Una notte «torinese»

Di Francesco Cordero di Pamparato (terza parte)

Questa tanti anni prima era stata la zona più elegante della città, ma ormai presentava chiari i segni del degrado. Trascuratezza nella gestione dei palazzi, muri sporchi e imbrattati da scritte sceme, pavimentazione non curata e molta sporcizia per terra. Quella sera la via era deserta per il maltempo, altrimenti da anni percorrerla a piedi di notte non era più una cosa sicura. Pensò a quando i suoi avi vi vivevano. A quando negli anni Trenta era la strada della passeggiata elegante. Ora di quei tempi non ne era rimasto neanche il ricordo. Gli tornarono in mente i titoli di tanti libri che documentavano il bel tempo andato. Gli avevano sempre dato un grande fastidio. Possibile che i torinesi dedicassero più tempo a piangere sul passato, che non a rimboccarsi le maniche e a rinnovare la loro città e riportarla al passo con i tempi? Una volta lo avrebbero fatto. Cosa era successo negli ultimi decenni, cosa aveva trasformato così gli abitanti della città del toro, era forse diventata la città del bue? Quanta amarezza gli procuravano quei pensieri. Si chiedeva anche se lui avrebbe potuto fare qualcosa per quella città, ma cosa può un uomo solo contro una mentalità negativa? E in tema di negatività, quanto la negatività della città aveva influito sulla mentalità degli abitanti e quanto viceversa? Era la Torino nera che aveva spento i cittadini o vi era una negatività dei cittadini che aveva distrutto lo spirito della prima capitale d’Italia? O forse qualche elemento a lui ignoto si era infiltrato in quell’ambiente come un demone maligno? Quale oscura presenza aveva portato al degrado della città?

Era quasi arrivato in fondo a via Po, alla sua sinistra, poco lontano svettava la Mole Antonelliana, il più alto edificio d’Italia. Una volta era stato il più alto edificio del mondo in sola muratura, poi una bufera, negli anni Cinquanta ne aveva abbattuto la guglia. Era stata ricostruita in metallo e così anche quel primato era emigrato altrove. Alberto rivolse un pensiero al costruttore di quello strano edificio. L’Antonelli era stato un architetto estroso e geniale, chissà come si era trovato a Torino? Si era scontrato con la parte logica, conformista e banale della mentalità cittadina o aveva trovato affinità con l’altra anima, quella magica ed esoterica?

Quelle due anime sempre contrapposte si erano date battaglia a tutto campo ogni aspetto della vita metropolitana ne era pervaso. Così come quando si accusa la capitale piemontese di essere di indole chiusa, poi si scopre che è una delle città dove i circoli e le associazioni sono tra i più numerosi della nazione.

In quell’area, nel tredicesimo secolo vi era stata una sede dei templari, i misteriosi cavalieri di cui si diceva tutto e il contrario di tutto. Erano poi stati distrutti dal re di Francia per impossessarsi dei loro beni e abbattere la loro potenza. Ma cos’erano stati effettivamente? La loro sede era vicino al polo positivo della città, quindi, non potevano essere stati quei mostri che alcuni li avevano dipinti. Peccato solo che tutti i ciarlatani che non hanno argomenti per provare le loro teorie quando sono alle strette tirano in ballo loro, i peggiori anche Atlantide! Quanti buffoni ci sono al mondo e quanti idioti danno loro credito! Almeno in Africa queste cose non succedono, pensò Alberto guardando con ostilità la neve che cadeva. Gli venne da sorridere: i ciarlatani in piemontese sono chiamati fa fiuchè, che significa: che fanno nevicare.

Intanto era arrivato in piazza Vittorio Veneto, che viene chiamata familiarmente piazza Vittorio. La più grande di tutte, la più grande piazza porticata d’Europa. Per chiunque si occupi di esoterismo è facile capire come il polo positivo della città debba essere in quella zona. La piazza si spalanca, gigantesco boccascena architettonico, dopo la camminata sotto i portici di via Po e scende rapidamente verso il fiume. In questo modo fa da corona ad uno dei più suggestivi panorami della collina torinese, con in primo piano la chiese della Gran Madre di Dio, che ricalca l’architettura del Panteon romano. Dietro di lei, le colline salgono dolcemente ma rapidamente, e alla destra si scorge il monte dei Cappuccini, con la chiesa omonima, specie di monumento sacro in cima ad un piedistallo naturale. Quando poi si è al centro della piazza, tutta la collina appare alla vista, mentre in fondo, cornice della piazza, scorre solenne il Po. Torino è una città molto bella e scenografica, ma chissà perché i torinesi quasi si vergognano ad ammetterlo. Questa riflessione era da aggiungere ai misteri che non era mai riuscito né a capire né ad accettare.

Scese verso il Po sul lato destro della piazza, voleva ammirare in silenzio il paesaggio, soprattutto in lontananza, la collina di Superga, con la grande basilica costruita nel settecento dall’architetto Juvarra, in adempimento del voto di Vittorio Amedeo II di Savoia, che voleva ringraziare la Madonna per la vittoria sui francesi. Gli venne da sorridere pensando come tutti i torinesi che comprano appartamenti in piani alti cerchino la vista di Superga e se magari per vederla bisogna assumere pose da contorsionista, comunque se ne vantano con gli amici. Quante volte si era sentito dire: “Sai, se ti sporgi un po’, ti appoggi al balcone, poi giri la testa vedi Superga!”

