Una notte «torinese»

Di Francesco Cordero di Pamparato (quarta e ultima parte)

Mestamente riprese la strada verso casa. Era stanco, avrebbe anche preso un taxi, ma chissà perché, quando fa brutto non si trovano mai. Per sua fortuna, allungando un po’ il percorso sarebbe arrivato sin quasi a casa camminando tutto sotto i portici. Almeno quelli esistevano ancora. Camminava con passo affrettato. Era turbato, deluso, anche se lui non poteva accorgersene, il suo aspetto lo denotava tanto che i pochi passanti erano indotti a pensare che proprio lui fosse una delle tante creature della notte.

Ormai aveva tratto le sue conclusioni. Erano molto tristi. La Torino che aveva amato non esisteva più. Era morta, al suo posto era rimasto solo un cadavere che si stava lentamente dissolvendo. Ricordava come pochi mesi prima era stato invitato ad un party di una importante azienda cittadina. Qualcuno aveva detto che molti dei presenti erano già morti ma non se n’erano accorti perché nessuno glielo aveva comunicato. Questo era successo alla città, la negatività aveva ormai trionfato e nel suo trionfo aveva distrutto l’energia vitale della città. Torino era morta senz’accorgersene, così come era gestita con uno spirito senz’anima. Aveva ucciso l’anima della maggior parte della popolazione e in breve avrebbe completato l’opera. Era un peccato che la metropoli che aveva dato alla nazione l’unità, la moda, la radio, il cinema, la televisione, la telefonia ormai si fosse ridotta ad un cadavere in decomposizione. Presto i predatori avrebbero spogliato quel cadavere delle ultime cose rimaste. La neve aveva ormai formato uno spesso strato, quasi volesse stendere un sudario mortale su quella che era stata la prima capitale d’Italia.

Alberto camminava con passo svelto, era stanco infreddolito, deluso, il suo pellegrinaggio si era concluso con un insuccesso. Non faceva più caso a niente, nemmeno alle presenze che continuavano a seguirlo, presenze che chiunque a Torino vi presti attenzione è in grado di percepire.

Aveva già passato via Po ed era arrivato in piazza Castello. Chissà perché la cosa che lo attirava di più era il museo egizio. Svoltò in quella direzione e si trovò in piazza Carignano. Quella piazza era molto piccola ma in quanto a presenze era molto più ricca di piazza Castello, molto più grande e così vicina. Lì c’era stato il primo parlamento d’Italia, lì c’era il ristorante dove mangiava abitualmente Camillo Cavour, a pochi passi c’era anche l’ex studio del grande statista e c’era stato il circolo che quell’uomo geniale aveva fondato per fare politica al riparo di occhi indiscreti. Quante energie si erano mosse nei tempi passati in quello spazio ristretto. Qualcosa ne era ancora rimasto, lo spirito del grande ministro sembrava ancora aleggiare per la piazza accompagnato dalle energie della sua febbrile attività. Tutto proprio a ridosso del palazzo che ospitava le vestigia degli antichi egizi. Non c’era forse qualcosa di magico anche in tutto ciò? Ora purtroppo di grandi uomini a Torino ne erano rimasti pochi, anche perché anche in questo la città è strana. Da dopo la guerra preferisce vantarsi di quelle che Alberto chiamava glorie daziali. Personaggi cioè che osannati e riveriti come geni in città, già nella cintura, non sono nessuno. Meno che meno nel resto d’Italia. Glorie che non superano quelle che una volta erano le cinte daziarie. Per incensare quelli, non si valorizzano coloro che valgono realmente. Anche questa era una forma di degrado. Torino com’era e Torino come è diventata. Scosse la testa, tornò sotto i portici e riprese il cammino.

Anche i portici, nel buio della notte gli sembrava che avessero qualcosa di magico. Un tunnel di luce, in un mondo buio. Una sicurezza nel disagio causato dal maltempo. Anche le poche immagini umane che comparivano di rado in lontananza, sulle prime erano solo ombre scure che prendevano corpo solo quando erano vicine, per poi svanire in silenzio nell’ombra. Alcuni amici gli avevano più volte raccontato come, passeggiando di notte sotto i portici si fossero sentiti come proiettati fuori del tempo, in un’altra dimensione o in un’altra epoca.

Stava percorrendo via Pietro Micca, dedicata a un uomo semplice, che davanti a un pericolo incombente non si era fatto tante domande, aveva sacrificato la vita per la salvezza degli altri. Oggi di persone così, forse si è perso lo stampo. La neve continuava a scendere e le presenze incorporee ad accompagnarlo. Si trovava all’altezza di piazza Solferino, che commemorava la grande vittoria nella seconda guerra di indipendenza. Per un attimo qualcosa lo turbò. Era come se si fosse sentito chiamare da qualcuno. Non era stato né una voce né un rumore, ma ne era certo, si sentiva chiamare distintamente. Si guardò in giro. Non c’era nessuno. Eppure…Il suo sguardo colse la grande fontana nella piazza. Nera com’era risaltava stranamente in quello scenario nevoso. Stranamente si staccava anche dal nero della notte. Com’era possibile? Fontana angelica, così si chiamava. Quindi doveva avere energie positive, non ci aveva mai pensato ed era quasi a metà strada tra i due poli. Si sentì attratto da quel monumento. Incurante della neve si avvicinò in silenzio. Si diceva che avesse una sua magia, ma di cui ignorava il contenuto. Sentì un senso di pace davanti ad essa, pace mista a curiosità.

