Anoressia, bulimia, ortoressia: sofferenze dell’anima famigliare.

Quando rapporti “erroneamente scambiati per amore” si traducono in incolpevoli dolorose patologie fisiche.

Troppo o troppo poco, importante o trascurato, presente o dimenticato, giusto o sbagliato; un rapporto tra due espressioni della stessa identità finisce spesso per essere incompreso e trasformarsi in un incubo reciproco dal quale non si riesce facilmente a uscirne.

Il rifiuto del cibo, la sua smodata assunzione, la ricerca esacerbata del cibo giusto, sono i segni esteriori di una relazione interna squilibrata verso alcuni aspetti essenziali del funzionamento del sistema che deve elaborare e restituire gli impulsi ricevuti sia dall’interno che dall’esterno. Non è mai la relazione con il cibo in sé la causa; essa va cercata in una disfunzione emotiva e razionale occorsa alla capacità di gestione della complessità della rete di informazioni che circolano nell’anima dell’essere umano.

 

Nessuno farebbe mai coscientemente qualcosa sapendo che in essa ci siano aspetti negativi (intesi come passivamente o non volutamente subìti) così potenti e duraturi da coinvolgere la sua discendenza per generazioni e generazioni. Ma tant’è!

 

“Le colpe dei genitori ricadono sui figli”; non vi ricorda qualcosa? Tuttavia il termine colpa non è corretto; è stato frainteso e/o manipolato da chi ha tradotto (inteso come tradimento del senso originale) il concetto contenuto dall’espressione più corretta “le azioni dei genitori coinvolgono anche i figli”.

 

Nessuno può aver colpa per qualcosa che mette in moto senza avere interamente coscienza di cosa ciò comporti.

 

Per questo vale, su tutti i piani dell’esistenza, la legge d’Amore “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. La non conoscenza nasconde alla coscienza il quadro completo ed impedisce quindi una corretta valutazione del senso e della responsabilità dell’agire.

 

Non fa eccezione a questa evidenza neppure quello considerato più alto tra i sentimenti umani, quello dell’amore. Attraverso questo “sentimento” passano e vengono elaborate tutte “le relazione tra esseri umani”, specialmente quelle tra “genitori e figli”.

 

E proprio nelle relazioni tra questi ultimi si celano ed agiscono, in modo profondamente nascosto, quelle caratteristiche di un “amore naturale” che non ha niente da spartire con “il vero Amore”.

 

Nell’amore naturale, ovvero l’attrazione verso qualcuno o la discriminante scelta che privilegia uno rispetto ad un altro, sono comprese quelle caratteristiche che in sintesi non lo rendono affatto un sentimento così “amorevole”.

 

Si tratta infatti dei desideri più radicati nell’inconscio umano; piacere, possesso e dominio, desideri ben rappresentati nelle tre tentazioni nel deserto descritte in alcuni testi sacri e cioè:

 

  1. il desiderio di preservare con ogni mezzo la propria vita, impulso che spinge a sfuggire la fatica e vivere unicamente in funzione di ciò che provoca piacere,

 

  1. il desiderio di possedere per sé i beni della terra, impulso che ci spinge a volere tutto e subito,

 

  1. il desiderio di dominare gli altri, impulso che spinge a ricercare la gloria e l’affermazione di sé a spese degli altri, a dominarli.

 

Nessuno sfugge alla loro influenza e a maggior ragione se uniti da vincoli di sangue familiare.

 

Nelle affermazione “faccio questo per i miei figli” o “lo faccio per amore” sono presenti in modo inequivocabile, ma occorre prestarvi sufficiente attenzione per rendersene conto.

 

Infatti:

 

  • che cosa si nasconde dietro la spinta a fare quella cosa proprio per quella persona se non il piacere che ne consegue per il fatto di estendere “il proprio sentire” in un altro individuo, cioè proprio a far sopravvivere “quel proprio sentire?” Non si tratta anche di fare quello che costa meno fatica se paragonato a quanto occorrerebbe pagare per le conseguenze delle azioni autonome di un figlio, azioni che potremmo non approvare o subìre?  

 

  • che cosa indica “miei parlando dei figli, se non una dichiarazione di “possesso?”

