L'economia della privacy

Il controllo sui dati personali: il terreno perduto

Il documentario di Netflix "The Social Dilemma" ci riporta una quadro piuttosto preoccupante sul danno riportato dalla tecnologia digitale per quel che riguarda la protezione dei dati degli individui.

La dipendenza da connessione, l'aumento dei suicidi e le interferenze elettorali sono solo alcuni dei problemi generati in qualche modo dai guru della Silicon Valley americana.

Ciò che, tuttavia, il documentario non enfatizza a sufficienza è la causa che fa da volano a questa distruzione sociale: un sistema economico basato sulla violazione di massa e sistematica del nostro diritto alla privacy.

In passato, ad esempio, l'efficienza dell'IBM in ambito geopolitico di controllo è stata al centro di un saggio di Edvin Black, dove lo scrittore accusa la multinazionale di aver favorito l'organizzazione dei campi di concentramento nella Germania nazista.

Il libro di Black, intitolato "L'IBM e l'olocausto", descrive il ruolo svolto dall'IBM nel censimento e nelle deportazioni e mostra come le tecnologie informatiche possano avere un supporto rilevante nei sistemi totalitari.

Secondo Black l'azienda americana IBM avrebbe fornito le macchine e le schede perforate per il trattamento automatico dei dati riguardanti l'Olocausto. Black è esperto di informatica e giornalista investigativo. L'azienda americana fornì consapevolmente ai nazisti quello che oggi si direbbe il know-how, sfidando le leggi statunitensi che dal 1941 in poi vietarono rapporti commerciali con il Reich e con le industrie ad esso collegate.

L'esempio appena citato ci mostra come anche la tecnologia abbia in passato giocato un ruolo fondamentale nel controllo durante le operazioni militari o più in generale nella gestione di milioni di persone da controllare.

La Cina, un tempo tra i paesi più regrediti, vanta oggi il sistema SkyNet con il quale, grazie ad algoritmi sofisticatissimi e a una rete capillare di telecamere a riconoscimento facciale, può tenere sotto scacco miliardi di cittadini, arrivando quasi a prevedere cosa essi faranno (ricalcando quanto Philip Dick temeva già decenni orsono nel suo celebre libro "Minority Report").

Per comprendere ciò che l'economia digitale significhi realmente per la privacy, dobbiamo considerare i dati personali come un fattore tossico. L'atto di collezionare i dati personali avvelena gli individui poiché li rende vulnerabili alla discriminazione, all'umiliazione pubblica, al furto della loro identità; avvelena anche la società dal momento che mette in pericolo l'uguaglianza e la democrazia.

I cittadini non vengono trattati come eguali: ognuno viene trattato in funzione dei proprii dati, della propria storia, della posizione sociale, dei suoi acquisti, delle abitudini personali.

La buona tecnologia, quella veramente utile a dare le stesse opportunità a tutti, dovrebbe funzionare per i cittadini e non per le aziende o i governi che usufuiscano di quei cosidetti big data per manipolare o tenere sotto controllo gli individui.

Proibire il commercio di dati personali non è radicale né estremo; ciò ad essere estremo e radicale è un sistema economico sostenuto dalla violazione dei diritti e della privacy.

Se avessimo proibito o quanto meno regolamentato il commercio dei dati per tempo non dovremmo ora preoccuparci che la propaganda personalizzata online influenzi le elezioni, o che le aziende e i call center facciano un cattivo utilizzo dei nostri dati personali.

Non tutto è irrecuperabile poiché recuperare il terreno perduto significa recuperare sul piano della nostra vita e della nostra democrazia, ma bisogna che, in tempi di globalizzazione, tutti i Governi facciano squadra affinché i grandi detentori dei dati personali degli individui vengano a loro volta controllati nell'utilizzo e nella diffusione di quei dati.

 

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Articolo pubblicato il 04/10/2020