Una notte «torinese»

Di Francesco Cordero di Pamparato (seconda parte)

Attraversò rapidamente i portici della piazza, erano deserti e silenziosi, quasi come se gli abitanti della zona avessero voluto cedere il passo alle figure sataniche e consentire loro si realizzare il loro Sabba infernale. Imboccò via Garibaldi, mentre la neve incominciava a scendere a piccoli fiocchi. Lui la detestava. Gli sembrava che avvolgesse ogni cosa come in un sudario mortale. Ma era meglio la neve della compagnia di quelle oscure entità. Via Garibaldi è da anni pedonale con palazzi del sei settecento, per gran parte in un degrado da terzo mondo. Solo le facciate erano tenute in buono stato. Una volta dove oggi è la via scorreva il fiume Dora, poi dirottato per far posto alla strada. La neve conferiva alla luce giallastra dei lampioni una dimensione spettrale. Quel silenzio e quella luce gli davano l’impressione di essere stato proiettato in un mondo diverso, dove il sogno è realtà e la realtà è sogno. Quasi aleggiassero per la via i fantasmi del passato glorioso. Era totalmente solo, ma si sentiva come guardato, spiato, quasi esaminato. La sensazione che provava era di profondo disagio.

Le vetrine erano spente, solo pochi affrettati pedoni comparivano e scomparivano di tanto in tanto. Incrociò Corso Valdocco, infondo al quale si trovavano sia l’istituto dei salesiani dove nel secolo scorso San Giovanni Bosco creò la prima casa per dare asilo ai giovani sbandati, sia il Rondò d’la furca, la rotonda dove venivano impiccati i condannati a morte. Il bene e il male in Torino erano sempre presenti, sempre vicini, sempre a confronto. Poco più in giù sulla sinistra c’era la chiesa della Madonna Consolata, la più cara e venerata dai cittadini, tanto che la sua festa è più seguita di quella di san Giovanni, il santo patrono. Alla destra invece c’era la chiesa della Misericordia, quella della confraternita che assisteva i condannati a morte. Anche in questa chiesa, lui lo sapeva, si avvertiva il solito dualismo. Nelle cripte sotterranee, da un lato erano sepolti molti confratelli, dall’altro i “giustiziati”. Nella chiesa erano conservati oggetti sacri del Beato Cafasso, mentre il pavimento ripeteva quello di un Tempio massonico. Si avvicinò alla porta. Era chiusa, ma dall’interno si sentiva provenire musica da organo. Aveva saputo che si sarebbe tenuto un concerto privato di musica massonica. Provò a bussare in chiave massonica ma nessuno gli aprì.

Continuò la sua strada. La neve continuava a cadere e gli procurava un senso di angoscia. Pensava alle pianure assolate e sterminate della savana africana. Quelle sì gli avevano dato un senso di serenità. Ma perché era tornato in questo mondo così lugubre? I palazzi sembravano guardarlo in silenzio. Curiosità o distacco? Non era facile da capire, era comunque il solito tipico atteggiamento che, oltre ai palazzi hanno anche i torinesi e che tanto poco piace agli altri italiani. Lui li osservava a sua volta: erano tutti simili, le cornici in rilievo delle finestre ripetevano sempre gli stessi motivi, anche se ogni edificio manteneva una propria individualità. I colori variavano ma erano sempre pallidi. Prevalevano varie tonalità di giallo e di grigio, a differenza per esempio di Roma dove prevale un ocra carico, più allegro e vivo. Avevano una bellezza sobria e solenne, non disgiunta da una vena di tristezza.

Era quasi arrivato in Piazza Castello, alla sua sinistra, poco lontano, c’era il duomo con la cappella del Guarini. Là si custodiva la Santa Sindone. Molti giuravano che fosse il sudario in cui era stato avvolto Cristo dopo la morte. anche lui ci credeva. Gli sembrava impossibile che quel lenzuolo, così fedele all’immagine del Crocifisso fornita dai vangeli, fosse un falso. Come avrebbe potuto essere se l’immagine si era impressa in negativo in un’epoca in cui non si conosceva il negativo? E se fosse stato un altro defunto, come mai rispecchiava con estrema fedeltà la figura di Cristo, con i segni delle ferite proprio identiche alle Sue?  Se Torino possedeva una reliquia così santa, una testimonianza così importante, come poteva essere allo stesso tempo così piena di energie negative e demoniache?

    Ormai era in piazza. Alla sua sinistra non poteva non notare l’imponente mole del palazzo reale. Da fuori era sobrio e spoglio. Dentro era uno dei più ricchi e fastosi che lui avesse mai visitato nella sua vita di giramondo. Anche tutti i palazzi gentilizi della città avevano la stessa caratteristica. Facciata spoglia e interno sontuoso. Rifletté su un altro particolare della sua città. Torino è piena di associazioni iniziatiche perché anche lei è iniziatica. Questa città è ricca di cose belle e preziose, ma non le mostra, le nasconde e le svela solo a chi le cerca e dopo un vaglio pignolo se ne dimostra degno. Così come per l’amicizia dei torinesi, prima diffidenti, dopo amici per la vita. Ma è Torino ad essere iniziatica e quindi a conferire questa caratteristica ai suoi abitanti o viceversa? Non era mai riuscito a spiegarselo.

