Stradario torinese: via Carlo Pinchia

È il secondo sindaco torinese eletto e resta in carica dal 7 aprile 1849 al 31 gennaio 1850

Prosegue la nostra ricognizione nel quartiere Mirafiori Nord sulle tracce dei primi sindaci di Torino eletti dopo il 1848 a seguito di votazioni e che hanno amministrato la nostra città, capitale del Regno di Sardegna, nel periodo risorgimentale fino al 1861.

 

Dopo aver parlato di Francesco Demargherita, è ora la volta di Carlo Pinchia, sindaco di Torino dal 7 aprile 1849 al 31 gennaio 1850.

Carlo Pinchia nasce a Torino 3 febbraio 1804 da famiglia canavesana, visto che il figlio lo definisce «oriundo d’Ivrea». Si laurea in giurisprudenza e intraprende la carriera nella magistratura come volontario. Inizia la sua partecipazione alla amministrazione della città di Torino dal 1829, quando riceve la carica di decurione.

 

Le sue vicende in questo periodo risentono delle sue idee politiche di liberale innovatore. Nel 1830-1831 partecipa, anche se con un ruolo di secondo piano, alla congiura dei “Cavalieri della Libertà”, associazione segreta formata da giovani ufficiali, medici e avvocati che si propone di ottenere la concessione della Costituzione dal re Carlo Felice. Scoperta per la crisi di uno dei cospiratori, la congiura fallisce e alcuni partecipanti sono arrestati, altri fuggono all’estero. Dopo la morte di Carlo Felice, il 27 aprile 1831, il nuovo Re Carlo Alberto decide il perdono generale. Pinchia è stato soltanto controllato dalla polizia e ha subito un trasferimento punitivo per sei mesi a Genova, senza altre conseguenze.

 

Carlo Alberto ordina al ministro guardasigilli Giuseppe Barbaroux, già il 7 giugno 1831, di organizzare la Commissione per la promulgazione di nuovi Codici per il Regno (civile, penale, di procedura civile e penale, di commercio). Pinchia partecipa ai lavori per la classe (sottocommissione) per la legislazione civile, formata da cinque magistrati e da un sostituto dell’Avvocato generale presso il Senato di Piemonte, il conte Alessandro Pinelli. Questi ha facoltà di avvalersi di due volontari dell’ufficio e uno di questi è il Nostro, con funzioni di segretario.

In questo periodo, Pinchia coltiva l’amicizia di Vincenzo Gioberti (Torino, 1801 - Parigi, 1852), sacerdote dal 1825 e Cappellano di Casa Reale dal 1826, considerato un prezioso ideologo dai giovani innovatori torinesi. Al martedì e al venerdì a casa di Gioberti, in via delle Orfanelle n. 5 al quinto piano, si tengono le riunioni di un circolo di amici. Oltre a Pinchia, vi sono Pier Dionigi Pinelli, Carlo Cadorna, Teodoro di Santa Rosa, Felice Merlo, Agostino Biagini, Claudio Dalmazzo. Si discute di filosofia, storia, letteratura e politica. Gioberti partecipa anche ad incontri semi segreti al Giardino dei Ripari, con giuramenti di vivere e morire per l’Italia: si manifestano idee repubblicane anche per l’ottusità dimostrata dalla monarchia assoluta.

 

Al 9 maggio 1833, per ordine del Re Gioberti è chiamato a rendere conto delle sue opinioni politiche e religiose e viene ammonito a cambiare vita. Si dimette dalla carica di Cappellano di Casa Reale e il 31 maggio viene arrestato con l’accusa di essere implicato in una congiura repubblicana. Alla notizia dell’arresto dell’amico, Pinchia chiede udienza al Re Carlo Alberto per parlare in suo favore, con esito favorevole. Dopo quattro mesi in carcere in Cittadella, al 30 settembre, Gioberti viene espulso dal Regno, senza processo.

 

Questo intervento di Pinchia viene fortemente enfatizzato da Giovanni Faldella in un ponderoso, e magniloquente, volume sulla Giovine Italia mazziniana (1895).

 

Dobbiamo ora considerare la carriera di decurione di Pinchia. Prima del 1848, Torino è amministrata da sessanta Decurioni, trenta di prima classe, scelti fra i nobili torinesi e trenta di seconda classe, selezionati fra i migliori cittadini, avvocati e negozianti più accreditati. Dai Decurioni provengono i due Sindaci, uno per ciascuna delle due classi e gli altri amministratori cittadini. Entrato fra i Decurioni dal 1929, Pinchia sovraintende, nel 1841, ai lavori per una ampliazione coperta porticata del Cimitero, su disegno dell’architetto Carlo Sada.

