Torino Città Laboratorio
La Mole Antonelliana, simbolo della città di Torino

Di tante imprese, che hanno rivoluzionato la vita e le abitudini degli italiani, quasi nulla è rimasto in Torino

 C’è chi sostiene che Torino ha la vocazione di città laboratorio. Con qualche ragione. Sono nate tra le mura della nostra città molte iniziative destinate ad un grande avvenire.

Ricordiamo tra le più prestigiose l’automobile (FIAT e LANCIA soprattutto), il cinema ( anche se pochi ricordano oggi la LUX FILM di Riccardo Gualino), la moda, La RAI di via Arsenale 21, la telefonia con la STIPEL dell’ing. Oglietti, la trazione anteriore degli autoveicoli dell’ing. Fessia ed altre minori.

Di tutte queste imprese, che hanno rivoluzionato la vita e le abitudini degli italiani, quasi nulla è rimasto in Torino. Solo una residua frazione di industria dell’auto, che sta traballando sotto l’urto dei sindacati e che ha già un piede sulla strada di qualche paese estero nel caso che la sinistra vada al governo del paese.

Nessuna delle iniziative elencate, ad eccezione di quella relativa alla trazione anteriore ( adottata dalla Volkswagen) si è trasferita all’estero. Le altre, a causa dell’ignavia dei governi cittadini, che si sono succeduti negli ultimi cinquanta anni, hanno preso la strada di altre città italiane meglio amministrate.

C’è solo un settore che non corre alcun rischio di venirci copiato e tanto meno rapinato: quello della viabilità cittadina.

Tante speranze erano state sollevate dall’arrivo delle Olimpiadi Invernali. I buoni torinesi erano convinti che, come era successo in Barcellona, i cantieri stradali che si susseguivano e martoriavano la città, avrebbero lasciato, trascorse le olimpiadi, una città con una viabilità migliore.

Invece da allora è tutto peggiorato e sono rimaste soltanto le promesse. E si sta insinuando in molti cittadini il dubbio, che i lavori, sempre in corso e senza una fine prevista, potranno rendere più fluida la circolazione cittadina forse solo per i nostri figli e per i nostri nipoti.

Di positivo l’evento olimpico ci ha lasciato, dopo decine di anni di attesa, solo una linea metropolitana, accompagnata da tanti progetti di linee future, che giacciono nel cassetto dal tempo della sedicente metropolitana leggera inventata dal sindaco Diego Novelli, e che consisteva in un lungo veicolo tramviario che correva in superficie, fermandosi a tutti semafori. Carattere distintivo, nella sua comicità, era un grosso cartello appeso sul retro del maxitram, che comunicava, a chi non fosse in grado di capirlo,“fine del convoglio”.

L’invenzione più recente, nel settore della viabilità, partorita dalla mente di un’assessora del sindaco Chiamparino, è quella del percorso a “cavatappi.”

Si prende una direttrice rettilinea, come quella che raccorda il centro della città con l’aeroporto e con le autostrade per Milano ed Aosta, e che è rappresentata dal succedersi dei corsi Principe Oddone e Venezia, raccordati dal ponte sulla ferrovia. Il cavatappi è stato realizzato alternando, a brevi tratti rettilinei, improvvise deviazioni verso destra o verso sinistra, che, seguite dai necessari rientri sull’asse principale, gli conferiscono un andamento tortuoso e tormentato.

Si tratta purtroppo dell’asse viario che corre a fianco di quell’immenso cantiere ferroviario e stradale che da lunghi anni deturpa quella zona della città, e che la giornalista de La Stampa Emanuela Minucci il 5 marzo 1998 (quasi quattordici anni fa) definiva pomposamente Spina Reale, annunciando con l’assessore Vernetti, la “fine dei lavori entro agosto” di quell’anno.

