Il Toro

Racconto di Francesco Cordero di Pamparato

Il villaggio di Valcauda era uno dei più tranquilli della regione. Situato ai piedi delle grandi montagne, alquanto a est dal punto dove la valle si apriva sulla pianura. Era abitato da Celti e poteva godere di terre fertili, con cui gli abitanti si mantenevano senza particolari problemi. Erano quasi tutti tranquilli contadini, che passavano una vita dura ma monotona e tranquilla. Le loro azioni erano scandite dal ritmo delle stagioni e gli unici eventi erano matrimoni, nascite e morti.

Una delle famiglie meno importanti del villaggio era quella di Begu, lui era un uomo brutto, tozzo con lineamenti marcati, un naso prominente, bruno, leggermente strabico. Era un gran lavoratore di poche parole e di scarso ingegno, ma coraggioso, anche se non aveva mai potuto dimostrarlo. Sua moglie Chiospa, non era più bella. Un viso rubizzo, capelli rossicci e ricci, un volto assolutamente inespressivo, due gambe corte e grosse e un sedere ancora più ampio. I due si erano sposati perché così avevano deciso le famiglie, per unificare le terre, che confinavano tra di loro. Il figlio, Kutu era a sua volta un bambino brutto, che accomunava i difetti di padre e madre. Era nero di carnagione con lineamenti grossi e marcati come quelli del padre ed era tozzo e inespressivo come entrambi i genitori. Non aveva niente di bello che lo caratterizzasse. In mezzo agli altri bambini, quasi tutti biondi e rossicci aveva faticato a legare. Tutti lo avevano sfottuto per molto tempo, ma visto che era buono e generoso, era poi diventato l’amico di tutti. La loro capanna era di poco discosta dalle altre, più a est, verso quella zona della piana, dove nessuno osava andare.

La vita quieta e monotona del villaggio avrebbe potuto durare all’infinito. Purtroppo non vivevano in un’isola felice. All’interno della valle, otre la Montagna magica, abitavano popolazioni primitive: selvagge e violente. Erano cacciatori e come sempre, i cacciatori erano nemici dei contadini.

Una notte Begu fu destato da strani rumori. Si alzò e vide molti uomini che si stavano avvicinando al villaggio da ovest. Subito svegliò la moglie e il figlio. Parlò loro con la voce più bassa che poté.

Presto, scappate al di là del fiume. Presto, non fate rumore, gli uomini dell’alta valle stanno attaccando il villaggio. Là sarete al sicuro scappate, svelti”.

Quando vide che i suoi erano arrivati sull’altra sponda del fiume, tornò indietro per cercare di dare aiuto ai suoi compagni. Purtroppo era ormai tardi. I nemici avevano colto il villaggio nel sonno, ora la maggior parte degli uomini erano morti, le capanne in fiamme. Gli animali terrorizzati dal fuoco, si erano dati alla fuga. I vincitori rincorrevano le donne per violentare e fare prigioniere le più belle. Il sangue scorreva a rivoli. Persino i bambini erano stati uccisi.

Ormai la vita aveva abbandonato il villaggio.

Begu era rimasto senza fiato per lo sconforto e per la paura. Aveva visto a breve distanza una lancia. Si avvicinò più in silenzio che poté per non farsi vedere. Avrebbe voluto prenderla e scagliarla contro Huru, il capo dei guerrieri invasori. Si alzò e fece per scagliarla, ma in quel momento sentì un forte dolore al capo, tutto si fece buio e perse i sensi. Quando si risvegliò aveva un gran male alla testa. Sentiva due mani forti che gli bloccavano le braccia.

Huru era davanti a lui e teneva per i capelli la bellissima Marsa, la ragazza più bella del villaggio. Era seminuda e piangeva, mentre il gigantesco guerriero aveva un’aria compiaciuta e sorridente. Guardò il piccolo prigioniero con aria beffarda.

Così tu avresti più coraggio degli altri uomini di questo villaggio. Peccato che loro sono morti. Tu volevi uccidermi, vero? Adesso dovrei ucciderti io, ma ho deciso di essere generoso. Ti lascio la vita, ma con un compito. Tu dirai ai superstiti, se ce ne sono, e agli uomini dei villaggi vicini, che questa terra adesso è nostra e ogni volta che vorremo ci prenderemo un altro villaggio. Che nessuno provi a contrastarci. Noi siamo i più forti”.

Detto quello, scoppiò in una risata, a cui i suoi uomini fecero coro ed eco. Begu avrebbe voluto fare qualcosa per l’infelice Marsa, ma si rese conto che non sarebbe stato possibile e mestamente si allontanò, lasciando la ragazza al suo destino.

