Guido Fusinato

Un galantuomo per la Nuova Italia (di Alessandro Mella)

Nei primi anni del Novecento l’Italia visse una stagione di rara vivacità politica e di sviluppo sociale, strutturale ed economico.

Attorno al coraggioso riformismo di Giovanni Giolitti si raccolsero decine di uomini politici illuminati e lungimiranti ed impegnati a costruire il “sistema stato” in ogni sua sfaccettatura. Spesso partendo dalle provincie, dalle periferie, collegando, così, il nascente “stato centrale” alla popolazione ed alle sue necessità e problematiche.

Molti di loro dimostrarono, nel tempo, un sincero e profondo attaccamento ai valori liberali del tempo, alle proprie idee, al servizio al paese, spingendosi talvolta a forme di coerenza quasi estreme.

Guido Fusinato nacque a Castelfranco Veneto il 15 febbraio 1860 figlio del patriota Arnaldo il cui spirito risorgimentale e patriottico ereditò e fece proprio.

Nel 1880 si laureò in giurisprudenza dedicandosi all’insegnamento del diritto ed andando ad approfondire i temi a lui cari a Berlino, in particolare il diritto internazionale di cui divenne un fine cultore e studioso.

Il 1892 fu per lui un anno di grande importanza poiché si iscrisse alla Massoneria, come documentato dal prof. Aldo A. Mola nei suoi volumi, ed anche perché fu eletto deputato a Roma avvicinandosi alla destra moderata.

Nei successivi governi Pelloux e Saracco fu nominato sottosegretario di stato agli esteri, incarico che tenne tra il 1899 e 1901 occupandosi di politica coloniale, di Africa, della Concessione Italiana di Tientsin e di molto altro.

Nel 1903 fu riconfermato in quest’incarico nel governo Giolitti e successivamente in quello Fortis continuando ad occuparsi della politica estera italiana ed impegnandosi per darle un ruolo di sempre maggiore importanza nel quadro internazionale.

Negli anni passati alla Farnesina si rese promotore di numerosi accordi diplomatoci di spessore e partecipò attivamente a diverse conferenze internazionali come quelle dell'Aja del 1907 e di Londra per la codificazione del diritto marittimo bellico del 1908-09.

A cavallo di questo periodo di grande impegno in tutta Europa egli ricevette la vivace simpatia del Regno del Portogallo tant’è che Re Carlo, figlio della Regina Maria Pia di Savoia, gli conferì la Gran Croce del Real Ordine di Nostra di Vila Vicosa nel 1900.

Onore ancor oggi patrimonio dinastico della Real Casa del Portogallo con gran maestro il Capo della Real Casa del Portogallo, Dom Pedro Duca di Braganza e di Loulè, per cancelliere Dom Nuno Cabral da Camara Pereira Marchese di Castel Rodrigo e Connestabile del Portogallo e per rappresentante il Conte Giuseppe Rizzani Delegato degli Ordini Dinastici Portoghesi per l’Italia, la Repubblica di San Marino e la Santa Sede. Ordine che molte volte ha ornato ed orna il petto di numerosi italiani.

Quest’importante concessione, tra l’altro, ebbe funzione nobilitante così che la genealogia del Fusinato comparirà nell’ormai prossima XXXIII edizione dell’Annuario della Nobiltà Italiana (Parte III -Cavalleresca) diretto da Andrea Borella.

Nel 1906 il Fusinato fu chiamato da Giolitti, che molto lo stimava, al Ministero della Pubblica Istruzione ove restò pochi mesi prima di spostarsi al Consiglio di Stato.

Con lo scatenarsi delle ostilità, nel 1911, tra il Regno d’Italia e l’Impero Turco egli si schierò nettamente con il governo ritenendo che quel conflitto fosse un’occasione prodigiosa per riportare l’Italia nel novero delle grande potenze e permetterle di tornare ad esercitare un ruolo di protagonista nella gestione degli equilibri geopolitici. Un poco, usando un paragone ardito, come aveva fatto Camillo Cavour con la guerra di Crimea quando questi aveva fatto guadagnare al piccolo Regno di Sardegna il diritto di sedere alla Conferenza di Pace di Parigi portando, così, anche le istanze italiane all’attenzione di quella conferenza.

Il pragmatismo, il buon senso, la sua naturale inclinazione per la moderazione scevra da ogni delirio nazionalista, convinsero Giolitti ad incaricarlo, con Volpi e Bertolini, di trattare la pace con la Turchia.

Trattative che condussero alla Pace di Losanna del 1912 e per la quale i firmatari italiani furono oggetto di un’intensa campagna d’odio condotta proprio dai nazionalisti che li accusarono di eccessiva indulgenza verso il nemico sconfitto.

Egli fu autore e studioso brillante e sensibile, l’impegno politico non lo allontanò mai del tutto da quello culturale che concorse a procurargli, nel 1913, la laurea “honoris causa” dall’Università di Oxford.

La sua solidità intellettuale, tuttavia, non fu sufficiente a difenderlo dallo sgomento provato di fronte alla concatenazione d’eventi che condusse l’Europa alla Grande Guerra.

Crebbe in lui l’angoscia per l’evolversi della situazione e la percezione che l’Italia avrebbe rischiato, da lì a poco, di essere travolta dal conflitto venendo meno a suoi accordi con Austria e Germania ed andando incontro ad una sciagura colossale anche a causa dell’impreparazione militare del nostro paese.

Ne scrisse, in agosto, all’amico e sodale Giolitti in due lettere del 19 e del 20.

Non trovando pace e conforto, il 22 settembre 1914, nel pieno della disperazione per le sorti di quell’Italia che aveva amato e servito, si suicidò a Schio (VI).

Atto di estrema coerenza di un cuore ferito e tormentato.

Un gesto, una scelta terribile, che merita rispetto e memoria. I fatti gli diedero ragione poiché, al netto delle conquiste territoriali, la Prima Guerra Mondiale costò all’Italia centinaia di migliaia di morti e feriti, danni economici e sociali incredibili, instabilità politica e la crisi crescente del vecchio stato liberale.

Crisi che culminò nel ventennio.

Fusinato, come tanti altri liberali del tempo, fu lungimirante e vide lontano pur non essendo testimone del disastro che aveva tanto, ed ha ragione, temuto.

Alessandro Mella

 

Arnaldo Fusinato (Schio, 25 novembre 1817 – Verona, 28 dicembre 1888), è poeta e patriota, noto ai suoi tempi per i versi dedicati a soggetti noti e condivisi, caratterizzati dalla metrica semplice e musicale, come nel caso de “L'ultima ora di Venezia” ([...] il morbo infuria, / il pan ci manca, / sul ponte sventola / bandiera bianca. [...]) e de “Il Passatore a Forlimpopoli” (1851).

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Articolo pubblicato il 19/04/2021