La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un marito curioso e indiscreto

I lettori della «Gazzetta Piemontese» di martedì 11 gennaio 1876 apprendono dalle notizie di cronaca che: «Stanotte vene il tocco certo Querino Giuseppe, d’anni 61, picchiava a più riprese alla porta della casa n. 44, in via San Francesco da Paola. Il portinaio, credendo che fosse un inquilino, scese ad aprire, ma vedendo uno sconosciuto, cercò d’impedirgli il passo e lo respinse.

Il Querino reagì e con sì violento modo, che mandò in frantumi una vetrata d’uscio, e minacciava di far peggio. Il portinaio, ridotto alle strette, die’ mano ad una sciabola e menò contro il Querino parecchi colpi, ferendolo al capo ed alla mano destra.

Sovraggiunsero due carabinieri, che condussero il ferito all’Ospedale di S. Giovanni, ove ora trovasi in pericolo di vita.

Il feritore venne arrestato».

Perché Giuseppe Querino voleva entrare a tutti i costi nella casa di via San Francesco da Paola n. 44 con una violenza tale da scatenare la reazione del portinaio? Reazione che provoca la morte del Querino, debitamente registrata dal giornale come avvenuta il 16 gennaio, ma che a molti lettori sarà sfuggita perché indicata col vero nome del morto, Giuseppe Quirico, di anni 61, di Asti, macellaio.

Per poter capire lo svolgimento dei fatti, i lettori devono attendere il 15 aprile 1876, quando la «Gazzetta Piemontese» pubblica la cronaca del processo al portinaio che ha causato la morte del Quirico. Leggiamo anche noi quanto scrive il cronista giudiziario Curzioncino (M) non per gli inesistenti risvolti investigativi ma per la particolare situazione psicologica della vittima e anche del feritore.

Curzioncino (M) esordisce con questa presentazione di Giuseppe Quirico: «Amico mio, se tu sei ammogliato, e la moglie ti fugge di casa, fa tosto l’esame di coscienza, e se non hai nulla a rimproverarti, dì pure che essa non era degna di te. Perciò ringrazia la Provvidenza della felice ispirazione che le ha mandato di levarti l’incomodo senza tanti indugi, cure e fastidi. Ma non crucciartene punto, non pensare più a lei, e tanto meno occuparti de’ fatti suoi, e spiare ogni suo passo e persino le sue parole.

Questa mala intesa curiosità costò la vita a un tale Quirico Giuseppe, fa Antonio, nativo, di Vallefenera (Asti), d’anni 61, e residente a Torino, al N. 7 in via Goito, ove teneva locanda.

Egli era ammogliato: la sua cara metà lasciò una volta la casa maritale, poi vi tornò, e fu ricevuta e accolta, come se nulla fosse. Ne fuggì una seconda volta, e non tornò più.

Non scendo ai particolari; non saprei, né vorrei dirvi se lei o lui avesse in ciò la ragione o il torto, se fosse insopportabile l’umore del marito o quello della moglie. Di queste cose non ebbe ad occuparsi il Tribunale, e nemmen io mi occupo, perché non entran nel conto».

Dopo questa premessa, il nostro cronista racconta che verso le ore 11 della sera del 9 gennaio 1876, Quirico, in compagnia di un giovane amico di nome Binelli, esce dall’osteria della Griva, alquanto avvinazzato e dice «Mi è venuta un’idea, sono ormai tre mesi che quella mia car…issima donna mi ha lasciato. Abita in questa via poco lontano. Vorrei vedere che cosa fa a quest’ora».

«Sei matto a volerti ancora prendere di questi fastidi - gli risponde Binelli - e andare a cercarti delle questioni che potresti evitare?».

«E io ti ripeto che voglio andarci... voglio vedere.... e stasera ho voglia di questionare» ribatte Quirico dirigendosi poi alla abitazione della moglie, in via di San Francesco da Paola, n. 44. L’amico lo accompagna al portone e rimane lì vicino per tenerlo d’occhio.

Il portone della casa è già chiuso ma la casa ha un secondo ingresso nella piccola porta al n. 42, rimasta per caso aperta. Così Quirico riesce ad arrivare nel cortile e ad avvicinarsi alle finestre della moglie che abita al pianterreno.

Bussa, grida e fa molto fracasso, tanto che Binelli lo sente da fuori e, per prudenza, sveglia il portinaio e gli spiega quello che sta succedendo. Il portinaio, con le buone, riesce a persuadere Quirico di smetterla, di lasciare in pace chi vuol dormire e di andarsene.

Quando sono fuori, Quirico vuole ritornare nel cortile per ripetere la scenata. Binelli perde la pazienza, lo abbandona e se ne va a casa.

Questa scenata induce Curzioncino a definire Quirico come «un marito curioso e indiscreto». Noi lo definiremmo uno stalker, almeno in fieri.