Quando raggiunse la sua famiglia, fu accolto con affetto anche dagli abitanti del villaggio dall’altra parte del fiume raccontò a tutti della tragedia del villaggio. Tutti morti, solo le donne più belle erano sopravvissute, ma ora erano state portate schiave su per le montagne. Il vecchio capo del villaggio lo aveva ascoltato in silenzio. Come tutti era rimasto colpito dalla tragedia, lui come altri, aveva parenti che erano stati massacrati dagli uomini delle montagne.

Scosse la testa e parlò.

Purtroppo so bene che gli uomini delle montagne sono malvagi. Malvagi e stupidi, sanno solo distruggere e saccheggiare. Tutti noi siamo stati danneggiati dal loro bestiale comportamento. Voi, se volete, potrete rimanere al nostro villaggio siete i benvenuti”.

Kutu però non si dava pace. Era affezionato al suo villaggio e mentre nessuno lo guardava, scappò per andare a vedere cosa era veramente successo. Lo spettacolo era terribile, troppo atroce per un bambino. Arti amputati, crani spaccati, morti dappertutto. Gli unici esseri vivi erano i corvi, che beccavano i corpi dei cadaveri. C’era qualcosa di sfacciato, provocatorio e arrogante in quegli uccellacci neri, che al bambino fece ancora più impressione. Sembravano manifestazioni di un male che avvertiva, ma non riusciva a comprendere. Ebbe paura e si diede alla fuga. Si inciampò in qualcosa e cadde a faccia in avanti. Per fortuna non si era fatto male. Non si era ancora rialzato, che sentì qualcosa di morbido e di umido sul collo. Si alzò e si girò.

Di fianco a lui c’era un vitellino rosso.

Anche lui aveva perso tutti, persino la famiglia.

Kutu, lo abbracciò e gli accarezzò la schiena. L’animale emise un muggito pieno di soddisfazione. Aveva trovato un amico. Da quel giorno Kutu e il vitellino diventarono amici. Il ragazzo lasciava sovente il villaggio per andare a giocare con l’amico a quattro zampe. Il tempo passava, prima lentamente, come succede quando si è piccoli, poi sempre più velocemente, come quando si cresce. Nel giro di pochi anni Kutu si era formato un ragazzo robusto, anche se sempre brutto e tozzo, mentre il vitellino era diventato uno splendido e gigantesco toro.

Begu e Chiospa quando avevano visto quell’enorme animale si erano spaventati, poi avevano compreso come quel grande toro giocasse con tanto affetto con l’amico a due gambe. Il toro lasciava anche che il ragazzo gli montasse sulla schiena, poi i due partivano di colpo e si davano a corse pazze per la pianura. Sembravano fatti uno per l’altro e questa strana amicizia aveva commosso tutto il villaggio.

Anche Kutu attirava una certa simpatia, ma non piaceva alle ragazze del villaggio e la cosa lo intristiva alquanto.

Non c’erano più stati scontri con le tribù vicine e la gente del villaggio considerava il grande toro rosso come il proprio portafortuna e nessuno avrebbe mai pensato di abbatterlo per mangiarlo.

Purtroppo un giorno le cose cambiarono.

Anche le storie più belle hanno una fine.

Alcuni uomini erano andati in esplorazione lungo le terre vicino al grande fiume. Tutti dicevano che erano molto fertili, inoltre, il grande fiume forniva pesce ottimo e abbondante. Tuttavia una voce diceva che la zona fosse abitata da uno o più mostri feroci e pericolosi.

Cinque uomini erano partiti e solo due erano tornati, feriti con segni che era chiaro fossero i morsi di denti formidabili. I due erano frastornati e parlavano di un mostro grandissimo, che aveva aggredito il gruppo. Gli altri erano stati uccisi e divorati, loro si erano salvato e non sapevano nemmeno come.

Tutta la gente in circolo aveva ascoltato con orrore la loro storia.

Ora tutti erano terrorizzati e delusi.

Cosa sarebbe successo, se il mostro avesse attaccato il villaggio? Sarebbero sopravvissuti? Inoltre le loro terre non bastavano più a nutrire una popolazione, che era aumentata notevolmente. Cosa si poteva fare? Da un lato gli uomini delle montagne, ladri e rapaci, avrebbero distrutto qualsiasi insediamento in quella direzione, dall’altra c’era il mostro. La situazione era drammatica. Nessuno sapeva cosa fare.

Tutti avevano un terrore folle di quel mostro misterioso.

Tutti meno uno.

Kutu era stufo di sentirsi poco considerato dalle ragazze, sapeva di non essere bello, ma se avesse compiuto un atto eroico? Certo le ragazze lo avrebbero guardato con altri occhi e chissà se la bella Sundra si sarebbe lasciata convincere da lui.

