Cavalieri Dal Buio Alla Luce

Di Francesco Cordero di Pamparato (Quindicesima Puntata)

15 - I Cavalieri Ignoti

 

Malot cavalcava solo, ai margini della grande foresta. Era sposato da più di un anno. Aveva avuto un figlio. Il Duca gli affidava sempre più sovente incarichi diplomatici. Più di rado, era inviato in imprese militari. Questa nuova vita lo allontanava sempre più da Osman.

Il suo miglior amico, il suo maestro stava prendendo le distanze da lui. Parte era dovuto alla diversità dei compiti. Ma anche, quando tutti e due erano a palazzo, l’arabo non gli stava più vicino come prima, a dargli buoni insegnamenti e consigli. Molto tempo prima, gli aveva anche parlato di un grande ordine a cui tutto e tutti devono uniformarsi. Gli aveva promesso, che gli avrebbe spiegato come fare. Ora non gliene aveva più detto nulla. La cosa lo stupiva.

Stava riflettendo su questo punto e aveva deciso che gliene avrebbe parlato lui, appena possibile. A un tratto, guardandosi intorno, vide, in lontananza, un cavaliere con le insegne dell’amico, una croce rossa in mezzo a delle rose. Rimase stupito, non gli risultava che fosse venuto nella foresta. Nondimeno, pensò che fosse l’occasione buona per parlargli. Mise il cavallo al trotto e diresse verso di lui.

A mano a mano che si avvicinava, gli sembrava di notare che ci fosse nell’insieme, qualcosa che lo lasciava perplesso. Sapeva che l’arabo prediligeva i cavalli grigi. Ora montava un baio. Quando gli fu vicino, notò qualcosa della corporatura dell’uomo che non lo convinceva. Cosa poi lo stupì moltissimo, fu che l’uomo aveva un elmo, con la celata abbassata. Provò a chiamarlo per nome, ma l’altro non rispose. Un brutto presentimento lo prese e decise di affrontarlo.

Gli si parò incontro con la spada sguainata:

“Cavaliere, chi siete? Cosa fate in queste terre? Come osate usurpare le insegne di Osman? Spiegatevi in modo chiaro o dovrete battervi con me”.

“Nobile cavaliere,” rispose l’altro senza scomporsi. Aveva un forte accento provenzale. “Comprendo il vostro stupore, vi giuro sul mio onore che porto legittimamente le insegne che mi vedete. Osman mi ha parlato di voi Sir Malot. Io però, posso solo dirvi che sono venuto nella foresta a incontrare altri cavalieri, tutti con intenzioni pacifiche ma, per un giuramento, non posso dirvi né il mio nome, né alcunché oltre a quello che vi ho detto”.

“E tu speri che io creda a un discorso così vago!” proseguì Malot adirato, “mi fai un discorso da mercante, non da uomo d’onore. Se veramente vieni in pace, perché porti l’elmo con la celata abbassata? Mostra il tuo viso e ti renderai più credibile”.

“Nobile cavaliere, vi giuro sull’obbedienza che tutti dobbiamo all’Imperatore, che quanto vi ho detto è vero. Non posso dirvi di più. Vi prego di fidarvi della mia parola. Non costringetemi a battervi con voi. Non vorrei far del male al pupillo del Duca di Bretagna”.   “Sei un vile dunque!” gridò inferocito Malot. “Preparati a combattere e a morire”.    

Si lanciò contro il cavaliere misterioso, con la spada in pugno, quando una voce nota lo chiamò: “Fermati Malot! Non commettere un errore che ti costerebbe comunque caro!”.

Tre cavalieri erano comparsi improvvisamente. Tutti con le stesse insegne e l’elmo con la celata abbassata, ma Osman era inconfondibile per l’imponenza fisica e l’accento straniero. Malot si fermò sbigottito. Tutti quei cavalieri con le stesse insegne. Sembrava che si conoscessero tra di loro e che accettassero l’identità di blasone. Stava per fare domande, quando il cavaliere arabo gli fece segno di fare silenzio e parlò: “Seguimi Malot. Ci sono cose che hai visto che devi sapere. Altre su cui non devi indagare o fare domande”.