Il portinaio della casa è Giuseppe Martino Giordanengo, di 44 anni, nato a Vernante (Cuneo), con un passato di buon soldato: «Fece la campagna d’Oriente del 1855; quella d’Italia del 1859; e al 1° novembre del 1864 ebbe il suo congedo assoluto e col permesso di fregiarsi delle tre medaglie commemorative, la francese, l’inglese e l’italiana.

Deposta la spada, riprese il rasoio, e ora tiene pur bottega da parrucchiere nella stessa casa in cui è portinaio».

A ricordo del suo passato di combattente, Giordanengo ha comperato da un ferravecchio uno spadone antico, con una larga lama, e l’ha appeso al muro vicino al suo letto.

E proprio a letto Giordanengo è tornato dopo la scenata in cortile e dorme, quando dopo la mezzanotte, si sveglia di soprassalto perché sente bussare con forza alla porta a vetri della sua camera. «Chi va là, chi è?» chiede. Nessuno risponde. Ripete la domanda e una voce sconosciuta gli risponde: «Sono io».

Allora Giordanengo salta giù dal letto e, senza accendere una candela, socchiude uno dei battenti ma non vede nulla tanto la notte è buia. Intanto lo sconosciuto dà un urto più forte, che manda in frantumi i cristalli della vetrata, apre la seconda porta ed entra in casa. Il portinaio se lo trova di fronte, gli ordina di uscire e cerca di respingerlo. Ma l’altro non si muove anzi lo afferra per il collo con violenza.

Giordanengo con la mano sinistra si divincola alla meglio dal suo aggressore e con la destra riesce a impugnare il suo spadone. Infuriato, mena colpi all’impazzata e così ferisce alla testa e alle mani il suo avversario per quattro volte, senza accorgersene, e riesce a cacciarlo in cortile in mezzo alla neve alta che vi è stata ammucchiata. In quel momento passano per la strada due carabinieri. Giordanengo sente il rumore delle sciabole e li chiama. I militari entrano e vedono la scena. Intanto il ferito, che non si regge in piedi, cade e picchia la testa sul selciato così forte da riportare un’altra gravissima ferita. I carabinieri portano il ferito all’ Ospedale San Giovanni, arrestano il portinaio armato e gli sequestrano la spada.

L’intruso malconcio è Quirico, che è rimasto in strada ad aspettare finché un inquilino ha di nuovo aperto la porticina. Così è riuscito a rientrare nel cortile. Ubriaco, al buio, credeva di bussare alla porta della moglie invece ha picchiato a quella del portinaio.

Le sue ferite sono gravissime: al mattino successivo gli vengono amputati il medio e l’indice della mano sinistra poi le gravi ferite alla testa inducono una letale infezione.

Il portinaio resta in prigione fino al 18 febbraio, quando ottiene la libertà provvisoria senza cauzione. Nell’istruttoria, inizialmente si ritiene che abbia ecceduto nella difesa nei confronti di un ubriaco disarmato. Ma, al buio, spaventato, come poteva rendersi conto delle reali condizioni del suo aggressore? E Quirico è morto per le ferite ricevute da Giordanengo oppure a causa della rovinosa caduta a terra? I periti non possono precisarlo.

Il 10 aprile 1876 si svolge il processo al Tribunale correzionale di Torino, dove la causa è stata inviata per le molte attenuanti a favore dell’imputato. Vi è il famoso spadone, come corpo di reato.

Le qualità morali dell’imputato sono ottime. Eccellenti anche le sue note caratteristiche fornite dall’autorità militare. Gli inquilini della casa e il proprietario, appena avvisati dell’arresto del suo, hanno chiesto la sua liberazione al Procuratore del Re, con i più favorevoli attestati della sua onestà e della sua mitezza. Molti testimoni ripetono le stesse cose all’udienza. Risulta che l’imputato ha agito per legittima difesa.

Il Pubblico Ministero ammette la necessità della legittima difesa e chiede l’assoluzione dell’imputato. Così l’avvocato difensore si limita a poche parole. Il Tribunale assolve Giordanengo e ordina che gli sia restituito lo spadone sequestrato.

Come detto in esordio, questa vicenda è stata ricordata per considerare l’atteggiamento del cronista - che esprime quello dell’opinione pubblica del tempo - nei confronti di un personaggio che, in termini moderni, mostra atteggiamenti da stalker. Dopo quasi un secolo e mezzo, possiamo notare che il cronista, dopo le iniziali affermazioni ironiche di stampo misogino, nella vicenda ha voluto cogliere l’aspetto divertente: «Ma che ne posso io, se il Quirico ha scelta una morte piuttosto buffa? Non è ridicolo un marito che si fa ammazzare da un [portinaio] per aver questioni con la moglie da cui è separato?».

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Articolo pubblicato il 10/06/2020