Noveglia, dove finisce il mondo…
Veduta di Noveglia, del pittore Franco Soldati

Seconda parte (di Ezio Marinoni)

Leggi qui la prima parte.

 

Per entrare nella storia recente di Noveglia, vado alla ricerca di don Luigi Brigati, parroco di Noveglia, che ha scritto le sue memorie di pastore; raggiungo la chiesa della frazione Monastero. Suono alla casa parrocchiale e dopo una breve attesa mi apre un uomo anziano.

“Lei è il parroco?” domando.

“Sono io, da tanti anni”.

Con squisito senso di accoglienza mi fa entrare e mi accompagna subito in chiesa, transennata in più punti, a causa di due grosse crepe nella muratura. Molti lavori eseguiti hanno sostituito la pietra originaria con il marmo che usava nel secondo dopoguerra, togliendo il senso di storia che l’edificio era riuscito a mantenere.

Quando rientriamo in canonica, don Luigi mi regala l’ultima copia disponibile del suo libro “Mezzo secolo in Val Noveglia” (memorie e ricordi di 50 anni di sacerdozio). 

Apprendo che la chiesa è già citata, come Monastero di San Michele in Gravago, all’interno del Privilegio di Liutprando, Re dei Longobardi, che lo conferma sotto la giurisdizione del Vescovo di Piacenza, insieme al monastero di Tolla. I successivi diplomi dei Re longobardi Ildebrando (del 744) e di Rachis (del 746) confermarono il passaggio al Vescovo di Piacenza del monastero regio e rurale di Gravago, insieme a quelli di Fiorenzuola, Val di Tolla, e del monastero cittadino dei Santi Tommaso e Siro; un rector li reggeva in nome del Vescovo. La presenza di una cella monastica è riconfermata in un documento dell’anno 841 (“de cella monasterii Gravaco”…) all’interno di una permuta di terre sottoscritta a Carpaneto (“in curte Carpaneto”) tra il Vescovo di Piacenza, Seufredo, e un franco di nome Arnone.

Il monastero, ai tempi dell’Abate Attala, era stato fondato dai monaci bobbiesi di San Colombano e intitolato a San Michele Arcangelo. È citato anche nelle “Rationes Decimarum” piacentine e bobbiesi, con gli elenchi delle decime che venivano riscosse dagli enti ecclesiastici.

Il monastero di Gravago, che si trovava sulla “Via degli Abati” (o “Via Francigena di montagna”), si avvierà poi ad un progressivo decadimento, passando prima ai Benedettini e infine alla cura dei sacerdoti man mano incaricati dai Vescovi della Diocesi.

Poco distante, a presidio del Passo di San Abdon (attuale Santa Donna) sorgeva un castello, anch’esso definito di Gravago, del quale rimangono scarse tracce nei boschi, poco più che ruderi. Anche della casaforte Caminata di Bré e di una torre di vedetta in località Caminata non rimangono più tracce.

Abdon era un santo (di origine persiana e venerato dai Longobardi): fu uno dei tanti martiri del III secolo (accomunato a Sennen, anch’egli persiano), i cui resti mortali vengono ritrovati grazie ad una rivelazione e tumulati nel cimitero di San Ponziano, traslati poi nel XV secolo nella Basilica romana di San Marco. Nel cimitero romano di Ponziano è tuttora presente un affresco del VI secolo che raffigura i due martiri in abiti persiani con Cristo nell’atto di incoronarli. Nello stesso cimitero è stato trovato un vaso di terracotta con raffigurato un uomo prostrato in preghiera, in abiti persiani, che si ipotizza possa essere proprio Abdon.

Secondo la voce locale, Santa Donna non è altro che un involgarimento di “Abdon”, forse troppo difficile o lontano dalla cultura dell’Appennino parmense (una curiosità: appena sotto il valico si trova la borgata abbandonata di Pratofemmine...).

Risalgo la strada di montagna per andare a cercare la Pieve di Gravago (ieri sera Luigi Spagna mi ha raccontato che al di sotto del pavimento in terra battuta, durante i lavori di restauro, si sono ritrovati molti scheletri, attribuiti al tempo del Cholera ottocentesco che ha imperversato anche in Val Noveglia. La Pieve è citata in un documento del XIV secolo, con il titolo dell’Arciprete della Pieve di San Vito di Gravago. L’attuale chiesa (trovo le chiavi suonando alla casa più vicina) è semplice e modesta, spicca soltanto un altare seicentesco proveniente (chissà per quale motivo) dal Duomo di Carrara.

Termino il giro delle borgate di Noveglia a Bré-Palazzo.