La fontana aveva una forma a mezzaluna con sculture raffiguranti immagini umane che facevano da sfondo alla vasca. La vasca e parte delle strutture erano di pietra, le figure umane di bronzo. Erano quattro statue, due donne, più in basso e all’esterno che simboleggiavano la primavera e l’estate e al centro del semicerchio, di poco scostati uno dall’altro sono raffigurati due giganti: uno più giovane e uno più vecchio, figure in stile vagamente michelangiolesco, ma non per questo meno formidabili, rappresentavano l’autunno e l’inverno. Erano seduti in posizione tale da fronteggiarsi; il più vecchio guardava verso oriente. Lo scultore li aveva disposti in modo da lasciare tra le due figure uno spazio, quasi un vano di passaggio. Correva voce che quel varco avesse una funzione esoterica, fosse una specie di accesso verso una dimensione misteriosa. Oltre la fontana, ai due lati, due filari di piante incorniciavano un giardinetto. Alberto, quasi come in ipnosi era ormai davanti alla vasca. Solo quella lo separava dalle sculture. Di colpo qualcosa accadde. Si sentì come se una forza ignota la avesse preso e lo dominasse. Aveva la percezione di essere passato in mezzo ai giganti e che uno strano vortice lo stesse facendo girare in tondo, in mezzo ai due filari di alberi. Per tre volte gli sembrò di compiere quel percorso, sentendo delle voci che però non riusciva a comprendere. Ma non vedeva niente, come se avesse una benda. Di colpo riprese coscienza del mondo circostante, ma non era più lo stesso. Non sentiva più la neve. La piazza era sempre lì, ma era cambiata. Gli alberi si erano trasformati in altrettante piccole luci fioche. Al di là i palazzi erano bui: sembravano quasi muraglie prive di vita. Tutto intorno era il silenzio più totale. Alberto era impaurito, stava per chiedersi spiegazione di quanto stava succedendo, quando udì distintamente un messaggio.

“Non avere paura Alberto, non sei in un ambiente ostile, anzi….”

“Chi siete, cosa volete, cosa è successo? Sto sognando?”

“Noi siamo quello che tu hai cercato questa notte senza trovare. Ti sembrerà strano ma è così. Tu credevi di cercare di scoprire se in questa città il bene era più forte del male. Per questo non hai trovato la risposta. Tu come molti, continui a pensare ad un bene come forza contro il male. Un’entità positiva in quanto si contrappone ad un’altra negativa. Questo esiste, ma non è una forza del tutto costruttiva. Tutto ciò che è contro qualcosa ha dentro di sé una componente negativa. Per questo una simile visione del bene è perdente. Per questo noi non siamo per questo tipo di bene. Noi propugniamo un altro atteggiamento. Lo chiamiamo la spiritualità, che non è uno di quei termini vuoti che ognuno può riempire di ciò che vuole. Per noi è un atteggiamento che sublima il bene cercandolo per se stesso, non come contrapposto a qualcosa. Bene che nasce dall’amicizia e ci porta a trasmettere quanto riusciamo a conoscere di positivo alle persone che come noi lo ricercano. Per questo ora sei con noi.

Non ci interessa una forza positiva che si sconti con quella negativa. Calcola anche che positivo e negativo si scontano e tendono ad annullarsi, ma ogni teatro del loro scontro ne esce comunque ferito e danneggiato. Ogni scontro distrugge a volte più di quanto crei. Così è successo a questa città. Città che è condannata, ma ogni sentenza ha sempre un appello. Solo se si tornerà a questo tipo di spiritualità, alla ricerca di una spiritualità positiva e creativa, Torino avrà ancora delle possibilità, altrimenti non si risolleverà mai dal degrado che la sta portando sempre più in basso.

In quanto a te, ci siamo accorti che tu cercavi una verità, per te stesso e per questa città. Sapevamo che sei un uomo giusto e corretto. Per questo ti abbiamo cercato e ci siamo manifestati. Non chiederci chi siamo. Lo dovrai scoprire da solo, così come da solo dovrai scoprire quale sarà la tua strada. Ma ricordati, avrai successo se cercherai qualcosa che ti va bene per quello che è, non se fari una scelta contro qualcosa. Devi anche tu cercare qualcosa che ti soddisfi per quello che rappresenta non che sia una scelta per scartare qualcosa. Anche se decidere significa recidere prima si sceglie quello per cui vale la pena di vivere, poi purtroppo si scarta quello che riteniamo di minor importanza. Non il contrario.

Per Torino sappi che al dl là del male che la pervade, ci sono molte persone che lavorano per la spiritualità, la stessa che tu stai cercando senza accorgertene. Starà a te riconoscerli e se deciderai di rimanere, di collaborare con loro per un bene che non è contro, ma creativo. In ogni caso, dovrai prima fare un profondo esame su te stesso. Poi starà a te decidere. Buona fortuna Alberto:”

Alberto provò di nuovo una strana sensazione. Di colpo si ritrovò davanti alla fontana. Era un po’ frastornato: era stato un sogno o realtà? Ma in fondo cosa cambiava? Aveva ricevuto uno strano messaggio. Un messaggio che lo avrebbe fatto molto riflettere. Intanto si accorse che aveva smesso di nevicare. Il cielo era diventato sereno e terso. Guardò in alto: non aveva mai visto tante stelle a quella latitudine. Sentiva sempre le presenze, ormai sapeva di cosa si trattava. Sorrise tra se e riprese il cammino verso casa. Non sapeva ancora cosa avrebbe deciso, ma mentre camminava, a mano a mano che si avvicinava a casa, si lasciava dietro il suo pessimismo. Adesso doveva riflettere, poi era sicuro, per il suo futuro avrebbe preso la decisione giusta.    

Francesco Cordero di Pamparato (Fine)

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Articolo pubblicato il 07/02/2021