Il pupillo del Duca lo seguì riluttante. Il suo miglior amico aveva dei segreti di cui non lo aveva mai messo a parte. Come era possibile che non si fidasse di lui? La cosa incominciava a indispettirlo, ma si lasciò guidare in silenzio. Giunsero finalmente a una radura con dei ruderi romani. Osman si fermò. Si sedette su una pietra. Si tolse l’elmo. Invitò l’amico a sedersi anche lui, quindi incominciò a parlare.

“È buffo Malot, ti avevo detto una volta che l’ordine sarebbe venuto a te. Adesso è successo, ma in un modo in cui non ti potrò dare molte spiegazioni. Tu sai che si dicono tante strane cose sul mio conto. Solo il Duca conosce la verità, o meglio quel tanto di verità che gli interessa. Viviamo in un mondo dove è difficile stabilire se sia più grande la sete di sapere o la superstizione. Tutti gli ignoranti sono affascinati dal sapere, ma hanno paura di chi riesce a percorre la via della conoscenza più a fondo di loro. Quanti libri di saggi vengono distrutti, quanti innocenti portati al rogo, talvolta per paura del sapere più spesso per invidia e odio. A volte persino per togliersi di torno una persona innocua, ma scomoda.

Se tutti approfondissero la conoscenza della verità, si riuscirebbe a realizzare un mondo di pace e di armonia. Questo non sarà mai possibile, ma bisogna tendere al miglioramento proprio e degli altri.

I monaci e i saggi approfondiscono la loro conoscenza e fanno opera di divulgazione, ma non sempre basta. Ci sono altri uomini, che anche loro, hanno approfondito la conoscenza, ma a un certo punto si sono fermati. Hanno compreso che nel grande ordine il loro era un altro compito.

Erano uomini forti, cavalieri. Avrebbero difeso la conoscenza e coloro che cercavano di divulgarla. Avrebbero combattuto, anche a costo della vita, contro la superstizione e gli invidiosi. Questi ultimi, altro non sono che i sacerdoti della religione dell’odio e dell’ignoranza.

I cavalieri, che hai appena visto, si incontrano periodicamente. Ognuno vive dove l’ordine lo ha portato. Non è necessario che ognuno conosca il nome dell’altro. Tra di loro, si riconoscono per due caratteristiche. L’elevato grado di conoscenza e la bontà dei sentimenti. Per questo portano l’elmo. Non è necessario che mostrino il volto. Devono mostrare un’anima pura. Le insegne che portano sono determinate dal livello di sapere che hanno raggiunto. I più forti portano le insegne che tu già consci. Non dobbiamo rivelare a nessuno la nostra missione, se non a chi riteniamo degno. Tu sei il secondo, a cui io lo rivelo. Ma quel cavaliere, di cui anch’io non so il nome, non ti rivelerà niente di più di quanto ha fatto. Non può. Io stesso ti ho già rivelato molto”.

Malot era rimasto colpito dal discorso ma stava cercando di riordinare le proprie idee.

“Se ho ben capito siete come una specie di ordine religioso. Ma come fate a tenervi in contatto, se non vi conoscete tutti. E non c’è il rischio che tra voi si infili un impostore? E scusa, siete tutti arabi?”

“Non siamo tutti arabi. In un certo senso hai ragione, siamo un po’come un ordine religioso. Come facciamo ad incontrarci? È semplice: tu sai che ci sono delle date che sembrano avere un qualcosa di magico, come il solstizio d’estate, l’equinozio e altre.

Ebbene, in queste date si creano flussi di un qualcosa che non ti posso spiegare che ci portano ad incontrarci. Per quanto riguarda un impostore, verrebbe scoperto subito. In nessun campo si può fingere di avere quello che non si ha. Specie nel mondo della conoscenza: come pensi che si possa parlare di qualcosa di cui si ignora l’esistenza? Solo chi è stato addestrato al sapere può stare tra di noi”.

“Osman, pensi che io potrei stare tra di voi?”.

Il cavaliere arabo rimase per un momento in silenzio pensoso, prima di rispondere.