Un’altra perla della viabilità torinese è rappresentata dal sottopassaggio di corso Regina Margherita, in corrispondenza di Porta Palazzo. Concepita e costruita dal sindaco Castellani, è un’opera minimale, corredata da due sole corsie di marcia. Ad uno dei suoi sbocchi c’è un importante incrocio con un semaforo, che, ad intervalli, costringe gli automobilisti, fermi in coda nel tunnel, ad immettere nei loro polmoni i gas di scarico dei veicoli. L’altra estremità del sottopassaggio invece emerge sul corso a poca distanza da uno dei crocevia più caotici di Torino, quello “del rondò della forca”.

Un prolungamento del tunnel di soli trecento metri avrebbe permesso di bypassare questo incrocio, decongestionando tutta la zona circostante.

Un altro protagonista del dissesto della circolazione torinese è il semaforo. Non esiste in città un asse viario con i semafori sincronizzati.

Qualche volta si ha il dubbio che un’equipe di tecnici del comune abbia, per dispetto, sincronizzato molti semafori, tra loro vicini, sul giallo o sul rosso. Già nel 1966 i semafori della “Avenida del Generalissimo” (oggi la diagonal), la lunga arteria che attraversa Barcellona, erano sincronizzati sui 45 km orari. Mantenendo questa velocità, si poteva, e si può, attraversare la città nel tempo di una ventina di minuti senza soste.

Ed è degli anni settanta la sincronizzazione, anche qui sui 45 orari, della promenade des Anglais di Nizza e delle arterie di molte altre città europee. Torino, dopo molte diecine di anni, non ha ancora nulla di simile ed i cittadini pagano le conseguenze di questo inspiegabile ritardo con un maggiore inquinamento.

In qualche caso i semafori latitano proprio dove sarebbero indispensabili. Come davanti alla vetusta stazione di porta Susa, dove i passeggeri dei treni in arrivo sfilano uno per uno sui passaggi pedonali, arrestando per minuti il flusso delle molte auto che attraversano il piazzale.

Un semaforo a pulsante, come ce ne sono in tutte le nazioni civili, potrebbe raggruppare i pedoni, evitando la coda degli automezzi e l’inevitabile inquinamento che ne consegue.

Un’altra caratteristica delle strade di Torino è rappresentata dalle buche nell’asfalto.

Sono di due tipi: quelle permanenti e quelle che compaiono dopo ogni temporale. Ma parlare delle buche nell’asfalto è come sparare sulla croce rossa.

Per il sindaco Fassino, fedele al motto “piove governo ladro”, la colpa è solo del governo.

C’è invece un ulteriore problema che merita attenzione. E’ quello rappresentato dai cosiddetti dissuasori di velocità, disposti in serie soprattutto nelle vie periferiche. Sono dossi trasversali colorati, costruiti in materiale plastico, già impiegati da anni nei paesi del terzo mondo, con il compito di limitare la velocità dei veicoli.

Ma il tormento prodotto sulle sospensioni delle auto e sulle schiene dei viaggiatori è stato forse giudicato insufficiente dall’assessorato competente. Ed i dossi in plastica vengono ora gradualmente sostituiti da voluminose costruzioni trasversali in cemento, a forma trapezoidale, alte 30 cm. e larghe oltre due metri, che imprimono alla colonna vertebrale dei poveri passeggeri un duplice insulto traumatico: il primo in elevazione, subito seguito da un rapido assestamento. Il secondo, legato alla compressione esercitata sulle vertebre e sui dischi intervertebrali dalla violenta discesa dell’automezzo dallo scalino del dosso.

Inevitabile, anche a a breve termine, l’aumento delle ernie discali e delle deformazioni artrosiche vertebrali.

Quelli che abbiamo descritto sono alcuni aspetti della viabilità di Torino e pare che ci siano poche possibilità di miglioramento in un prossimo futuro.

Anche perché, per molti buoni torinesi, la nostra città è già la più bella e la meglio governata dell’ Italia e forse anche del mondo.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 12/11/2011