Al centro di alcune semplici abitazioni spicca un palazzo signorile di probabile origine seicentesca. La famiglia che ne detiene le chiavi è in casa, ed è disponibile a farmi vedere i locali. Il signor Gabriele Alessandrini, di origini bergamasche, mi spiega che durante la Seconda guerra mondiale l’edificio è stato requisito dalla Wehrmacht a scopi militari; le cantine, hanno pavimenti in terra battuta e volte a botte.

Al termine del conflitto qui si è installata la scuola per tutta la Val Gravago. Le cinque stanze di oggi al primo piano corrispondono alle classi dell’epoca, mentre al piano terra abitava l’insegnante, in un locale in concessione gratuita.

Quando è stata chiusa la scuola (per essere accentrata a Bardi, a causa del primo spopolamento delle borgate) la Curia di Parma, che ne era proprietaria, intendeva trasformarla in casa di riposo. Il progetto non si è realizzato e l’immobile è stato ceduti ai privati che tuttora lo posseggono. Dopo l’acquisto, in una cantina, sono stati ritrovati reperti militari abbandonati dai tedeschi in fuga: una radio, un telefono e bobine per le registrazioni.

Nel cortile un architrave in pietra appoggiato al suolo porta la data del 1908, probabilmente a ricordo dell’innalzamento di un piano del palazzo.

Il mio pomeriggio bardigiano finisce alla biblioteca comunale di Bardi.

Cerco altre storie e altre leggende in Val Noveglia e nel Bardigiano.

Ci aggiriamo per la sala dove le librerie si allineano lungo le pareti. Prendo qualche volume in prestito, così avrò l’occasione di tornare entro fine anno (prolungando la durata dei prestiti) a Bardi e a Noveglia.

Troverò in questi volumi un’altra storia da scrivere?

Lascio Bardi, per tornare a Noveglia, con le copie della descrizione del viaggio di Antonio Boccia:

«Ripassato il Ceno dopo un miglio di non facil salita si entra in Bardi. Questo è abitato da 1250 anime.

Bardi ha un castello, che in senso mio è il più forte, ed il più conservato dello Stato.

I contorni di Bardi sono ameni, piacevoli e fertili, e non mancano industri possidenti che si adoperano anche con ispese straordinarie a renderli più floridi.

In Bardi vi sono due Conventi, uno dei Servi [di Maria, N.d.A.], nel quale non evvi che un religioso col laico, l’altro dei Zoccolanti con tre o quattro sacerdoti.

Il mercato di Bardi che si fa il giovedì d’ogni settimana, è uno dei più frequentati dello Stato, come pure le Fiere che vi si fanno infra…

La strada carreggiabile che dall’Emilia doveva continuare fino a Centocroci [Passo di Centocroci, N.d.A.], arriva fin qui. La sospensione di questa opera veramente romana ha impedito la felicità e la ricchezza di tutti que’ paesi, pe’ quali doveva essere fatta, ed il commercio generale dello Stato tuttora la deplora».

 

Sono di nuovo al mio “buen retiro”, a Prati dei Campassi, dove Iginio Prati (davvero, omen nomen!) mi aspetta con una bottiglia di Gutturnio sul tavolo, perché io gli racconti il mio viaggio di oggi.

Dalle finestre della grande sala per la colazione l’Appennino è un orizzonte che va a perdersi verso l’infinito; due cavalli bardigiani (mamma e piccolo di pochi mesi) passeggiano sul prato e ogni tanto brucano, fieri e signorili nel loro portamento.

Qui a Noveglia hai chiuso un cerchio, come quelli che a volte si chiudono nella vita” mi dice Iginio, mentre stappa la bottiglia.

Il sole digrada lentamente, la sua sottile linea rosseggiante questa sera sembra non volersi spegnere.

Quando termino la mia narrazione della giornata, apro il quaderno degli appunti e Iginio sa che è venuto il suo turno di raccontare. La sua vita e i suoi cambiamenti. Gliel’ho chiesto come un favore personale, da amico, per capire come la vita possa mutare forma e dimensione - basta volerlo - come ha fatto lui, per arrivare qui, alla fine del mondo, dove il mondo finisce perché non si va da nessuna parte, tutte le strade finiscono, e i boschi raccontano al cielo le leggende di questa terra magica...

 

Bibliografia

Antonio Boccia – Viaggio ai monti di Parma (1804)

Don Luigi Brigati – Mezzo secolo in Val Noveglia

Giuseppe Micheli – Le valli del Taro e del Ceno nella descrizione del Piccinelli (1617)

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 31/10/2020