 

Nel 1835, come magistrato, Pinchia esplica un intervento a favore del marchese genovese Vincenzo Ricci (1804-1868). Ricci ha inviato al ministero delle Finanze una biografia del padre che non gli è permesso di pubblicare ma non gli viene restituito il manoscritto. Scrive allora una lettera pepata contro la censura che viene trattenuta da Pinchia, con consigli di massima prudenza. Ricci diventerà anche lui magistrato e sarà ministro dell’interno nel primo governo costituzionale del Regno Sardo, dal marzo a luglio 1848!

 

Nel periodo che precede il 1848, Pinchia partecipa a vari iniziative benemerite che al tempo assumono forte valenza politica, in opposizione ai conservatori misoneisti. Gli uomini più progressisti si rivolgono a idee filantropiche, come il miglioramento delle prigioni e del sistema penitenziario, degli asili per l’infanzia e degli ospizi di mendicità.

 

Il partito clericale considera queste tendenze umanitarie come novità futili e pericolose per la morale e, malgrado il sostegno di degni ecclesiastici, resta ostile a queste necessarie innovazioni. Non le attua da sé e non vuole che altri lo faccia, secondo l’acuto giudizio del giurista Luigi Francesco Des Ambrois (1807-1874).

 

Il Re Carlo Alberto, anche se molto devoto, capisce le esigenze del progresso, desidera che il suo regno sia ricordato per le utili innovazioni. Dal 1837, inizia a manifestare vedute politiche meno sottoposte alle tendenze reazionarie.

 

Pinchia compare fra coloro che si occupano di scuole infantili a Torino, Carlo Boncompagni, Cesare Alfieri, Giuseppe Manno, Federico Sclopis, Camillo Cavour, Carlo Cadorna... Questi signori nel 1838 si riuniscono in Società per ottenere dal Re il consenso alla istituzione di pubbliche scuole infantili, oltre a quelle già iniziate privatamente nel 1825 dal Marchese Barolo a Torino.

 

Pinchia è associato ad altre iniziative, come l’istituzione della Società del Tiro al Segno in Torino, nel 1837, quando viene eletto fra i consiglieri.

 

Nel 1847 troviamo il Nostro tra i benemeriti che hanno permesso la nascita dell’Istituto Sanitario per l’Infanzia, un piccolo ospedale infantile posto nel nascente borgo San Salvario, nell’attuale corso Vittorio Emanuele II, all’altezza di via San Francesco da Paola.

 

Si ha poi notizia di una sua missione a Roma nel 1847 da una lettera di Gioberti di quell’anno, indirizzata al cav. Carlo Pinchia, decurione e sostituto procuratore generale.

 

Con il fatidico 1848, Gioberti ritorna a Torino dove diviene presto Presidente della Camera dei Deputati e Presidente del Consiglio. È il periodo turbolento della prima guerra di indipendenza.

 

L’unico episodio noto di Pinchia in questo difficile momento è la sua partecipazione alla Commissione Straordinaria di Sicurezza Pubblica, attiva a Torino dal 4 all’11 agosto 1848.

 

In seguito al disastroso andamento della guerra, con la notizia della sconfitta di Custoza (22-27 luglio) l’apparato poliziesco torinese di ancien régime “collassa”.

Il Marchese Roberto d’Azeglio (Torino, 1790-1862), fratello del più celebre Massimo, amato e stimato in Torino per le sue molteplici attività filantropiche, prende l’iniziativa. Il 3 agosto organizza la mobilitazione di massa della Guardia Nazionale e, il giorno seguente, diviene Presidente della Commissione, composta da Pier Dionigi Pinelli, dal Consigliere d’Appello Carlo Pinchia, dal Colonnello Capo di Stato Maggiore della Guardia Nazionale Felice Vicino, dal Capitano dei Carabinieri Trofimo Arnulfi, dal Consigliere d’Appello Gabriele Rochis, dal cavalier Alessandro Michelini e dal Segretario Benedetto Operti, Vice-Intendente.

 

La Commissione concentra tutti i poteri dell’autorità governativa per il mantenimento della pubblica tranquillità di Torino e della sua Provincia, e la sicurezza delle persone e delle proprietà ma ha una vita molto breve. Viene sciolta l’11 agosto 1848.

 

L’anno seguente, al 7 di aprile, all’età di 47 anni, Pinchia subentra a De Margherita nella carica di Sindaco. È stato eletto fra i Consiglieri e, secondo il meccanismo illustrato nella biografia di suo predecessore, la nomina gli viene dal nuovo Re, Vittorio Emanuele II, al trono dalla sera del 23 marzo 1849.  