“Malot, tu sei un cavaliere forte. Hai superato la prova dello Gnosis. Hai conosciuto cose che non avresti ancora dovuto sapere. Se accetti, ti sottoporrò ad una prova. Tutti quelli che hanno voluto arrivare a un certo livello di conoscenza la devono superare. Anche se l’esame non ha per tutti lo stesso livello. Per ognuno c’è un risultato diverso. È un qualcosa che ci rimane dentro. Dopo questa prova, tu stesso capirai qual è il tuo posto nel grande ordine. Sei disposto a questo esame?”.

“Cos’è? Una prova come quella dello Gnosis, un combattimento o cosa? Voglio provare, ma dimmi di cosa si tratta”.

L’arabo si guardò intorno, poi indicò le antiche vestigia che li circondavano.

“Vedi quei ruderi? Qui tanto tempo fa c’era un villaggio romano. Fu distrutto all’epoca di Vercingetorige. Dopo, i romani lo ricostruirono. Fu abbandonato da qualche secolo.

Come la valle dei Dolmen, anche questo è un luogo magico della foresta. Per cui la gente ha paura a venire qui. Osserva quelle colonne. Erano un tempio di una religione ormai scomparsa. Dovrai varcarle e la tua prova comincerà. Sarà una prova di logica. Non avrai bisogno delle armi. Non ti dico dove uscirai. Dovrai scoprirlo da solo. Conto che tu ce la faccia. Buona fortuna e che la ragione ti illumini”.

Detto questo, Osman si allontanò.

Malot era perplesso. Tuttavia, voleva superare la prova. Si fece coraggio: varcò le colonne. Si trovò in mezzo ad una vegetazione molto fitta. Il cielo si era fatto più scuro; comunque riusciva ancora a vedere. Si era incamminato per un pezzo del sentiero, quando gli venne spontaneo di voltarsi.

Il tempietto era sparito. L’inizio del sentiero era sbarrato da una fitta siepe. Dunque non sarebbe dovuto uscire da quella parte. Ma dove? Davanti a lui si aprivano molti sentieri. La prova era dunque un labirinto. Sapeva come trovare il nord nella foresta, ma era a nord che doveva andare? Osman non aveva detto quello. Aveva detto che era una prova logica.

Prima di prendere una direzione, bisognava capire dove andare. Se non era la radura del tempio, quale altro posto poteva essere? Osman aveva parlato di due luoghi magici. L’altro era la valle dei Dolmen. Quindi era là che doveva andare. La direzione era verso oriente.

Ma il labirinto è come un enigma, che si risolve con la ragione. Era l’istinto che diceva che per andare a oriente, bisognava prendere un sentiero, che andasse in quella direzione. In questo caso sicuramente, la via più facile si sarebbe rivelata una via illusoria.

Decise di puntare verso ovest. Avrebbe tenuto il sentiero principale. Le scorciatoie, di solito, fanno brutti scherzi. Continuò per lo stesso sentiero, per circa tre ore. Dal muschio sulla corteccia degli alberi, si accorse che ora stava andando a sud. Si fermò per un breve tempo, poi riprese la sua via. Il sole si era ancora abbassato, quando si accorse che stava finalmente, andando a est.

A un tratto, udì il fruscio dell’acqua corrente. Sapeva che c’era un ruscello vicino alla valle dei Dolmen. Diverse volte si era fermato a dissetarsi. Accelerò il passo. Lungo il sentiero vide un pezzo di colonna romana, che aveva già visto altre volte nella foresta. Pensò che quindi era uscito dal labirinto e affrettò l’andatura. Vide il ruscello e al di là Osman e gli altri cavalieri seduti in circolo. Sentiva le loro voci, ma non riusciva a capire le parole.

A un certo punto, vide un ponticello di legno, che lo avrebbe condotto sino ai cavalieri. Quante volte lo aveva già attraversato. Sapeva che era sicuro. Pensò che poteva varcarlo per congiungersi a loro. Questa volta il ponte si ruppe. Malot si trovò di colpo in mezzo all’acqua. Cercò di gridare, per attirare l’attenzione dei presenti. Non un suono uscì dalle sue labbra. Poi perse i sensi.