Davanti al Palazzo vi è un ampio spazio chiamato Piazzetta Reale, chiusa da una cancellata di ferro. L’ingresso e delimitato da due colonne sormontate da due statue equestri. Rappresentano i dioscuri: Castore e Polluce. Molti sostengono che quel cancello sia una specie di varco che possa proiettare in una diversa dimensione, in un mondo esoterico. Poteva essere vero? Lui ne dubitava, di lì i Savoia erano passati per secoli, ma erano sempre stati una dinastia gretta e meschina, non gli sembrava possibile che si fossero occupati seriamente di esoterismo e quindi lì non ci poteva essere niente di magico.

Qualcosa di misterioso comunque lì c’era, sotto Palazzo Madama si dice vi siano grotte alchemiche, ma era un qualcosa che aveva sentito dire e non aveva mai approfondito, né gli interessava più di tanto. Il suo interesse invece era rivolto a una struttura di ben altro tipo, anche quella non lontana. Il Museo Egizio, il secondo del mondo in questo campo. Molti attribuivano agli egizi e alla loro civiltà un qualcosa di magico, di misterioso. Ma perché il misterioso deve sempre sconfinare nel magico? Non poteva esserci una spiegazione o comunque un’interpretazione più elevata di quanto si nasconde dietro un mistero?  In effetti l’aspetto di quel popolo scomparso che più lo interessava era la loro spiritualità, il loro concetto della vita, tutto ispirato a quella dopo la morte. Era una cosa singolare, forse unica nella storia umana. Per questo, proprio per la concezione della vita oltre la morte degli egizi era stato giusto violare le loro tombe, portarne via i sarcofagi e le mummie, per soddisfare le curiosità di persone che probabilmente non avrebbero mai capito il loro profondo messaggio? Non era forse una profanazione e se sì, non poteva essere proprio quella profanazione ad aver attirato tanta negatività sul capoluogo piemontese?

La neve aveva ormai formato uno strato di poltiglia umida e fredda, che Alberto calpestava quasi con disgusto. Intanto era sempre solo e continuava a sentirsi osservato. Avrebbe voluto andare al museo, restare in compagnia delle mummie, quasi potesse interrogarle e capire qual era stato e quale forse fosse ancora il loro mistero. Purtroppo, non era possibile.  Proseguì sotto i portici che lo riparavano dalla neve e gli consentivano di non camminare su quella fanghiglia che gli dava tanto disgusto. Grande invenzione, pensò, i portici. Quattordici chilometri di strade con i marciapiedi coperti. Anche altre città hanno un clima altrettanto inclemente, ma solo la sua lo aveva risolto così bene. Almeno una volta. Così come un vanto della città erano i grandi viali alberati. I più belli e grandi d’Italia. Si una volta Torino era chiamata il salotto d’Italia, ma ora era diventata una delle città più degradate. Anche la classe dirigenziale delle industrie cittadine era forse la migliore d’Italia mentre l’amministrazione pubblica negli ultimi decenni aveva fatto più danni che altro. Quanto vi avevano influito le energie negative che vi aleggiavano sopra? Come poteva capirlo, come poteva spiegarselo? Non lo sapeva, ma intanto pensava che tutto in Italia era nato a Torino, dall’Italia stessa, al cinema, alla radio alla televisione, alla moda, alla telefonia, all’automobile. Però nel giro di pochi decenni tutto l’aveva abbandonata. Ormai solo l’industria dell’automobile era rimasta e si era portata con sé un’immigrazione incontrollata che aveva nuociuto sia agli immigrati che agli antichi abitanti.

In effetti i torinesi non sono amati in Italia. Sono forse i meno italiani e proprio per questo sono stati i soli capaci di trasformare la penisola in nazione. Forse è proprio per questo che non sono benvoluti. Non sono nemmeno i soliti furbastri e maneggioni tanto stimati in patria quanto detestati all’estero. Sono un misto di francesi e svizzeri, per questo gli alti italiani non li capiscono e non capendoli non li amano. Ma lui cos’era? Il suo girovagare per il mondo lo aveva fatto diventare un ufo, uno strano essere, che non trovando altri come lui lo obbligava per una legge del contrappasso a continuare a vagare senza sosta per tutta la vita? Se lo era chiesto tante volte, ma ancora di più da quando aveva dovuto studiare la storia della sua famiglia. 

Storia che gli passava come un velo davanti alle immagini degli antichi palazzi, che anche in Via Po mantenevano lo stesso stile architettonico. Torino, che prima era stata una cittadina secondaria nello scenario piemontese, ebbe un forte sviluppo dal Seicento in poi, per questo la parte vecchia della città ha una fisionomia omogenea, prevalentemente barocca. I palazzi di via Po, infatti, non si discostano molto come facciate da quelli di Via Garibaldi, se si fa eccezione per i portici.

Francesco Cordero di Pamparato (fine seconda parte - continua)

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Articolo pubblicato il 05/02/2021