Venezia per un giorno

Di Ezio Marinoni

Il 20 maggio 2015 entro in quella che fu la Serenissima Capitale per la prima volta nella mia vita, sulle tracce di grandi viaggiatori e grandi artisti di un passato fulgido. Quando esco dalla stazione di Santa Lucia, il cielo è grigio, l'acqua opaca e il traffico sui canali quasi caotico.

Varcato un ponticello, sono nel Sottoportego e ca' Dario, percorro il Rio de le Muneghete e mi ritrovo nella Calle de Mezo, per finire nella Fondamenta de le Sechere… Nomi e suoni a me sconosciuti, mi sembra una di entrare in un mondo scomparso, coinvolto nel fascino di una lingua morta ancora parlata da un manipolo di veneziani.

Poi è un susseguirsi di vicoli che si avvicinano e si allontanano a filo d’acqua; una stradina silenziosa di cui non leggo il nome, sbiadito dal tempo, finisce in un portone fiorito: attraverso la cancellata si intravvede un giardino incolto e una casa disabitata che avrebbe bisogno di cure e restauri. Già, prendersi cura, che bella parola… Dovremmo prenderci cura del tempo e di noi stessi, nella fuga precipitosa della vita e nella rincorsa verso un fare che oggi appare più improduttivo che mai.

Mi addentro in San Polo e mi trovo davanti al palazzo di Ramo Castelforte 3108A. Potrebbe essere chiamato la casa dell'abbandono, a metà fra un'immagine da film noir e una pagina di “Cade la terra” di Carmen Pellegrino (con le sue storie di abbandono in un sud molto diverso da Venezia, eppure simile in un dualismo fra moderno e antico, fra creazione e degrado). Nella chiesa di San Polo un anziano sacerdote celebra la messa per due fedeli, sembrano i resti del popolo disperso di Israele. Sosto pochi minuti, con un senso di tristezza, mi unisco alla fede in preghiera di queste persone sconosciute.

Venezia conserva reliquie provenienti da ogni parte di un antico impero marinaro. La sua posizione aperta verso il Mediterraneo ha favorito i commerci; fino alla scoperta del Nuovo Mondo, da qui si partiva per andare ovunque, tanti Marco Polo hanno cercato vie nuove, seta e oro approdavano sulla terraferma in una mescolanza di lingue e dialetti. Se Babele è esistita, non solo nell’Antico Testamento o nella mente di Jorge Luis Borges, è stata la Venezia medievale e rinascimentale, trasformatasi poi da regina dei mari a città decadente nella sua pigra opulenza.

All’altare della chiesa di San Rocco si trova l'urna con il corpo dell’omonimo Santo. Nella navata destra campeggia “La probatica piscina” di Jacopo Robusti (o Jacopo Comin, 1518 - 1594), il Tintoretto: è una scena di vita vivace ed affollata, come dovevano essere le calli di Venezia, fra quattro colonne che scandiscono lo spazio visivo. Sulla sinistra un uomo morente, malati e derelitti in cerca di ristoro e guarigione. È un viaggio della speranza intorno alla piscina miracolosa, alla ricerca del tocco divino salvifico.

Santa Maria dei Frari presenta. nel transetto destro, il monumento al Beato Pacifico (frate Scipione Bon, uno dei compagni di San Francesco). I Frati Minori arrivano a Venezia intorno al 1225, il Doge Jacopo Tiepolo dona loro un terreno paludoso nell’isola di San Tomà, dove sorgeva un’antica abbazia benedettina ormai abbandonata. Dopo il 1250 sorge la chiesa dedicata a Santa Maria Gloriosa, orientata verso sud, e Scipione Bon ne è il progettista. In sacrestia un'urna contiene alcune gocce di sangue di Cristo, accanto ad un altare con altre reliquie. Quante se ne trovano a Venezia e quante di esse saranno autentiche? All'altare maggiore è il capolavoro di Tiziano Vecellio, “L'Assunta”. Nella parte inferiore, il gruppo degli Apostoli appare una massa scomposta in movimento; al centro gli angeli assistono increduli all’evento e guardano al cielo; la Madonna alza gli occhi e le mani con l'abbandono della fede; in alto, il Padre Eterno con due angeli. Il quadro vive di tre dimensioni, tre livelli, tre altezze, tre scene… Tre, il numero perfetto e magico.

Mi aggiro per i vicoli di Venezia, verso le Fondamenta di San Tomà; ecco lo scorcio un cortile, chiuso da un cancello a grata; poco più avanti, la casa di Carlo Goldoni. Supero il ponticello di San Tomà e si apre il Campiello del Piovan, dove si stanno smontano i banchi del mercato mattutino.

La Giudecca è il ritorno al caos e alla città cosmopolita, il suo canale è invaso dal traffico marittimo. Due impiegati della Posta caricano su un vaporetto la loro spedizione di oggi, mentre una media imbarcazione dell'impresa Artoni sta effettuando un trasloco. Un’altra barca trasporta le valigie degli ospiti di un albergo, i colli sono contrassegnati con il nome della struttura e della loro destinazione.

Riprende a piovere. È ancora una diversa dimensione di Venezia, grigia e galleggiante, umida e plumbea; il leggero ticchettio delle gocce al suolo scandisce un tempo immobile.

È giunto il tramonto, è ora di ritornare sui miei passi, verso la stazione ferroviaria. Con qualche rimpianto lascio la dimensione onirica di Venezia e mi appresto a tornare sul continente.

Un libro per un viaggio a Venezia

Paolo Maurensig – La tempesta. Il mistero di Giorgione

Una avvincente trama narrativa si sviluppa attraverso Venezia, dove un giovane scrittore arriva per preparare la sceneggiatura di un film basato su “Il carteggio Aspern” di Henry James. Durante le audizioni e i provini per reclutare gli attori conosce la giovane Olimpia, e se ne si innamora dopo aver scoperto che la donna è in possesso di alcuni scritti inediti nei quali Henry James racconta il quadro “La tempesta” di Giorgione (Zorzi da Castelfranco Veneto, suo luogo natìo). Le vicende del protagonista si alternano con la ricostruzione di un racconto di Henry James ambientato a Venezia, che narra la storia di due giovani (Mr. Temple e Miss Bruins) il cui destino è legato all’enigmatico quadro di Giorgione.

 

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 12/02/2021