Quando si riprese, si accorse di mormorare qualcosa, che non capiva neanche lui. Sentì gli altri dire che non era morto. Si era risvegliato e aveva ritrovato la parola.

Ma dove si trovava? Stava riacquistando conoscenza. Si guardò intorno. Sei cavalieri con l’elmo con la celata abbassata lo stavano guardando. Avevano tutti le insegne ben note. Il sole stava tramontando. I giganteschi Dolmen li circondavano e facevano loro da cornice. Era giunto alla meta. Ma era un merito il suo o non piuttosto un fallimento? Non sapeva darsi una risposta. Si alzò in piedi. Vide Osman. Gli si avvicinò. Voleva sapere da lui com’era andata la prova. Il cavaliere arabo lo prevenne.

“Allora Malot, vedo che non sei sicuro di come hai superato l’esame. Da cosa deriva l’incertezza? Dal fatto che sappiamo che qualcosa è andato bene, ma qualcosa non è andato come si voleva. Nel tuo caso cos’è che non è andato?”

“Penso di aver capito in quale direzione dovevo andare. Di aver preso la via giusta. Poi quel dannato ponte. Ero sicuro che mi avrebbe retto. Invece ho rischiato di morire. Così non sono arrivato a questa valle con i miei mezzi”.

“In un certo senso qualcosa di te è morto. Noi siamo qui per far nascere un nuovo Malot. Il ponte non ti ha retto, dici. È colpa tua. Avresti dovuto vedere che non teneva. Poi dimmi cos’altro pensi?”.

“Penso che anche questo dialogo sia parte della prova”.

“Bravo! Allora dovresti capire che il tuo errore è stato, una volta sicuro di essere sulla strada giusta, di crederti fuori del labirinto. Per quello il ponte ha ceduto”.

“Ma come! A un certo punto ho visto oggetti che avevo già incontrato nella foresta. Ho visto il ruscello. Altre volte ero passato su quel ponte. E mai ero stato nel labirinto. Quindi per forza dovevo esserne fuori”.

“Qui siamo al punto. Se ti riportassi indietro, non troveresti il labirinto. Geograficamente non esiste. Quel tempio è un aggancio mentale. Varcare il suo ingresso ti proietta in una realtà interiore. Ti fa riflettere su te stesso, sul tuo modo di operare le scelte. Sulla tua abilità di non distrarti davanti alle illusioni. Ma al tuo livello, è tutto un lavoro interiore. La realtà materiale diventa un’illusione che serve da stimolo agli occhi della mente. Per un certo periodo sei andato bene. Hai seguito il sentiero, che rappresenta l’aspetto logico della vita. Poi l’impazienza di dimostrare che ce l’avevi fatta, ha spezzato il legame tra la realtà mentale e quella esteriore. Ci hai visti. Hai perso il controllo della tua via. Tu dovevi venire qui. La curiosità ti ha portato verso di noi. Non dovevi farlo. Per questo il ponte si è rotto”.

Malot era diventato triste: “Allora ho fallito. Non sarò mai un cavaliere come voi”.

“Non hai fallito, mio giovane amico. Davanti al dedalo di sentieri hai saputo trovare la tua via. Non hai avuto paura. Hai saputo operare le tue scelte. Hai capito che una scelta porta a delle strade obbligate da cui si può uscire solo al momento giusto. E, cosa più importante, anche se ora ti sembra un fallimento, hai capito il tuo limite.

Quel limite che la maggior parte degli uomini non accetta nemmeno di avere. Conoscerlo e accettarlo è uno dei primi passi verso la conoscenza. Solo partendo da questo punto si può imboccare una via di miglioramento. Perciò ti dico tu ora non sei un cavaliere come noi, ma un cavaliere che può stare con noi.  

Questa notte ti fermerai nella valle. Preparati, vedrai cose che ti porteranno ancora più avanti sulla via della conoscenza. Sicuramente molte di queste ti stupiranno”.

Malot comprese e rimase, meditabondo tra i Dolmen, mentre gli altri si allontanavano. Sarebbero tornati solo a notte.

 

Francesco Cordero di Pamparato

Fine quindicesima puntata - Continua

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Articolo pubblicato il 27/12/2020