Kutu prese in fretta una decisione, avvisò la ragazza che lui avrebbe ucciso il mostro. La risata di lei lo convinse ancora di più a partire.

Gli avevano detto dove gli uomini avevano incontrato la bestia e si incamminò con la sua lancia e una spada, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo. Dopo un’ora di cammino era ormai vicino al fiume, si guardò intorno e sentì uno strano sibilo. Di colpo, a pochi metri da lui, era comparsa la testa di un enorme serpente verde, il collo si alzava da terra e la testa era all’altezza della sua. Comprese che il rettile era pronto a scattare per colpirlo.

Nel frattempo al villaggio la sua assenza era stata notata. Tutti si erano chiesti dov’era andato. Sundra aveva ammesso di sapere che era partito alla caccia del mostro. Il padre Begu, con aria disperata si guardò intorno e gridò: “Uomini del villaggio, io non lascio morire mio figlio così da solo. Se qualcuno ha coraggio si armi e mi segua”.

A quel punto, tutti gli uomini del villaggio si armarono e decisero si seguire Begu. Non sarebbe stato onorevole lasciare che un ragazzo si facesse uccidere per tutto il villaggio, senza che gli altri cercassero di aiutarlo. Il coraggio di Kutu meritava l’appoggio e la solidarietà di tutti.

Nel frattempo, il giovane era rimasto impietrito dal terrore: quel gigantesco serpente lo aveva terrorizzato e non sapeva cosa fare per difendersi. La sua paura era talmente grande che non aveva sentito un poderoso muggito alle sue spalle.

Il toro aveva visto il suo amico in pericolo e accorreva in soccorso. Lui sì che sapeva cosa fare. Pochi avevano visto cosa vuol dire un toro che carica. Ora anche il ragazzo lo vide, una tonnellata circa di toro lanciata a grande velocità era troppo per il serpente. Prima le corna lo trafissero, poi il grande bovino, scuotendo la testa lo lanciò in aria per finirlo calpestandolo con gli zoccoli.

Il serpente non era solo, c’era anche la femmina. Provò a lanciare le sue spire contro il grande animale, ma era troppo grosso per lei. Anche lei finì i suoi giorni calpestata dagli zoccoli.

La gente del villaggio era arrivata giusto in tempo per vedere come il toro aveva massacrato il mostro. Tutti alzarono grida di giubilo. Finalmente il pericolo era stato scongiurato. Il mostro era morto e si sarebbe potuto creare una città sulle rive del fiume.

La gioia durò poco.

Quasi per un maleficio, Huru era comparso improvvisamente con una dozzina di suoi uomini. Aveva emesso un grande grido e ora tutti guardavano impauriti quel gigante con giubba e brache di pelle e un grande mantello rosso sulla schiena.

Cosa gioite stupidi insensati! Qui comando io. Ho deciso che voglio anche queste terre e che voi dovrete andarvene. Gli dèi sono con me, altrimenti che mandino un segno! Se qualcuno mi batterà ci ritireremo in buon ordine”.

Il colosso aveva parlato ad alta voce e si era molto agitato per esibire la sua possente muscolatura, tanto che gli uomini del villaggio si erano sentiti come dei nani alla sua presenza. Nessuno di loro si sarebbe mai sentito di battersi con un uomo così grande e forte. Tuttavia, a volte il destino gioca con carte diverse da quelle degli uomini. Il mantello rosso che svolazzava aveva attirato l’attenzione del toro. Il grande animale era ancora eccitato per i combattimenti sostenuti e quell’oggetto colpì la sua suscettibilità. Abbassò la testa e partì alla carica. Huru ebbe a malapena il tempo di vederlo. Il colpo lo fece volare per aria e cadde pesantemente. Prima che potesse rialzarsi il toro gli era addosso.

Fece la stessa fine dei serpenti.

Kutu era ancora armato, il toro gli aveva fatto passare la paura; fu il primo a riprendersi. Impugnando la lancia si avventò urlando contro gli uomini di Huru. Tutti gli uomini del villaggio lo seguirono; i montanari furono massacrati tutti tranne uno. Il superstite doveva tornare alla propria terra per raccontare come gli dèi fossero stati loro avversi e come era meglio non molestare più la gente della pianura.

Kutu fu portato in trionfo e festeggiatissimo soprattutto dalla bella Sundra. Anche il grande toro ebbe enormi festeggiamenti, anche se era troppo grosso e pesante per essere portato in trionfo.

In compenso la città che venne fondata, in suo onore, prese il nome di Torino.

Francesco Cordero di Pamparato

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Articolo pubblicato il 04/10/2020