Quella piazza così ampia gli dava un senso di tranquillità forse anche per la bellezza del paesaggio collinare con in primo piano, proprio al di là del Po la chiesa della Gran Madre, il polo positivo della città. Gli alti argini gli coprivano la vista del fiume, ma la presenza dell’acqua, anche lei piena di energie misteriose, si sentiva. Anche qui gli pareva di quasi respirare un’aria particolare, ma gradevole. Una sensazione opposta di quella negativa provata in piazza Statuto. Le presenze che avevano accompagnato per tutto il tragitto, ora gli trasmettevano un messaggio amichevole.  I grandi palazzi che formavano la piazza questa volta sembravano quasi guardarlo con benevolenza. Ricordò come sempre in quel quartiere si fosse sentito meglio che nel suo. Ma poi aveva scelto l’altro. La sua passione per il Liberty gli aveva fatto superare l’ostacolo della negatività della zona. Ma poi ci credeva davvero? Quello strano pellegrinaggio notturno aveva davvero un significato o era una delle tante bizzarrie che avevano caratterizzato la sua vita?

Intanto era arrivato al ponte sul Po. Ricordava che era stato fatto da Napoleone Bonamparte. Vittorio Emanuele I di Savoia, nel momento della restaurazione aveva pensato di abbatterlo in quanto fatto da un usurpatore. Fortunatamente un dignitario di corte gli aveva suggerito invece di distruggerlo di limitarsi a calpestarlo. Grazie a quell’espediente, il ponte era arrivato ai giorni nostri. Così anche lui, se pure non era un re, si accinse a calpestare il ponte.

Anche sulla sponda destra del Po c’era una piazza, mentre sull’argine del fiume si vedeva il verde bruciato dei parchi e gli alberi spogli, sempre su quel lato il Monte dei Cappuccini con la chiesa omonima gli davano uno spettacolo rassicurante.

La chiesa della Gran Madre aveva una solennità magica. Quel colonnato classico e quella cupola davano la sensazione che un mondo antico e uno recente si fossero fusi in un amalgama armonioso. La magia del silenzio era rotta solo dal rumore dell’acqua che scorreva veloce di fianco alla chiusa. Si avvicinò in silenzio. Avvertiva un senso di quiete, era una sensazione positiva, ma non altrettanto forte di quella negativa provata in Piazza Statuto. Dal basso osservò l’edifico, che troneggiava imponente in cima ad una lunga scalinata, fiancheggiata da due muri di pietra. Lassù in alto, in cima ai muraglioni a lato della scalinata due statue femminili guardavano verso la città, quasi silenziosi giudici e guardiani. Si diceva che una delle due, che tiene un calice in mano, indicasse il punto in cui è nascosto il sacro Graal. Una leggenda infatti sostiene che fosse stato portato a Torino dai Templari. Poi nel periodo in cui furono perseguitati, prima di essere arrestati anche qui, qualcuno di loro, dalla zona di via Po, avrebbe attraversato il fiume e l’avrebbe nascosto dove sorgeva un tempietto romano, dedicato ad Iside, sulle cui rovine sarebbe poi sorta la chiesa cristiana. Anche questa leggenda rientrava tra i misteri della città. Sono in molti che attribuiscono alla presenza di questa reliquia leggendaria le ragioni della positività di quell’area.

Alberto era affascinato da quell’atmosfera e quasi in trance si mise a salire la scalinata. Era talmente assorto, talmente concentrato nella ricerca di comprendere il mistero di quella chiesa, da non sentire più la neve che scendeva copiosa per terra e sulla sua testa. Forse qui, pensava c’era il Paradiso di cui aveva parlato Nostradamus.

Il risveglio fu brusco e triste. Dopo pochi gradini, una cancellata metallica sbarrava il passo. Qualcuno l’aveva messa per difendere il santo luogo da malintenzionati e drogati. Come aveva fatto a non notarla? Si girò per tornare indietro. Il suo sguardo colse i Murazzi. L’argine del fiume sull’altra sponda in quel tratto era preceduto da un lungo molo che portava quel nome. Lì nelle stagioni più miti sono aperti locali per i giovani, ma sono soprattutto luogo di attività intensa per gli spacciatori e di tanto in tanto ci scappa il morto.

Dunque, la negatività giungeva molto vicino al polo positivo! Per di più qualcuno aveva eretto quella cancellata. Non gli importava chi fosse stato né quando o perché. La sua interpretazione era un’altra: una forza sconosciuta aveva creato una barriera di metallo tra i torinesi e il loro polo positivo. Con questa barriera si era forse voluto condannare la popolazione ad essere vittima di una forza malvagia? Da come stava andando ormai da anni la città sembrava proprio che le cose si fossero messe in quel modo. Ma qual era quella forza nefasta che così tanto male aveva fatto a Torino? Avrebbe voluto scoprirlo, ma non ne aveva gli elementi. Non si era rispettata quella Vittoria misteriosa e la pena era stata il crollo della città?

Francesco Cordero di Pamparato (Fine terza parte – continua)

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Articolo pubblicato il 06/02/2021