 

Sempre in quell’anno, il 25 febbraio, nasce il figlio Emilio. E qui si apre uno dei capitoli più oscuri della biografia del Nostro. Non conosciamo il nome della moglie. Il criptico Faldella parla di un suo apparentamento con il patriota mazziniano Pietro Olivero (Vercelli, 1789 - Locarno, 1866), senza ulteriori precisazioni. Il fatto più sorprendente è che il figlio Emilio, creato conte di Banchette nel 1904 e morto l’8 marzo 1933, ancor oggi noto nel Canavese, autore di svariati libri, non abbia mai scritto una biografia anche sintetica del padre!

 

Durante il suo mandato, il 6 luglio 1849, l’amministrazione di Torino adotta in via provvisoria un Regolamento per l’amministrazione interna rimasto in vigore fino al 1863.

 

Nel suo breve mandato, il Nostro si occupa della «educazione dei fanciulli», di igiene pubblica, del riordinamento della «polizia municipale […] proporzionato all’ampiezza della città». In questo periodo, il 12 ottobre 1849, si svolge il solenne ricevimento della salma del re Carlo Alberto poi tumulata nella Basilica di Superga. Si prospetta anche la minaccia di una epidemia di colera.

 

Ignoriamo il motivo della sua sostituzione, al 31 gennaio 1850, con l’avvocato Giorgio Bellono.

 

Sono scarse anche le informazioni sull’impegno di Pinchia nel periodo cavourriano e dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Col decreto Rattazzi del 1859 che riorganizza l’amministrazione del Regno Sardo, viene rieletto consigliere comunale nelle elezioni amministrative del gennaio 1860. Partecipa alla vita politica ma non viene eletto al Parlamento e neppure nominato Senatore.

 

Non gli viene neppure dedicata un’autorevole e documentata biografia e per questo si sente la mancanza di una pubblicazione da parte del figlio scrittore.

 

Gli ultimi anni di vita del Nostro sono sintetizzati nel necrologio pubblicato dalla «Gazzetta Piemontese» il giorno dopo la sua morte, avvenuta a Torino il 18 aprile 1875, dopo lunga e dolorosa malattia. Il cavalier Carlo Pinchia, primo presidente di Corte d’Appello in ritiro, negli ultimi anni della sua vita, ha dovuto lasciare la carica di Consigliere di Stato per motivi di salute, ed è stato nominato presidente dell’Opera pia degli esposti, in successione al marchese Alfieri.

 

L’autore di questo necrologio - che si firma E.P. - conferma il ruolo gregario del Nostro nel periodo risorgimentale quando scrive: «Nel carattere e nelle virtù si mostrò degno di quella falange d'uomini che illustrarono il rinnovamento della patria, a molti dei quali egli fu compagno ed amico».

 

Carlo Pinchia è una delle figure “di secondo piano” tra i personaggi minori del periodo risorgimentale. Figure che hanno sempre attirato la mia simpatia e il mio interesse nell’idea che abbiano portato un certo contributo alla Storia che li ha dimenticati per motivi contingenti, come la perdita di testimonianze e documenti per spostamenti, vicende belliche, discendenti neghittosi o scomparsi... Sono i personaggi sistematicamente tagliati fuori dagli sceneggiati televisivi e dalle figurine (le vere fonti popolari di conoscenza storica della mia epoca!) e che oggi la rete permette invece di recuperare, almeno in parte, con la scansione di libri e opuscoli del passato.

 

E questo spiega l’insolita lunghezza di questo mio contributo che ha recuperato, grazie alla rete, molte citazioni sparse dell’attività di Pinchia.

 

Dopo un lunghissimo periodo di latenza, quando il Nostro è semplicemente citato in qualche elenco di Sindaci di Torino, senza ulteriori commenti, gli viene intitolata una via nel quartiere Mirafiori Nord.

L’unica annotazione al riguardo che travalichi la semplice nota di cronaca «residente in via Carlo Pinchia n…» è un articolo della giornalista Vittoria Sincero dal titolo «Le parole dei muri. I graffiti, la pubblicità e la protesta» («Stampa Sera», 10 settembre 1991). Via Carlo Pinchia è descritta come ideale per i graffiti perché offre una lunghissima sequela di pareti non interrotte da porte o da finestre, dove possono, dal principio alla fine, nascere, svolgersi e morire le vicende amorose del quartiere.

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Articolo pubblicato il 12/05/2020