degrado le loro città ed invocano un cambiamento.

Tra le ultime battute, dopo la levata di scudi delle segreterie regionali e degli iscritti al PD, Letta è stato costretto a far marcia indietro. A Roma l’ex ministro Gualtieri sfiderà Virginia Raggi. A Torino, il candidato del PD ed alleati storici è ancora ignoto.

Solo la plurindagata e condannata Chiara Appendino che si era messa da  parte,  ma già pregustava incarichi e prebende nel sottogoverno giallorosso torinese,  ha manifestato la sua virulenza minacciando lampi e tuoni anche all’eventuale ballottaggio e negando supporti al candidato sindaco del PD. Candidato  al momento teorico. Ma se le imposizioni dei segretari nazionali sulle comunità locali sono sempre state devastanti, l’aspetto che sarebbe bene non dimenticare riguarda l’esordio della scelta del sindaco dalla parti del PD, tutto in salsa torinese.

Un tempo il PCI con le sue successive denominazioni, nella scelta del candidato primo cittadino, indicava, con congruo anticipo,  personaggi che avrebbero potuto ottenere il consenso, ben oltre  la conventicola degli iscritti e dei funzionari di partito. Per rimanere alla seconda repubblica ed alla legge che impone a partiti e coalizioni, la indicazione preventiva del candidato sindaco, si erano, negli anni, presentati alla ribalta, Valentino Castellano, Sergio Chiamparino, pur scelto all’ultimo momento dopo la repentina scomparsa di Domenico Carpanini,  con l’aggiunta determinante della benedizione della Fiat ed in ultimo Piero Fassino.

Logica lineare che faceva a pugni contro le indecisioni del centro destra che in più elezioni ha presentato candidati sindaci invotabili in quel contesto o divisivi come Rocco Buttiglione,  o peggio ancora contrapposti, con gli insulti che correvano nei dibatti pubblici tra Roberto Rosso e Osvaldo Napoli,  nell’ultima elezione che ha visto la vincita ampiamente favorita anche da qualcuno del loro entourage, di Chiara Appendino.

In questi mesi, dai primi vagiti in casa PD, si è assistito ad una guerra per bande. Non c’era riguardo per la scelta ed il programma di un candidato ampiamente rappresentativo, bensì primeggiava il regolamento dei conti ed il peso  correntizio che avrebbe poi garantito la chiusura del cerchio alle prossime elezioni politiche con la designazione di alcuni candidati rispetto ad altri. Alcuni alleati storici del PD, hanno cercato di prendere le distanze.

Si è arrivati alla contrapposizione palese con le tifoserie in azione  tra il redivivo Salizzoni, Stefano Lo Russo. Enzo Lavolta cui si è aggiunta la chivassese Gianna Pentenero che voleva dire qualcosa di sinistra, pur essendo estranea alla città. Si sono consumati mesi baloccando tra primarie si e primarie no, senza cenni di programmi volti a concentrare gli sforzi sui mutamenti che la pandemia ha causato al tessuto commerciale della città, tanto per citare un tema emergente. Ed ancor oggi non siamo certi di come andrà a finire. Almeno due candidati, dopo l’uscita di scena di Salizzoni, non intendono minimamente mettere in discussione l’operato di Chiara Appendino, sprofondando di fatto, nel ridicolo i cinque anni di opposizione portati avanti da Lo Russo in consiglio comunale.

Quest’ambiguità ed comprensibile compromesso cui dovrà sottostare Lo Russo, nel caso venisse ufficialmente candidato, la dice lunga sull’inaffidabilità della principale colazione di sinistra. Torino, negli ultimi anni, ha visto allontanarsi ogni prospettiva di rinascita sotto  l’aspetto industriale, turistico, delle infrastrutture con i grillini contrari ad ogni tentativo di uscire dall’isolamento e dal sottosviluppo, con le periferie ancor più degradate.

Nel giro c’è chi vorrebbe disegnare un ruolo di artefice ed unificatore al satiro Grimaldi che in Comune  poi in regione ha sempre solo patrocinato istanze antitetiche  alla promozione di Torino, anche in modo assai superficiale ed irrazionale. Quale riflessione e fiducia potrà nutrire l’elettore di area dinanzi a programmi che, negando di fatto la discontinuità, saranno oggettivamente compromissori su materie di vitale importanza? Questo è l’amaro interrogativo che ogni torinese dovrà porsi.

Per quanto concerne il centro destra la situazione  è al momento congelata. C’è un candidato Paolo Damilano che in passato è stato protagonista in altre avventure, al momento non ancora designato dal tavolo romano di Lega, Fi e FdI. Quando ci sarà il disco verde, saremo in grado di capire come le danze del centro destra potranno differenziarsi da quelle amaramente descritte e come i partiti di riferimento si impegneranno a sostenerlo.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 13/05/2021