 

  • che cosa si evidenzia nei figli che seguono “obtorto collo” quanto viene loro insegnato o che dimostrano riconoscenza per quello che “è stato dato loro”, per “tutto quello che è stato fatto per loro” se non la ricompensa di tutti gli sforzi per una “affermazione nei loro confronti”, per “dominarne l’agire in modo preventivo?

 

Certo si può obiettare che non è solo così, ed è certamente vero; c’è sicuramente altro!

 

Ma così è in gran parte alla luce di quanto si manifesta in un membro, in quel particolare membro della famiglia, forse più predisposto ereditariamente e caratterialmente, su cui convergono inconsciamente desideri ed aspettative di altri membri della famiglia, quando non addirittura di altri parenti persino ormai scomparsi.

 

I legami di sangue si estendono per generazioni portando con sé “inclinazioni e tendenze famigliari” che prima o poi costringeranno qualcuno “a farne le spese”.

 

Tra queste “spese da pagare” rientrano i “disturbi alimentari importanti”, segni evidenti del malessere dovuto alle conseguenze di queste “azioni amorevoli”. Disturbi da cui l’individuo non può quasi mai uscirne se non con il coinvolgimento attivo e cosciente anche dei propri familiari, cioè con il coinvolgimento ed il consenso dell’“anima famigliare”. Solo sciogliendo i vincoli che ella si porta dietro potrà iniziare una vera emancipazione dal problema. Una emancipazione sia dell’anima della famiglia che di quella dei singoli componenti del nucleo famigliare verso la propria libertà e responsabilità individuale, verso una qualità dell’anima più cosciente.

 

Un processo doloroso e non certo privo di pericoli che necessita di un drastico taglio dei legami tra i vari componenti coinvolti, che quasi nessuno accetta o può sopportare a cuor leggero.

 

Infatti quasi sempre accade che tali tagli possano far scoppiare gli equilibri tenuti in piedi con grandi sforzi, facendo emergere improvvisamente cose sepolte e dimenticate in seno alla piccola comunità e mettendo a rischio la salute mentale e psicofisica dei suoi componenti.

 

Per questo è opportuna, anche quando non strettamente necessaria, una terapia di gruppo quale preparazione ed accompagnamento delle terapie specifiche per i singoli.

 

È una regola operativa, non sempre così estremamente rigida ed estrema, valida anche per altri contesti relazionali che esulano dai legami di sangue ma che rappresentano comunque “vincoli reciproci”, apparentemente dotati di regole proprie ed indipendenti, definiti e sottoscritti consensualmente nell’ambito dei contratti tra persone o individui come “matrimoni e convivenze”.

 

Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, il rapporto con il cibo è la dimostrazione di ciò che si riflette in quello specchio. E ciò è ancora più attuale nello stato d’anima in cui ci troviamo in questo specifico momento, nello stato di forzata detenzione all’interno di spazi ristretti in cui il contatto e gli scambi personali si prolungano senza soluzione di continuità, senza pause e possibilità di sfoghi fisiologici sostitutivi.

 

Sebbene il lavoro sull’anima e con la coscienza sia indispensabile, è indubbio che sia altrettanto importante, possibile e necessario, anche un altro aiuto pratico materiale in grado di “tagliare provvisoriamente tali vincoli o cordoni ombelicali nascosti” almeno per creare uno spazio temporale, sufficientemente libero e praticabile, nel quale iniziare, continuare e mettere a punto la strategia operativa sui vari fronti, facendo il massimo sforzo per usare al meglio tale “finestra aperta” fino a quando essa non si richiuda definitivamente.

 

A tal fine qualunque aiuto è da prendere in considerazione, senza preclusioni ideologiche, esattamente come espresso da un concetto di rapporto “amore-Amore” la cui essenza è insieme “comprensione, accettazione, tolleranza, dono di sé senza secondi fini, responsabilità, rispetto, libertà, e molto altro da scoprire strada facendo”, senza spaventarsi per quello che si parerà dinnanzi.

 

Un bel programma di lavoro per chiunque, a qualunque livello di coscienza si trovi ad operare durante “quel corso sul senso della vita” che tale situazione propone a chi lo accetta.

 

Un modo per trasformare un problema da risolvere in una ennesima nuova e vera “amorevole opportunità”.

 

Poiché per l’Amore non è mai troppo tardi!

 

schema, tavole e testo

pietro cartella

 

tavole per approfondimento

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 29/04/2021